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Leggere Proust, avendo perso con internet e tv la capacità di fruizione della lentezza

gide1Come è vero quello che dice Gide:

“Leggere Proust è come, quando si ha la vista debole e si ricevono finalmente in dono degli occhiali”.

La Recherche è lenta, ma inesorabile, arriva frugare dappertutto, è qualcosa di più di un paio di occhiali, è un microscopio potentissimo.

Peccato che la tv e soprattutto il telecomando e ancora di più internet abbiano così alterato le nostre capacità di fruizione della lentezza!

Vorrei tornare a divertirmi, leggendo Proust, nello stesso modo in cui mi divertivo a vent’anni, quando potevo “restare” con lui anche un intero pomeriggio, uscendone con la voglia di tornare alle sue pagine al più presto

Adesso mi riesce molto più difficile, mi riesce di assorbirlo solo in piccole dosi.

P.S. Non è Proust che è diventato più potente, siamo noi che siamo diventati più deboli.

P.P.S. Il mio sogno più grande è passare un lungo periodo in una baita di montagna, senza tv,  senza internet e senza giornali con viveri e libri in abbondanza. Una volta tutti i libri che avevo in casa li avevo letti almeno una volta. Adesso sono molti quelli che ho comprato semplicemente sperando di trovare un giorno il tempo di leggerli. Portando via solo quelli credo che in quella baita potrei stare a lungo senza annoiarmi.

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“Un’aura che incanta ed ammalia..” Il fascino irresistibile di Bruce Chatwin

E’ morto giovane, ma non così giovane come credono in molti. In fondo ha vissuto più di  coloro che avevano esercitato un influsso su di lui: Robert Louis Stevenson, T.E. Lawrence, Anton Checov, Robert Byron, Arthur Rimbaud.Se fosse vissuto più a lungo è allettante immaginarlo come una specie di di Andrè Malraux. Forse sarebbe stato simile alla descrizione che lo stesso Chatwin fece di Klaus Kinski: “un adolescente di sessant’anni, tutto vestito di bianco, con una criniera di capelli gialli”

Questo scrive Nicholas Shakespeare,autore di una monumentale biografia di Chatwin (“Chatwin”-Baldini e Castoldi).

Il libro è documentatissimo e pieno di informazioni e annedoti interessanti.

Ne emerge la figura di uno scrittore importante e singolare, di grandissimo talento, ma soprattutto di un uomo dal fascino incredibile, fuori del consueto.

Ecco alcune delle testimonianze che ho tratto da questo libro.

Susan Sontag, scrittrice:

Ci sono poche persone al mondo con una presenza che incanta ed ammalia.Se non ci si è preparati è come un pugno allo stomaco, il cuore manca in colpo. Non si tratta solo di bellezza, è un’aura che incanta ed ammalia, una luce negli occhi. E funziona con entrambi i sessi.

Shirley Conran, amica di Bruce Chatwin
Erano in tanti ad essere innamorati di Bruce e mi dispiace per loro.Tutti noi abbiamo amato delle persone e le abbiamo lasciate, ma quando Bruce passava all’amore successivo aveva la capacità di lasciarle con una tale sensazione di vuoto che credo non si siano mai riprese.Nello spazio di un pomeriggio entrava ed usciva dalla vita di una persona che sarebbe rimasta abbacinata per tutta la vita.

Colin Thubron
“La sua energia, il suo entusiasmo, la sua passione erano incredibili. Era comunicativo, ampliava gli orizzonti; avevi sempre l’impressione che disponesse della chiave per tutte le cose”

Salman Rushdie,scrittore:

“Era così individuale, così fortemente se stesso. Quando l’io è così sfaccettato come quello di Bruce, molta gente arriccia il naso: è quello che si paga per il fatto di valere qualcosa in quello che si fa. E di essere una persona interessante. Tra i miei contemporanei Bruce aveva la mente più colta e probabilmente più brillante in cui mi sia mai imbattuto.”

Gregor von Rezzori , scrittore, che ebbe modo di averlo spesso ospite in Italia, lo definiva il “ragazzo d’oro”:
“Bruce arrivò a casa mia con una 2CV bianca sul cui tetto aveva legato una tavola da surf.Aveva una testa da adolescente, netta nei contorni come una moneta appena coniata. Moneta stabile. Luminoso come il sole. Il sorriso pronto sempre leggermente di traverso. Sopra, lo sguardo penetrante. Negli occhi azzurri come il mare( che un tempo si erano accecati su troppe opere d’arte ) una inestinguibile curiosità. Nessuno avrebbe pensato che questo giovane tardivo sarebbe stato capace di scrivere qualcosa di più del suo nome. E invece era fulgido di promesse. Gli andai incontro e pensai che non ero mai stato come lui..così tutto di un pezzo.Era un ospite nato, ci arricchiva con i suoi annedoti e la sua presenza, come dovrebbero fare tutti gli scrittori
Chatvwin era talmente sicuro della sua capacità seduttiva da pensare di essere il benvenuto ovunque, anche quando capitava all’improvviso.
Di lui una conoscente argentina, evidentemente immune al suo fascino, dice che era arrogante, molto sicuro di sè e che, pur non conoscendo lo spagnolo, non faceva nulla per farsi capire.
Bruce viaggiava con un piccolo zaino nel quale teneva pochissimi indumenti ed i suoi famosi taccuini Mouleskine.
Era solito chiedere a perfette sconosciute, sempre contando sul suo fascino, ospitalità e servizi di lavanderia.Riceveva a volte comprensibili e sdegnati rifiuti.
Di una signora che si era rifiutata di ospitarlo scrive inviperito alla moglie Elisabeth.” Crede che sia solo un fannullone in cerca di un letto. Spero che anneghi”

De Niro e Pacino: I 10 motivi per cui ci piace fare l’attore.

Alla presentazione del film “Sfida senza Regole” al quale hanno lavorato entrambi, a Bob De Niro e a ad Al Pacino è stato chiesto quali sono i motivi che li spingono a fare il mestiere d’attore.

Ecco le loro risposte:

Numero 10. (Pacino) A volte, quando vado al cinema, il venditore di popcorn mi regala una spruzzata di burro di sintesi…

Numero 9 (De Niro) Tutte le volte che vado a lavorare, mi chiedo: “Chissà se vedrò Harvey Keitel nudo?”.

Numero 8 (Pacino) Bisogna continuare ad affilare i ferri del mestiere, per non perdere il lavoro e finire a fare il governatore della California…

Numero 7 (De Niro) Spesso ti lasciano tenere il dolce che hai dovuto mangiare in una scena…

Numero 6 (Pacino) Puoi conoscere l’Uomo Ragno…

Roberto De Niro

Numero 5 (De Niro) Mi piace truccarmi…

Numero 4 (Pacino) Si girano i film per motivi personali. Ho girato “Sfida senza regole” per far sapere alla gente che sono vivo…

Numero 3 (De Niro) Anch’io giro i film per motivi personali. Ho girato “Sfida senza regole” per vedere se Al era ancora vivo…

Numero 2 (Pacino) E’ meglio del mio mestiere precedente: la “hockey mom”…

E la numero uno è (De Niro) Si leggono dei bei dialoghi come: “Cazzo, vattene di qui!”.  (fonte Dagospia)

La fregatura Alitalia la pagheremo 100 euro a testa.

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Nei prossimi sette anni la realizzazione del piano FENICE messo a punto da Banca Intesa per Alitalia rischia di costare allo Stato tra i 2,8 e i 4,4 miliardi in più rispetto allo schema a suo tempo prospettato da Air France-Klm.

A fare i conti è Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università di Milano Bicocca.

Questa è l’intervista che ha rilasciato all‘Espresso

Come si arriva a quelle cifre? Quanto costa davvero il piano targato Corrado Passera?
“Il punto di partenza è il mancato introito legato all’operazione con Air France. Il gruppo guidato da Jean-Cyril Spinetta, oltre a farsi carico di passività e di nuovi investimenti per più di 3 miliardi, avrebbe pagato 135 milioni. Il Tesoro, azionista al 49 per cento, ne avrebbe dunque incassati 66 e spiccioli. Poi bisogna mettere nel conto le perdite accumulate dalla compagnia aerea da aprile, quando sarebbe stato possibile cederla ai francesi, almeno fino a settembre. Di sicuro è stato bruciato l’intero prestito-ponte di 300 milioni. Più una cifra compresa tra i 100 e i 300 milioni, che per il solito 49 per cento è di competenza del ministero di Giulio Tremonti. Si passa quindi al capitolo creditori e obbligazionisti”.

Cioè?
“L’Alitalia ha debiti per 1,2 miliardi, che è più realistico stimare in 1,5. Per tutto quello che cederà alla nuova società, aerei, slot e quant’altro, il commissario incasserà circa trecento milioni. Poi Augusto Fantozzi cercherà di vendere la parte della flotta non rilevata da Roberto Colaninno & C.: un centinaio di aerei piuttosto vecchi. Ma piazzare una simile quantità di velivoli, che per giunta consumano troppo in un’epoca di caro-barile, non è una cosa facile, e dovrà tenere i prezzi molto bassi. Alla fine, dunque, il Tesoro dovrà mettere mano al portafoglio per una cifra tra i 450 e i 650 milioni di euro. Altri 150 milioni, che potrebbero salire a 250, se ne andranno poi per indennizzare, così come previsto dal decreto che ha modificato la legge Marzano, i piccoli azionisti rimasti incagliati nel disastro Alitalia”.

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C’è anche il capitolo degli ammortizzatori sociali. Si parla di 5-7 mila esuberi, su un totale di 18 mila dipendenti Alitalia…
“Mi sembra un calcolo per difetto. Vorrebbe dire che la nuova società manterrebbe una quota compresa tra il 61 e il 72 per cento dell’organico della ex compagnia di bandiera, dalla quale rileverebbe però solo il 40 per cento della flotta, che andrà sommata a quella di Air One, affidata agli ex dipendenti di Carlo Toto. Ritengo più probabile che, alla fine dell’intera operazione, il conto degli esuberi arrivi a quota 9 mila. Comunque, considerando che ognuno di loro costa 30 mila euro l’anno per un periodo garantito di sette anni, se si prende una forchetta tra i 5 e i 9 mila bisogna mettere nel conto tra i 1.050 e i 1.900 milioni. E non è ancora finita”.

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Che cos’altro c’è?
“Il piano di Passera dice quanti aerei dovrà schierare la nuova compagnia. Ciò consente di calcolare la riduzione di attività rispetto alla vecchia Alitalia. Un dimagrimento che comporta per lo Stato un calo di introiti contributivi e tributari: diciamo che, sempre nell’arco dei sette anni, verranno a mancare tra i 2,1 e i 3,5 miliardi”.

Tirando le somme?
“Tra maggiori spese e mancati introiti, l’operazione che vede protagonisti Colaninno e soci costerà allo Stato tra i 4,1 e i 6,8 miliardi di euro nei prossimi sette anni”.

Quindi circa cento euro a italiano, compresi i neonati… E invece il piano Air France quanto costava?
“Il piano Spinetta oscillava tra 1,3 e 2,4 miliardi sempre nei sette anni. La differenza è dunque compresa in una forchetta che va da 2,8 a 4,4 miliardi di euro”.

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L’originale su espresso.repubblica.it

Magritte, la genialità de “L’impero delle luci”

Rene-Magritte-L-impero-delle-luci--1954-6971Molti sono i quadri della collezione Gugghenehim  ( che si trova a 800 metri da casa mia, qui a Venezia) che mi hanno colpito.

Nessuno però ha la forza e il fascino de “l ‘impero delle luci” realizzato da Magritte nel 1954.

Il quadro rappresenta un paesaggio notturno sotto un cielo come lo si vede di giorno. Alla prima occhiata il quadro dà la sensazione di contemplare un’immagine molto ben dipinta, di taglio quasi fotografico.

Un’immagine bella e “riposante”, ma normalissima.

Solo al secondo impatto lo spettatore si rende conto di trovarsi di fronte ad un’immagine surreale.

Per Magritte, come per tutti i pittori surrealisti, l’immagine non è al servizio della riproduzione della realtà, è una cosa a sè, esiste cioè in maniera del tutto indipendente rispetto alla cosa che rappresenta.

Compito dell’artista, per Magritte, è interpretare la realtà, far emergere la verità nascosta .

‘L’impero delle luci’ è uno dei quadri che richiama di più gli ideali surrealisti. .

Quando, superata la sensazione di “normalità” che dà il dipinto alla prima occhiata iniziamo ad intuire il surreale del dipinto, subito ci cominciamo a porre delle domande.

Ad esempio: perché unire in una sola ed unica scena due momenti cosi differenti?

Magritte interpretava la sua opera in questo modo:

” Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e di notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia.”

Se la poesia di un’opera d’arte sta nella sua capacità di turbarci, di farci pensare, di estraniarci dalla realtà e di sorprenderci, allora questo dipinto di Magritte è un capolavoro assoluto.

Quello che turba, rapisce e incanta in questo dipinto è il fatto che sia la rappresentazione del giorno sia quella della notte sono perfettamente realistiche, quasi fotografiche.

Entrambe le immagini, il giorno e la notte, danno una sensazione di pace, di tranquillità, fanno pensare ad una immobilità del tempo e dello spazio, a paesaggi incantati e metafisici .

Quello che rende oscuro, inspiegabile e inquietante il quadro è l’albero che, nasconde il tetto della casa immersa nell’oscurità e costituisce elementodi separazione tra le due parti del dipinto.

Qualcuno ha detto che è come se una delle due parti del dipinto rappresentasse la realtà e l’altra la trasfigurazione della realtà, con al centro, rapresentato dal grande albero, il filtro della coscienza e della ragione.

A me piace invece pensare che sia il giorno sia la notte, nella loro bellezza, squillante di colori quella del giorno, raccolta ed intima quella della notte, rappresentino l’evasione,il margine che cerchiamo di prenderci al mattino, quando, per rimandare il momento del risveglio, ci rifugiamo nell’ultimo sogno.

Mentre l’albero è la realtà con il suo carico di delusioni, di inquietitudini e di prove difficili da affrontare.

Gli applausi e gli sputi: le due vite di Enzo Tortora

Sperling & Kupfer, 2008

Biografia singolare quella scritta da Vittorio Pezzuto su Enzo Tortora.

Singolare perchè è stata singolare , senza che lui lo volesse o prevedesse in alcun modo, la vita di Enzo Tortora.

Giovane di bell’aspetto, colto, dotato di un eloquio brillante e sciolto, a poco più di trent’anni Enzo Tortora è un divo della televisione.

I guadagni non sono certo quelli di adesso, ma l’attenzione nei confronti di chi lavora in tv, in quegli anni è enorme. Tutti guardano una sola tv e di quella tv un solo canale.

Sono gli anni di Mike Bongiorno, Angelo Lombardi, padre Mariano, del maestro Alberto Manzi ( quello di “Non è mai troppo tardi”) e , appunto, di Enzo Tortora.

Il quale non solo si impadronisce in fretta del linguaggio televisivo, ma ne diventa, rapidamente e genialmente, il principale innovatore ed eversore.

Trova un nuovo modo di affrontare e raccontare lo sport conducendo per anni una “Domenica Sportiva”, che abbandona con lui la veste di arido e frenetico bollettino di dati, classifiche e risultati per diventare un divertito e garbato caleidoscopio che mescola attualità, spettacolo, immagini degli avvenimenti e dichiarazioni in diretta dei protagonisti.

Ma non è un uomo accomodante, Enzo Tortora.

Quando è all’apice del successo, gli capita di definire la Rai “un baraccone”.

In poche ore ” viene fatto fuori” e si ritrova, a quarant’anni, a reinventarsi come giornalista.

Cosa che fa con grandissimo divertimento, accettando di fare il praticante alla Nazione, di cui diventa successivamente una delle firme di punta.

Affronterà, tra gli altri, il tema della carcerazione per traffico di droga a Walter Chiari e a Lelio Luttazzi, unendosi al coro di quanti in quei giorni affrontano la vicenda con tono pregiudizialmente colpevolista.

“Al centro della vicenda Chiari- Luttazzi c’era un enorme quantitativo di cocaina. Noi ci auguriamo che i due ne escano puliti, di vero cuore. Ma, se per fare pulizia occorresse spazzare loro ed altri prestigiosi nomi, coraggio, subito”

Qualche tempo dopo, quando Luttazzi viene completamente scagionato ( restando a carico di Walter Chiari solo l’accusa di consumo personale di sostanze stupefacenti) Tortora si imbatte nel libro Operazione Montecristo, cronaca dei 27 giorni trascorsi ingiustamente in carcere dal musicista presentatore.

Di getto, scrive un articolo che pretende sia intitolato “Devo molte scuse a Lelio Luttazzi” che si chiude con queste parole:

Ora Luttazzi è uscito e nella scomoda cella del rimorso c’è entrato chi scrive: fin dalla prima pagina del suo libro.”

Ritornato in Rai dopo alcuni anni, Tortora lancia Portobello, il suo programma più geniale, che avrà punte d’ascolto incredibili perfino per l’epoca del monopolio ( medie di 23 milioni di ascoltatori per ogni puntata) e che sarà la fonte di moltissimi altri programmi televisivi delle epoche seguenti fino ad arrivare ad oggi.

Tortora diventa l’uomo più ricercato della tv.

E’ antipatico a molti intellettuali, che mettono continuamente in risalto il contrasto tra la cultura e la raffinatezza dell’uomo e la natura nazionalpopolare dei suoi programmi. Milioni di italiani seguono la trasmissione, i critici televisivi e i guru dell’intellighenzia la bollano come la tv delle lacrime e dei buoni sentimenti.

Il presentatore tira dritto per la sua strada, non ha dubbi: “Non aspiro all’aristocrazia dell’ascolto, ma alla gente semplice, a quella che incontri tutti i giorni sul tram quando vai al lavoro”.

Ed è proprio quella gente semplice, incantata dal suo linguaggio levigato e dalle sue maniere garbate, che un giorno di 25 anni fa subisce il più incredibile degli shock quando vede irrompere nei teleschermi il suo presentatore preferito ammanettato come un delinquente e con gli occhi persi nel vuoto.

E’ accaduto l’incredibile: Tortora è accusato di essere uno dei personaggi cardine della Nuova Camorra Organizzata.

Una serie di pentiti, che via via cresce nel tempo, lo accusa di essere uno dei principali collaboratori di Cutolo.

Continua ne IL MESTIERE DI LEGGERE

“Frammenti, frammenti, frammenti” : la realtà per Pessoa.

Cara Giulia,
la materia è complessa.
Pessoa era talmente geniale e prolifico nella creazione dei suoi eteronimi, ognuno dei quali rappresenta un aspetto della sua personalità, che capirlo fino in fondo credo sia impossibile a chiunque.
Mi dici anche che vuoi affrontare il tema della sua passione per l’esoterico.
Volendo risparmiarti letture che sarebbero per te molto complicate e perfino noiose,ti mando alcube considerazioni di sintesi.
Tieni presente che nel tentativo di semplificare, si tende sempre a sminuire e banalizzare, però si rischia di rendere l’idea ( è un po’ come la frase di Andreotti: a pensare male si fa peccato, ma spesso si rischia di essere nel giusto).
Baci,papà.

GLI ETERONIMI

Le cose, in Pessoa, rinviano a un abisso, un segreto che né riusciamo a penetrare con gli occhi né riusciamo a conoscere con l’intelligenza.
Ciò che le cose nascondono è il ‘perché’ della loro esistenza, un ‘perché’ che non può essere mostrato all’uomo, ma che solletica la curiosità della sua intelligenza.
Sono le cose, dunque, che ci interrogano , sono loro che ci mettono con le ‘spalle al muro’ .

Torturato, il Poeta rimpiange d’aver perso l’innocenza dello sguardo.

Le cose, infatti, nel loro nascondere altro, vengono perdute da chi le percepisce.

Che cosa significa ‘perdere le cose’? Non sapere più se il mondo sia ciò che ci sta innanzi o altro, il dubbio che esso sia sogno prende il sopravvento.
L’intelligenza non può che arrendersi dinnanzi al sogno che è la vita. Non ha i mezzi o la forza per scandagliarne i segreti.
Essa è smarrita, quasi pagasse la colpa di aver tentato di violare la superficie delle cose nel tentativo di conoscerne il mistero.

Perso il senso del mondo presente, intuendo un abisso di significati al di là di esso, Pessoa va in cerca di un’uscita dal circolo che imprigiona l’intelligenza nell’incapacità di svelare il ‘perché’ dell’esistenza .
La ricerca si sviluppa secondo due sentieri: quello della poesia e quello dell’esoterismo.
Pessoa, oltre che critico letterario e traduttore, è prima di tutto un poeta.
E alla poesia dedica grande parte del suo sforzo artistico.
Pessoa è un poeta, un «poeta drammatico»
«Il punto centrale della mia personalità come artista è che sono un poeta drammatico» .
Scomponendo la definizione ‘poeta dramático’ in tre parti ci accorgiamo che per Pessoa
1) l’aspetto poetico è dato dal ‘sentire’;
2) quello ‘drammatico’ è dato dal trasformare ciò che si sente in un’espressione estranea al contenuto stesso della sensazione, in modo da costruire una persona inesistente che a sua volta possa sentire quanto viene espresso dal soggetto.
Il poeta drammatico è quindi colui che unisce i due aspetti: sente allontanandosi da se stesso.
Questo sentire con i sensi altrui, ovvero lo scrivere poesia drammatica, è ciò che permette di relazionarci col mondo.
La poesia,con il suo essere espressione delle nostre sensazioni per il tramite di sensi altrui diventa allora una via possibile per arrivare al mistero delle cose.

La creazione degli eteronimi, veri e propri alter ego del poeta che coesistono con lui e formano una sorta di estensione del suo carattere, è quindi un processo di ricerca della verità, un tentativo di leggere la realtà prendendo le distanze da se stesso e incarnando il diverso da sè.

L’ESOTERICO

Pessoa cerca però anche un’altra soluzione per raggiungere il mistero dell’esistenza e lo fa attraverso le scienze esoteriche.
In una lettera all’amico Sá-Carneiro del 6 dicembre 1915, Pessoa dichiara che la causa della sua crisi intellettuale è dovuta anche al fatto che, nella traduzione di alcuni testi teosofici, ne ha fatto una conoscenza tale da aver intravisto molte somiglianze con il suo sistema di pensiero.
Pessoa conosce (almeno dal 1906) elementi di teosofia e occultismo.
E del resto ci dovrà pur esser stato un motivo perché l’editore si sia rivolto proprio a Pessoa per la traduzione dei testi di teosofia!
Conoscitore della filosofia ermetica, della qabbalah, delle dottrine teosofiche, dei segreti delle stelle, Pessoa non smette di pensare che anche solo dal mondo esteriore si possano raccogliere quei segni che, debitamente organizzati e interpretati, possano svelare il segreto delle cose: «Tutto il mondo è un grande libro aperto / che in una lingua sconosciuta mi sorride».
Senza una comunicazione diretta con la sapienza segreta, è impossibile la conoscenza.

La conoscenza non è nemmeno adatta a tutti e per questo essa rimane segreta, anzi, essa si serve del mondo come di un velo che tenga lontani gli uomini, impegnati a chiedersi se sia reale o meno ciò che vedono.
Così, come il Faust di Goethe, anche Pessoa si dà alla magia, quale comunicazione diretta con la verità, o con coloro che la custodiscono, gli spiriti.
Un conto è allora conoscere le dottrine dell’occultismo, esserne influenzato nella composizione di numerose poesie e nella composizione di diversi scritti di carattere esoterico, un altro praticare la magia, che nel caso del poeta portoghese è più rivolta alla conoscenza stessa dei fenomeni occulti che non a un intervento sul mondo forzando le leggi della fisica.
Più che di magia dobbiamo parlare, infatti, di un ricorrente uso dell’astrologia e delle capacità medianiche.
In una lettera alla zia Ana Luísa Nogueira del 24 giugno 1916 scrive
«Intorno alla fine di marzo (se non mi sbaglio) cominciai a essere medium. Si immagini! Io, che (come si ricorderà) ero un elemento di impaccio nelle sessioni semispiritiche che facevamo, cominciai improvvisamente con la scrittura automatica. Mi trovavo in casa, di sera, dopo essere rientrato dalla Brasileira, quando sentii la volontà, letteralmente, di prendere una penna e di appoggiarla sopra un foglio».
Capacità medianiche ed eteronimia sono in stretta relazione.:
«L’origine dei miei eteronimi è la profonda impronta dell’isteria che esiste in me…. Sia come sia, l’origine mentale dei miei eteronimi risiede nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione”.
Pessoa percorre il cammino dell’esoterismo, quindi, soprattutto sdoppiandosi in una folla di eteronimi ognuno dei quali si affanna a cercare la verità, ma si scopre comunque inadeguato rispetto alla vera soluzione al problema dell’esistenza:

«Qabbalah, gnosi, misteri, massoneria / tutto ho avuto in mano / nella ricerca ansiosa che riempie i miei giorni e le mie notti. / Ma mai il mio cuore»


L’esoterismo non è in grado di riempire il cuore, l’unica cosa che abbiamo sempre, anche se stiamo sognando.

Dunque è nella ricerca di ciò che riempie il cuore che si potrà trovare il ‘perché’ delle cose.

Anche se questo significa accettare la tragedia di non saper dir nulla riguardo la verità, ossia non esprimersi altrimenti che in «frammenti, frammenti, frammenti».

Filippo Cusumano

“Lettera al padre” di Franz Kafka

E’ impossibile capire Kafka senza scandagliare il suo rapporto con il padre.
Questo doloroso e tormentatissimo rapporto è all’origine del sentire di Kafka nei confronti delle cose della vita ed è la sorgente dalla quale scaturiscono, direttamente o indirettamente, tutti i temi della sua opera letteraria.
Il sentimento che domina lo scrittore quando pensa al padre è la paura.

Così inizia una lunghissima lettera di oltre sessanta pagine che nel 1919 Franz Kafka scrive al padre, senza poi trovare il coraggio di consegnarla al destinatario.
La lettera ripercorre la storia di un rapporto assolutamente squilibrato tra un padre troppo forte ed un figlio troppo debole.
E’ una lotta impari. Da una parte c’è “un vero Kafka in quanto a voce, in quanto a forza, salute, appetito, potenza di voce, capacità oratoria, autosufficienza, senso di superiorità, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, e per una certa generosità, naturalmente con tutti i difetti e le debolezze tipici di questi pregi, verso i quali ti spingono il tuo carattere e, a volta, la tua irascibilità.”
Dall’altra c’è un bambino “pauroso” e “testardo anche se “non indocile”, più che un Kafka un Lowy ( cognome della madre): “non mosso dall’impulso vitale, affaristico, combattivo dei Kafka, bensì da un pungolo lowyano, che agisce più nascosto e timoroso, quando non manca del tutto” .
Un bambino che desidera con tutto se stesso l’affetto del padre, ma che non ha il cuore di conquistarselo: “non tutti i bambini hanno la resistenza ed il coraggio di cercare a lungo l’affetto fino a trovarlo”.
Non mancano gli eventi traumatici. Una notte il piccolo Franz piagnucola per avere dell’acqua. Il padre, infastidito dalle sue lagne, irrompe come una furia nella sua stanza, lo afferra e lo porta sul ballatoio lasciandolo lì per un certo tempo in camicia da notte, in piedi vicino alla porta chiusa.
“Ancora dopo anni mi impauriva la tormentosa fantasia che l’uomo gigantesco, mio padre, l’ultima istanza, potesse arrivare nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul ballatoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità” .
Il dialogo risulta impossibile tra i due. Non appena il figlio si azzarda a coltivare un pensiero non collimante con quello del padre, è subito investito dalla pesantezza dei suoi giudizi negativi.
Ogni volta che Franz è entusiasta di un’esperienza e cerca di condividerla, la reazione è sempre la stessa: sufficienza ( “ho visto di meglio”), sarcasmo (” se i tuoi pensieri son tutti qui”) fastidio (”ho altro per la testa io!). E’ sufficiente che Franz esprima simpatia, ammirazione o anche semplice interesse per qualcuno ed ecco che il padre è già pronto a caricare quella persona di insulti, calunnie e denigrazioni senza alcun rispetto per il giudizio del figlio.
Schiacciato dalla personalità del padre, Kafka finisce per diventare insicuro:
“Lo ripeto per la centesima volta: probabilmente sarei diventato un un uomo poco socievole e ansioso, ma da questo al punto in cui sono arrivato il percorso è ben più lungo e oscuro [….] avevo perso la fiducia in me stesso sostituendola con un immenso senso di colpa” .
Il matrimonio diventa per Kafka lo strumento con i quale tentare di chiudere la partita.
Il matrimonio diventa nell’immaginazione dello scrittore “una garanzia di liberazione assoluta, di indipendenza” “il simbolo della parità raggiunta con il padre:”Io avrei una famiglia, vale a dire la meta più alta che a mio avviso si possa raggiungere, una meta che tu hai raggiunto, e quindi saremmo alla pari”.
Sembra possibile superare attraverso il matrimonio anche il senso di colpa: Diventerei un figlio libero, riconoscente, incolpevole, sincero e tu diventeresti un padre rasserenato, non dispotico, comprensivo, soddisfatto” .

Ad attrarre verso il matrimonio Kafka, oltre al desiderio di “saldare i conti” con il padre c’è anche il timore della solitudine, il desiderio di essere circondato da premure, assistito ed accudito.
Illuminanti a tale riguardo sono le parole di un brano del 1911 “L’infelicità dello scapolo”:
Pare così duro, restar scapolo, e da vecchio, con grave diminuzione della propria dignità, chieder ospitalità, quando si vuol passare una sera in compagnia, esser malato e dall’angolo del proprio letto per settimane intere contemplare la propria stanza vuota, congedarsi dalla gente sempre davanti al portone di casa, non spingersi mai su per le scale colla propria moglie, aver nella camera solo porte laterali che conducono in quartieri altrui, portare la cena a casa in una mano, guardare ammirato i figlioli degli altri…[….] sull’esempio di uno o due scapoli come appaiono nei ricordi d’infanzia”

Ma la strada del matrimonio che sembra così doverosa oltre che naturale e addirittura necessitata si rivela impercorribile.
A sbarrargli la strada verso questo obiettivo c’è in primo luogo un sentimento di forte inadeguatezza. Nell’unione del padre con la madre non può non riconoscere “un modello valido sotto molti aspetti, esemplare per fedeltà, aiuto reciproco, numero dei figli” .
Kafka sente di essere privo delle doti del padre che sono state il punto di forza della buona riuscita di quel matrimonio, che non può fare a meno di ammirare. Doti come “forza, disprezzo del prossimo, buona salute e una certa smodatezza, talento oratorio e inadeguatezza, fiducia di sé e insoddisfazione verso gli altri, senso del dominio e tirannia, conoscenza degli uomini e diffidenza nei confronti della maggior parte di essi e infine anche qualità prive di difetti come solerzia, tenacia, presenza di spirito, imperturbabilità”
Ma non è solo il senso di inadeguatezza quello che porta Kafka a fuggire dal matrimonio.
Il desiderio di fuga dal padre lo ha portato a costruirsi nel tempo un rifugio che all’inizio era la lettura, successivamente è diventato la scrittura.
Lo scrivere , per Kafka, è quindi uno strumento attraverso il quale conquistarsi autonomia.
Un tentativo che Kafka teme condannato all’insuccesso , ma che egli sente di dover tenere alla larga da ogni possibile pericolo.
Preferisce “il passero in mano alla colomba sul tetto” ( secondo un vecchio tedesco che equivale al nostro “meglio un uovo oggi che una gallina domani”). Anche se si rende conto, vista la difficoltà di affermarsi come scrittore di non avere in mano nulla.


“In mano non stringo nulla, sul tetto c’è tutto, eppure- così hanno deciso le condizioni della lotta e le necessità della vita – io sono costretto a scegliere il nulla”.
Insomma desidera fuggire dal carcere, ma il matrimonio gli sembra portare con sé il rischio di un altro carcere, mentre letteratura sembra almeno potergli offrire, come dice Pietro Citati nel suo bellissimo “Kafka”, “una fuga grandiosa verso l’infinito”.

Quando l’omosessualità costava la galera ( Il processo ad Oscar Wilde)

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Nel giugno del 1891 Lionel Johnson, un giovane aristocratico londinese, che ha letto per 14 volte“Il ritratto di Dorian Gray”, accompagna il cugino Lord Alfred Douglasda Oscar Wilde, autore del romanzo e glielo presenta

Figlio minore del Marchese di Queensberry, Lord Douglas ( detto Bosie) ha una carnagione molto pallida, capelli biondi, occhi chiari ed una corporatura minuta. Nelle foto che lo ritraggono con Wilde appare visibilmente più piccolo di lui ( che era tuttavia di statura molto superiore alla norma).

Poche settimane dopo, in una lettera ad un amico, Oscar scrive parole inequivocabili

“ Bosie ha insistito per fermarsi qui a mangiare dei sandwich. E’ in tutto e per tutto simile ad un narciso- così bianco e oro.[…] E” talmente stanco: giace sul divano come un giacinto ed io lo venero “

Dal novembre 1892 al dicembre 1893 i due non si separano mai.

Oscar ha poca voglia di nascondere la relazione che ogni giorno lo prende sempre di più, ma Douglas è addirittura ansioso di esibirla.

osca-bosie.jpgLe dicerie sulla vita che conducono i due corrono per tutta Londra.

Bosie, che da tempo frequenta una cerchia di giovani prostituti pronti a concedersi per qualche sterlina o per un buon pasto in un ristorante alla moda , introduce anche Wilde a questa passione.

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I due, per trovare le loro “prede” si avvalgono dei servigi di un certo Alfred Taylor, vero e proprio tenutario di un bordello maschile.

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Quando la tv era intelligente ( Biagi intervista Pasolini)

Pasolini risponde ad alcune domande di Enzo Biagi ( vedi qui l’ intervista)

Dicendo alcune cose fulminanti.

Sul successo: danneggia sempre l’uomo, lo peggiora, è l’altra faccia della persecuzione.

Sulla tv: è un mezzo antidemocratico. “nel momento in cui qualcuno ti ascolta nel video, si colloca in una posizione di inferiorità “. “Chi parla dal video parla sempre ex cathedra”

Una televisione d’altri tempi.
L’impero dell’Auditel era ancora lontano.

Non era vietato approfondire e ragionare, non accadeva di dover sacrificare il meglio di un discorso o di un ragionamento al sopravvenire della pubblicità.