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Il paese della dimenticanza

La campagna elettorale è partita in modo soft.

Lo dicono tutti.

Forse è anche vero.

Quello che si stenta a credere è che questo clima di civiltà e di quasi lealtà reciproca possa durare a lungo.

Certo è che non se ne poteva più.

Avevamo passato gli anni 80 a disprezzare il cosiddetto consociativismo.

Ci rendevamo conto che in quella specie di marmellata allignavano la corruzione e le ruberie della classe politica.

Lo intuivamo, più che averne la certezza.

Ci mancavano le prove.

Poi Tangentopoli ce le fornì in maniera clamorosa.

Sperammo in una nuova stagione.

Ci sembrava impossibile che i protagonisti di quelle vicende di malaffare potessero tornare a galla e presentarsi come vittime.

Eppure è stato così.

Siamo in un paese in cui è facile dimenticare.

Anche perchè coloro che dovrebbero aiutarci a farlo, cioè i giornalisti della carta stampata e soprattutto della tv, sono i più bravi del mondo nell’arte di cambiare le carte in tavola.

Con le dovute eccezioni.

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Quando spunta uno come Travaglio e ricorda non solo come andarono le cose, ma anche le frasi alla Robespierre di quelli che allora inneggiavano a Mani Pulite e oggi la condannano, tutti lo accusano di essere un giustizialista.

Difficile però che lo chiamino bugiardo.

Tornando al clima, sono contento che sia migliorato.

Ma, come cittadino, come contribuente, come elettore, non voglio che sia un ulteriore pretesto per dimenticare.

W la memoria!