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QUANDO CADONO LE STELLE

In che misura è giustificato l’interesse per la vita di un artista?

Conoscere traumi dell’infanzia, vicissitudini amorose, rovesci economici,disturbi digestivi e difficoltà respiratorie di un poeta o di un romanziere ci mette in condizione di capire ed interpretare meglio al sua opera?

Oppure noi accaniti lettori siamo, in fondo, soltanto dei “guardoni” ansiosi di frugare nella vita delle nostre “star” ? Insomma semplici e banalissimi appassionati di gossip ?

Magari convinti, a torto, di essere più “nobili” di altri cultori di gossip sulla vita di veline e calciatori?

È una questione molto controversa, sull’importanza e sull’irrilevanza del conoscere, oltre alle opere di un artista, anche i particolari della sua vita, si sono espressi in molti, da Saint Beuve ( favorevole ) a Proust ( contrario).

Un fatto però è certo : che esplorare la vita di un artista è quasi sempre un esercizio affascinante.
Se poi in questo esercizio, sei preso per mano e accompagnato da qualcuno che si è prende la briga non solo di documentarsi sulla vita dell’artista, ma anche di calarsi nella sua intimità e farla uscire allo scoperto, ecco che il divertimento e l’emozione sono assicurati.

(Gian Paolo Serino)

È quanto avviene con il primo romanzo di Gian Paolo Serino, QUANDO CADONO LE STELLE.

 

La parola che mi viene più facile usare per descrivere questo libro – e devo aggiungere che non sono il primo a farlo – è “incursione”.
Serino fa proprio questo : non si accontenta di scovare i fatti, di rintracciare i documenti, di abbeverarsi alle fonti bibliografiche più disparate, si cimenta anche in un tentativo originalissimo: quello di evocare – quasi medianicamente – lo spirito dell’artista.
Non gli basta, per esempio, sapere e farci sapere che J.Salinger, l’autore de “Il giovane Holden, ha avuto una sfortunata storia d’amore con Oona O’Neill, vuole che di ogni singolo passaggio di quella storia il lettore abbia la “versione” di Salinger.Di un Salinger/Serino naturalmente.
Un biografo “normale” racconterebbe quella vicenda mettendo a fuoco gli avvenimenti esteriori e, per darci conto della loro ricaduta psicologica, si limiterebbe a cercare le lettere scritte dall’artista in quel periodo o a interrogare le persone che gli sono state accanto. Serino fa qualcosa di più, quella storia prova a viverla in prima persona.

( Oona O’ Neill)
È lui che incontra Oona, che la porta al Central Park al laghetto delle anatre, che le prende la mano e la bacia, che poi è costretto a lasciarla per andare sotto le armi.
Ed è lui che vive il lungo incubo della guerra in Europa.


E’ lui che un giorno
apprende quasi per caso che la donna che ama si è sposata a 18 anni con Charlie Chaplin
( già 54enne).

Ma lasciamo la parola all’incursore (il modo migliore per far apprezzare la qualità di un libro è simile a quello che serve per valutare la qualità di un melone : se ne taglia un tassello e lo si assaggia).

Ecco come Salinger/ Serino ci racconta dei suoi primi incontri con Oona:
oona“Un pomeriggio la prendo per mano, fuori dal cinema, e da quel momento cominciamo a fare tutto tenendoci per mano. Non so perchè. Ancora non l’ho baciata, ancora non si sa in che tipo di rapporto andremo a finire, ma ci viene così naturale, qualsiasi cosa facciamo, ovunque andiamo. […]
La bacio per la prima volta in un pomeriggio di fine estare dopo aver tirato da mangiare alle anatre del lago per un buon quarto d’ora.
Poi ci sediamo accaldati sulla nostra panchina e ci abbracciamo. Siamo al centro di ogni cosa. Tutto il resto succede intorno, non è altro che la nostra cornice. I bambini, i ciclisti, le altre coppie che hanno appena fatto un picnic, il canto invasivo delle cicale.
“Un giorno scriverò di questo lago, Ooona. Scriverò anche di queste anatre, avranno un posto importante in una storia” le dico, durante uno dei nostri pomeriggi”
Ed ecco, ancora, il brano in cui Salinger/Serino scopre che Ooona si è sposata con un altro:
Quella mattina apro il New Yorker e lo sfoglio svogliato, un po’ come sempre, alla ricerca di nuovi scrittori pubblicati al posto mio.
Volto velocemente le pagine con le dita sporche del grasso con cui lubrifico la canna del fucile, e del lucido da scarpe per gli stivali. Noto un grosso titolo, a caratteri enormi, che non faccio in tempo a leggere, ma che, per qualche motivo, pernso meriti la mia attenzione.
Torno indietro sulla pagina.L’apro.

CHARLIE CHAPLIN SPOSA A CINQUANTAQUATTRO ANNI LA GIOVANE DICIOTTENNE OONA O’NEILL, FIGLIA DEL PREMIO NOBEL EUGENE O’NEILL

Qualcosa mi strozza la gola, impedendomi di vomitare.
Disegno Chaplin e Ooona che fanno cose insieme.
Disegno un vecchio bavoso con una ragazzina che ha appena compiuto diciotto anni.
Calco così forte sul foglio da spezzare la matita. Vorrei avere un pugnale.”
J.D. Salinger
L’incursione fatta nella vita di Salinger non è la sola che troviamo nel libro di Serino.
Grazie a lui ci “caliamo” anche nella vita di Picasso, di Cary Grant, di Egdar Allan Poe, di Kafka, di Stephen King, di Ernest Hemingway.
Arrivati alla fine del libro, ci sentiamo come i bambini ai quali si raccontano le fiabe: ne vorremmo ancora.
E chissà che non accada.
Sicuramente un altro libro di incursioni come questo io correrei subito a comprarlo…

 

Letture del giorno di Capodanno

Riemergo dal torpore del pranzo di Capodanno ( tortellini, bollito e tiramisù) e mi seggo in poltrona a leggere alcune brevi frasi di Emile Cioran.

Il libro è “Lacrime e santi”

Ho ripreso in mano questo libro, dopo tanto tempo, in maniera assolutamente casuale.

Mia figlia Giulia mi aveva chiesto un consiglio su un romanzo da leggere in tre -quattro giorni.

Mi sono così messo a scorrere i titoli della mia biblioteca e alla fine, dopo averle letto molte trame e molti incipit, per invogliarla, sono riuscito a propinarle un romanzo di Mario Vargas Llosa, “Memorie della ragazza cattiva”. Credo le piacerà. Vargas Llosa è un autore fantasioso, tratteggia bene i personaggi, costruisce in maniera accattivante le storie.
Ogni tanto inciampa in qualche frase sciatta e convenzionale, di quelle che ai quali i critici falliti come scrittori- e quindi implacabili come critici- cercano ogni tanto di impiccarlo.
Ma in fondo è dagli anni 70 che Vargas Llosa sforna un libro ogni due o tre anni,alcuni dei quali notevoli, qualche scivolone ogni tanto gli va perdonato.

Comunque questo che Giulia ha iniziato a leggere è un romanzo d’amore bello e appassionante.
Credo che le piacerà. E forse piacerà anche a qualcuno di voi ( ma…non mi assumo responsabilità ; segnalo però che è uscito anche in… edizione economica).

Ma mi sono dilungato.

Dicevo che scorrevo i tioli dei miei libri per dare un consiglio a Giulia, ed ecco che mi ricapita in mano Cioran.

E mi affascina come sempre.

Anche- e soprattutto- quando mi stupisce e mi lascia perplesso.

Tre sono gli aggettivi che secondo me meglio definiscono questo pensatore singolarissimo e unico: provocatorio, ironico, acuminato.

Ma è inutile che vi racconti chi è Cioran. Alcuni lo sanno, altri possono trovare in breve tutte le informazioni che vogliono su di lui consultando i motori di ricerca.

Mi piace di più l’idea di trascrivervi qui alcune delle frasi di questo libro che mi hanno colpito una quindicina d’anni fa, quando l’ho letto la prima volta.

Le avevo sottolineate con la matita: essendo io un bibliomane, ma non un bibliofilo, qualche volta “sporco” i libri .

Ecco le frasi che mi hanno colpito. Le lascio alle vostre riflessioni di inizio anno:

Si crede in Dio solo per evitare il monologo tormentoso della solitudine. A chi altri rivolgersi? Si direbbe che Egli accetti volentieri il dialogo e non ci serbi rancore per averlo scelto come pretesto teatrale dei nostri scoramenti.

– Gli antichi sapevano morire. Innalzarsi al di sopra della morte è stato l’ideale costante della loro saggezza. Per noi la morte è una spaventosa sorpresa.

– Dio ha creato il mondo per paura della solitudine: è questa l’unica spiegazione plausibile della Creazione.
La sola ragione d’essere di noi creature è di distrarre il Creatore. Poveri buffoni, dimentichiamo che stiamo vivendo i nostri drammi per divertire uno spettatore di cui finora nessuno al mondo ha sentito gli applausi. E se Dio ha inventato i Santi lo ha fatto solo per alleggerire un po’ di più il peso del suo isolamento.
Quanto a me, la mia dignità esige che io gli opponga altre solitudini, altrimenti non sarei che un giullare in più.

– Dio si insedia nei vuoti dell’anima. Sbircia i deserti interiori, perchè a somiglianza della malattia, egli predilige occupare i punti di minor resitenza
Una creatura armoniosa non può credere in Lui. Sono stati i poveri e gli infermi a “lanciarlo”, ad uso e consumo di chi si tormente e dispera.

FILIPPO CUSUMANO

Un romanzo di Antiniska Pozzi che sembra un film di Tarantino.

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Caleidoscopio.

Sapete cosa succede quando guardate dentro uno di quei cilindri di cartone o di metallo con dentro tanti pezzi di vetro colorati?

Agendo sul meccanismo di rotazione del cilindro, modificate la disposizione di quei pezzi di vetro e appare ai vostri occhi un’immagine di volta in volta diversa e scintillante.

E’ questa l’impressione che ho ricevuto leggendo il sorprendente primo romanzo di una giovane scrittrice esordiente “DOVE VANNO LE IGUANE QUANDO PIOVE” di Antiniska Pozzi (Cabila Edizioni)

Al centro del romanzo stanno due storie di donne, che vivono a Milano : Olivia e Dora.

antiniska

La prima tornando un giorno a casa trova nel suo appartamento il cadavere di uno sconosciuto. Non presenta segni di violenza . Sembra semplicemente un uomo addormentato. Olivia si fa delle domande e cerca di darsi delle risposte :

Uno che dorme: sul pavimento di casa mia? Ma come è entrato? Hai lasciato la porta
aperta, Olivia..Poteva almeno mettersi sul divano! Ma se è morto? Poteva almeno morire sul divano…

Non è un morto di mia “competenza”, pensa Olivia, forse “appartiene” a qualcuno dei vicini.
Invece di chiamare la polizia, si mette in testa di andare dai vicini a chiedere se il morto, per caso, è loro.
Come se, invece di un morto, avesse scoperto nel suo soggiorno un gatto intrufolatosi per caso nel suo appartamento.
Decide quindi di andare a bussare alla porta di ognuno dei suoi condomini, entrando in contatto con storie e persone inattese.

Dora, la seconda protagonista del romanzo, è una precaria di trent’anni, che vive con un fratello che consegna le pizze a domicilio e che odia il genere umano.
Dora ha fatto un errore.
Ha letto “Il deserto dei Tartari”.

[..] ormai non riesce a tenere il culo sulla stessa sedia per più di tre mesi senza sentirsi lì, su uno degli avamposti della Fortezza Bastiani. Si sente che la stanno fregando perchè non arriverà nessun Tartaro, nessuno, e allora lei non ci resta alle dipendenze di quell’idiota del signor Bellasi, che non sa neanche cos’è, lui, la Fortezza Bastiani.”

Fosse un verbo, Dora sarebbe un condizionale . Vorrebbe scrivere un libro “come la metà degli abitanti del pianeta terra”, ma in cuor suo spera “che gli arrivi a casa uno di questi giorni già pubblicato e anche impacchettato con i compliementi dell’editore”

Dora desidera continuamente fare qualcosa che non ha il coraggio di fare. Tipo non ripresentarsi in ufficio dopo la pausa pranzo, lasciando sulla sua scrivania, a mo’ di ultimo messaggio per il suo deprimente capo ufficio un bel disegno “con un gran bel dito medio alzato che svetta su una mano chiusa a pugno.”
Mentre si inebria in questa fantasticheria e si gasa nei confronti del suo capo, insultandolo mentalmente ( “stronzo incravattato”, “sottospecie di decerebrato”) riceve una telefonata proprio da lui e così gli risponde:

“Pronto ? Buon giorno, signor Bellasi, mi dica. Sì d’accordo, lo faccio subito. A dopo”.

E sì che tra i suoi sogni di donna un po’ Fantozzi, un po’ Malussene c’è anche questo, che confida al fratello :
“Quando squilla il telefono immagino di rispondergli “Stronzo?” con l’intonazione con cui direi “Pronto?”. Poi non lo faccio, per fortuna, ma fino all’istante prima in cui apro la bocca per emettere suono sono sicura che glielo dirò! Un incubo, non posso andare avanti così…”

Ma la stralunata Olivia e la velleitaria Dora non sono che le prime attrici del romanzo.

Perchè, come ho detto sopra, il libro è un caleidoscopio.

Non solo ci sono infinite variazioni di registro, ma appaiono sempre nuove figure, descritte in maniera incisiva e vivacissima.

Come l’antropologo Victor Luiz Pereira, vicino di casa di Olivia, che fuma cinquantanove sigarette al giorno, la cui casa sembra “un tempio in rovina” con le cataste di libri che oscillano dappertutto, pronte a sgretolarsi al primo tocco.

“Victor Luiz Pereira ha i capelli bianchi e gli occhi verdi. E’ l’uomo più vanitoso della città […]
Ogni mattina si alza alle sette, si schiarisce la voce, si accende la prima Belmont della giornata e pronuncia un nome di donna, dicendo: ‘è un buon nome per il mio romanzo’. Quasi sempre è il nome della donna che la sera prima lo ha accompagnato a casa”

Oppure come Arda Cavallini, la “grassa locandiera” del Caimano Triste, il caffè frequentato da Victor.

“…Una donna d’altri tempi, sebbene non sia chiaro quali. Ha polpacci che sembrano lì lì per esplodere, trattenuti dalle calze a rete grossa, rigorosamente bianche, come la camicetta con le maniche a sbuffo, che la fa sembrare una Biancaneve grassa, espansa, dalla consistenza della pasta del pane.[..] Cammina instancabile su e giù per la cucina, ancheggiando pericolosamente come solo certe femmine sanno fare[…] E’ una donna con molte attrattive: le mani corte sempre infarinate e imburrate, il grembiule strizzato sul seno sconfinato e quel nome quel nome …Arda. Una sirena erotica, un nome grasso, rotondo, da affondarci dentro la testa”.

Ma ci sono anche una centenaria dai poteri paranormali, tre fratelli malavitosi, un decoratore cileno che nasconde un segreto nella vasca da bagno…

anti2Non so se il libro si trovi in tutte le librerie, ma se non lo trovate, ordinatelo via internet.
Credo che ne rimarrete sorpresi, divertiti, deliziati.

“Dove vanno le iguane quando piove” è un romanzo, colorato, rumoroso, imprevedibile, molto “cinematografico”.

Una lettura diversa dalle solite, ma anche, grazie ai suoi continui cambi di registro e al linguaggio, una piccola lezione di stile.

 

Crema alla cioccolata.

Molti di noi hanno interesse, oltre che per le opere,  per la vita degli scrittori.

E’ un interesse che può essere funzionale non solo ad appagare la nostra curiosità, ma anche a capire meglio il contenuto delle loro opere.

Oggi invece voglio parlare dell’interesse che alcuni hanno a visitare i luoghi descritti o a fare le esperienze descritte in un libro particolarmente amato.

Farò due esempi che mi provengono dalla frequentazione di un libro che ho letto da giovane e ripreso varie volte in mano perchè, secondo me, è uno dei libri più grandi che siano stati scritti: La recherche du temp perdu di Marcel Proust

Il PRIMO ESEMPIO riguarda la cucina.

Il cibo ha un ruolo di primo piano nella Recherche. E’ descritto con calore e mangiato con gusto.

Moltissimi sono i piatti che Proust fa sfilare sotto il nostro naso nel libro: soufflè al formaggio, insalata di fagiolini, trota alle mandorle, triglia di scoglio alla griglia, bouillabaisse, razza al burro nero, agnello con salsa bearnaise, manzo alla Stroganoff, mousse di lamponi, madeleine, crostata di albicocche, crostata di mele, dolce all’uva, crema al cioccolato.

Tempo fa un cuoco famoso ha pubblicato un libro con le ricette di tutti i cibi citati da Proust nella Recherche. Il titolo è proustiano a sua volta: La cuisine retrouvée.

Grazie a questo libro anche un cuoco di modesta esperienza e di grande diligenza potrebbe ricreare la stessa creme al cioccolato che Francoise serviva al Narratore e alla sua famiglia a Combray.

illiers_cartolina

Il SECONDO ESEMPIO riguarda proprio Illiers, il paesino del nord della Francia, nel quale Proust trascorse le sue estati della sua infanzia, nella casa della sorella del padre, Elisabeth Amiot.Nella Recherche Illiers è diventata Combray e la zia Elisabeth è diventata la mitica zia Leonie.

Oggi Illiers si chiama Illiers- Combray, sono ormai quasi quarant’anni che al nome originario è stato aggiunto quello di fantasia attribuitole dallo scrittore.

Scrive Alain De Botton nel suo bel volume “Come Proust può salvarvi la vita” ( ed. Guanda):

Dà una strana sensazione attraversare in auto una città che ha in parte rinunciato al suo diritto ad un’esistenza autonoma per un’immagine modellata su di lei da uno scrittore che vi ha trascorso qualche estate da ragazzo alla fine del diciannovesimo secolo.
Ma a Illier-Combray l’idea sembra piacere.
In un angolo della rue du Docteur Proust, alla porta della panetteria pasticceria è appeso un grande cartello che lascia un po’ sconcertati: “la casa in cui zia Leonie comperava le sue madeleine”.

Il panettiere- che non ha letto il romanzo- sa che il negozio avrebbe chiuso da molto tempo se non fosse stato per la Recherche, che attira clienti da tutto il mondo”.

La cittadina, ci assicura De Botton, non è molto diversa da molte altre cittadine di quelle dimensioni che si trovano nella stessa regione.

La guida redatta dall’agenzia turistica del posto, tuttavia, così ci ammonisce:

“Se si vuole cogliere il senso più profondo e riposto della Recherche prima di incominciare a leggere bisogna dedicare un’intera giornata alla visita di Illiers-Combray. Si può sentire la magia di Combray solo in questo luogo privilegiato”

Cosa direbbe Proust di tutto questo?

Certo, sarebbe felice di essere ricordato ed amato, ma ci ammonirebbe parlandoci di quella che chiamava “l’idolatria artistica”.

In senso religioso, l’idolatria è la fissazione per un aspetto del culto: l’immagine di una divinità adorata ci distoglie dallo spirito della religione che pratichiamo nella sua globalità.

Così, se parliamo di arte, secondo Proust, un problema analogo, quello che appunto chiama “idolatria artistica”, si manifesta quando rivolgiamo la nostra adorazione agli oggetti della rappresentazione artistica, invece che concentrare la nostra attenzione sullo spirito dell’opera.

Fedele a questa sua visione, Proust ci direbbe:

“Preparatevi, se volete, la creme al cioccolato di Francosise o andate, se lo desiderate a visitare Illiers, ma, se davvero volete rendermi omaggio, cominciate a guardare il VOSTRO mondo con i miei occhi, non il MIO con i VOSTRI.”

Insomma, al posto della creme potremmo mangiarci un hamburger, cercando di gustarcelo come farebbe Proust.
In luogo di Illiers potremmo visitare Bonneval o Courville, ma cercando di vederle con gli stessi occhi Proust.

Chiudo la nota con una ricetta, quella della famosa creme al cioccolato che la domestica Francoise nella Recherche prepara al Narratore ( fatela con amore, mi raccomando):

CREME AL CIOCCOLATO DI FRANCOISEIngredienti: 100g di cioccolato fondente, 100g. di zucchero, mezzo litro di latte, sei uova.

Preparazione: Fate bollire il latte, aggiungete il cioccolato a pezzetti e lasciate sciogliere adagio, mescolando.
Sbattete lo zucchero con il tuorlo delle sei uova,
Intanto avrete preriscaldato il forno a 130°.
Quando il cioccolato si sarà sciolto completamente, lo unirete alle uova e allo zucchero, mescolando energicamente, poi filtrerete utilizzando una garza.
Versate il tutto in stampi di 8 cm di diametro e mettetelo in forno a bagnomaria per un’ora.
Lasciate raffreddare prima di servire.

E’ importante conoscere la vita di uno scrittore? ( segue ricetta per il flan di zucca)

Due sere fa cenavo con un amico in una trattoria di Campo S. Giacomo dell’Orio. Uno dei temi che abbiamo affrontato, mentre gustavamo un ottimo flan di zucca, era questo, che mi piace allargare anche a coloro che avranno la pazienza di leggere questa breve nota:

 

In che misura è giustificato l’interesse per la vita di uno scrittore?

Conoscere traumi dell’infanzia, vicissitudini amorose, rovesci economici,disturbi digestivi e difficoltà respiratorie di un poeta o di un romanziere ci mette in condizione di capire ed interpretare meglio al sua opera?

Oppure noi accaniti lettori siamo, in fondo, soltanto dei “guardoni” ansiosi di frugare nella vita delle nostre “star” ?

Insomma semplici e banalissimi appassionati di gossip ?

Magari convinti, a torto, di esserre più “nobili” di altri cultori di gossip sulla vita di veline e calciatori?

Prima di addentrarmi nell’argomento, devo premettere che la mia passione per la vita degli scrittori rimarrà, anche se dovessi pervenire alla convinzione che è solo “guardonismo”.

Perchè, se è giusto cercare di debellare le passioni insane, quelle innocue vanno invece alimentate
( non credo alla felicità, ma quello che più le si avvicina è il divertimento, l’interesse per le cose che si fanno)

Continuerò, quindi, a raccogliere annedoti letterari e a raccontare i più interessanti nelle mie note.

Esaurito il preambolo, ecco come intendo affrontare il tema.

Illustrerò due tesi contrapposte molto autorevoli, poi mi farò da parte e dirò la mia inserendomi tra i commenti, sperando di non essere…. l’unico a trovare interessante la questione.

Primo teste: Charles Augustin de Sainte-Beuve ( 1804-1869) .

 

Che dice Saint Beuve?

” Finchè, su uno scrittore, non ci saremo posti un certo numero di quesiti, e non avremo dati ad essi una risposta, sia pure per noi soli e abassa voce, non potremo essere sicuri di tenerlo tutto intero, quand’anche tali quesiti possono sembrare lontani dalla natura dei suoi scritti
Che cosa pensava in fatto di religione? Come reagiva allo spettacolo della natura? Quale era il suo regime di vita, la sua esistenza di tutti i giorni? E, infine, quale era il suo vizio e il suo punto debole?
Nessuna risposta a queste domande è senza importanza.”

Secondo teste: Marcel Proust ( 1871-1922)

 

“Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi”
” E’ vero che ci sono persone superiori ai propri libri, ma questo accade perchè i loro libri non sono LIBRI.”
” Balzac può essere stato maleducato, Stendhal noioso nella conversazione e Baudelaire ossessivo, ma perchè questo dovrebbe influire sul nostro modo di leggerne le opere, che non presentano nessuno dei difetti dei lor autori?”

Aggiungo, di mio ( sentendomi, inevitabilmente, schiacciato dai due giganti che ho citato) e allacciandomi all’ultima citazione :

Ci aiuterebbe a comprendere meglio la Recherche il fatto di sapere che Proust aveva una madre ebrea, che soffriva d’asma, che aveva problemi intestinali, la pelle ipersensibile, era terrorizzato dai topi, freddoloso oltre ogni immaginazione?
E’ importante sapere che era omosessule?
Abbiamo necessità di sapere che, quando descrive Albertine pensa, invece, all’amore della sua vita Alfred Agostinelli?

Segue dibattito…

Per chi, poco appassionato alla questione posta, desiderasse avere informazioni sul flan di zucca citato all’inizio della nota pubblico qui la ricetta di questa autentica ghiottoneria ( l’ho sperimentata con successo):

Ingredienti: polpa di zucca, besciamella, uova e del parmigiano.
Calcolate che per mezzo litro di besciamella io, in genere, utilizzo (ad occhio) circa 1 kg. di polpa di zucca, aggiungete una bella manciata di parmigiano grattugiato, un rosso d’uovo ed un uovo intero per amalgamare il tutto.
Essendo la zucca un prodotto con un’alta percentuale d’acqua, usate una besciamella molto consistente, amalgamate tutti gli altri ingredienti e versateli negli stampini «usa e getta» precedentemente infarinati ed impanati.
Cucinate a bagnomaria per circa 15 minuti, quindi servite grattugiandoci sopra ricotta affumicata e guarnite con semi di zucca abbrustoliti.

“A OSCAR WILDE che posa da sodomita”

oscar7wildeComincio qui una storia che richiede lo spazio di più note .Racconterò di Oscar Wilde e del suo amore per Alfred Douglas.Questa è la prima puntata.

Verso la fine di giugno del 1891 Lionel Johnson, un giovane aristocratico londinese, che ha letto per 14 volte “Il ritratto di Dorian Gray” accompagna il cugino Lord Alfred Douglas da Oscar Wilde, autore del romanzo e glielo presenta.

Figlio minore del Marchese di Queensberry, Lord Douglas ( detto Bosie) aveva una carnagione molto pallida, capelli biondi, occhi chiari ed una corporatura minuta.

Nelle foto che lo ritraggono con Wilde appare visibilmente più piccolo di lui ( che era tuttavia di statura molto superiore alla norma).

Secondo Douglas, Wilde passò il tempo ad assediarlo riuscendo nella conquista dopo circa sei mesi.

Di lì a poco, in una lettera ad un amico, Oscar scrive parole inequivocabili: “Mio caro Bobbie, Bosie ha insistito per fermarsi qui a mangiare dei sandwich. E’ in tutto e per tutto simile ad un narciso- così bianco e oro.[…] E” talmente stanco: giace sul divano come un giacinto ed io lo venero “.

Dal novembre 1892 al dicembre 1893 i due non si separano mai. Oscar ha poca voglia di nascondere la relazione che ogni giorno lo prende sempre di più, ma Douglas è addirittura ansioso di esibirla.

Chi invece è enormemente preoccupato da questa relazione è il padre di Bosie.

John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry, è un uomo singolare (ha ereditato un enorme patrimonio, dilapidandone la metà in scommesse sui cavalli).

Le dicerie sulla vita che conducono i due corrono per tutta Londra.

Bosie1894Bosie, da tempo frequenta una cerchia di giovani prostituti pronti a concedersi per qualche sterlina o per un buon pasto in un ristorante alla moda . A questa passione ha introdotto anche Wilde . I due, per trovare le loro “prede” si avvalgono dei servigi di un certo Alfred Taylor, vero e proprio tenutario di un bordello maschile. Ai giovani prostituti con i quali si incontra Wilde dispensa spensieratamente denaro, portasigarette in oro o argento e altri regali. E’ generoso, cordiale, brillante. Parlerà poi di quel periodo come del periodo in cui ” banchettava con le pantere”.

I giovani sono infatti molto avidi e spregiudicati e spesso pronti al ricatto. Da pochi anni ( 1885) è stata approvata in Inghilterra una legge, il Criminal Law Amendment Actc, che per la prima volta vieta gli atti osceni tra maschi adulti consenzienti ( si dice che la Regina Vittoria , avendole qualcuno fatto notare che non era prevista alcuna sanzione per le donne, abbia liquidato seccamente le questione, dicendo :”Nessuna donna farebbe mai una cosa simile”). Il rischio che, con la loro condotta ostentata ed ogni giorno più imprudente i due corrono è quindi un rischio reale e piuttosto grave: la pena prevista era quella della “detenzione fino ad un massimo di due anni, con o senza lavori forzati”.

Naturale quindi che il Marchese di Queensberry si preoccupi delle conseguenze che la relazione può avere sulla reputazione, ma anche sulla fedina penale del figlio.

Dopo vari tentativi di convincere quest’ultimo a troncare la relazione e un’irruzione con minacce in casa di Wilde rimasta priva di effetti, decide di passare a provocare il drammaturgo in maniera plateale.

queensbi1Va a trovarlo all’Albermarle Club e, non trovandolo, gli lascia un biglietto che dice “A Oscar Wilde che posa da sondomita ( sic: “somdomite”)..

Bosie, che odia il padre profondamente, convince a questo punto Wilde a citare in giudizio il marchese per calunnia.

Il 9 marzo ha inizio il processo.

L’avvocato che difende Queensberry è Edward Carson (v.foto) , compagno di studi di Wilde al Trinity College di Dublino. Wilde accoglie la notizia con leggerezza: “Sarò interrogato dal vecchio Ted Carson. Farà senz’altro la sua parte con quel tanto di cattiveria tipica di un vecchio amico”

Quello che non immagina è che, mentre lui e Bosie, approfittando di un rinvio delle udienze, si assentano per alcuni giorni per recarsi a Montecarlo, Carson esamina le prove raccolte da alcuni investigatori privati sguinzagliati nei posti più malfamati di Londra che hanno scovato tutti i giovani prostituti frequentati dalla coppia: lacchè, fattorini, stallieri, camerier, studenti, tutti personaggi già noti alla polizia, così come il loro “protettore” Alfred Taylor.

Alla ripresa del processo Carson incomincia, nell’interrogatorio di Wilde, a chiedergli di coomentare i suoi scritti.

Wilde risponde da par suo.

Carson legge diversi passi de “Il ritratto di Dorian Gray” scegliendo quelli che alludono a rapporti amorosi tra persone dello stesso sesso. Quando Carson insinua che il romanzo sia un libro perverso, Wilde replica in maniera sprezzante: “ Forse, ma solo per i bruti e gli ignoranti. Le opinioni dei filistei sono di una stupidità incommensurabile”.

Dal romanzo Carson passa alle lettere personali. “Ragazzo tutto mio”, legge ad alta voce, citando le parole d’attacco di una lettera scritta da osca a Bosie. “Perché un uomo della vostra età si rivolge ad un giovane di vent’anni più giovane di lui chiamandolo ragazzo tutto mio ?”

Per un po’ continua la schermaglia tra l’ironia di Carson e le risposte sprezzanti di Wilde. Vengono letti passi sempre più espliciti delle lettere di Oscar a Bosie Vengono fuori, lette dalla voce volutamente incolore e spoetizzante di Carson, espressioni come “le tue labbra di petalo di rosa rossa”, “la tua flessuosa anima aurata “.

L’avvocato procede facendo in modo di lasciare alla fine le lettere più ardite, in un crescendo che lascia il pubblico e la giuria con il fiato sospeso. “Ragazzo carissimo tra tutti, la tua lettera era deliziosa, vino rosso e dorato per me; ma io sono triste e sconsolato; bosie non devi fare scenate con me. Mi uccidono sciupano le bellezze della vita… Devo vederti presto. Tu sei l’oggetto che mi manca, l’oggetto di grazia e di bellezza… Perché non sei qui, mio caro e meraviglioso ragazzo?”

Alla fine di queste citazioni, Carson pone al teste la domanda cruciale, gli chiede cioè se sia questo il tipo di lettera che un uomo scrive ad un altro uomo. Wilde crede di cavarsela con la solita risposta evasiva.

Asserisce che quella lettera è semplicemente la prova del suo affetto e della sua ammirazione per Lord Douglas. Ma Carson lo incalza : “Non pensate che adulare un giovane, in pratica corteggiarlo, sia la stessa cosa che corromperlo?”.

carsonL’avvocato non molla la presa.

Dalle lettere di Wilde passa ai ricattatori che le hanno utilizzate: fattorini e stallieri che hanno varcato con il poeta la soglia dei locali più esclusivi di Londra, condividendo con lui cibi sofisticati e fiumi di champagne. “Non è strano– incalza Carson- che un uomo di più di quarant’anni prediliga con tanta insistenza la compagni di uomini così giovani?”. Wilde non rinuncia alla battuta “Per me la gioventù, il solo fatto della gioventù, è così meraviglioso che preferirei chiacchierare per mezz’ora con un giovane che essere interrogato in tribunale

Carson incassa la risposta per quello che è: la conferma del fatto che Douglas non è il solo giovane al quale Wilde si è accompagnato nel corso degli ultimi anni.

Alla seconda udienza, Wilde non si presenta. Il suo avvocato lo ha convinto a rinunciare e cerca di negoziare un’uscita onorevole.

Riesce ad evitare la sfilata dei testimoni, ma non la formula finale, con la quale la giuria chiude il processo: non solo Queensberry è innocente del reato di calunnia, ma ha avuto ragione, per il bene pubblico, a sollevare la questione.

La formulazione della sentenza, alla luce della legislazione vigente in tema di sodomia, rende inevitabile un secondo processo, questa volta con Wilde come imputato.

Gli amici più fidati scongiurano Wilde di riparare in Francia.

oscar il giudiceMa il poeta preferisce restare ad aspettare la sua sorte. Preferisce affrontare gli eventi che l’onta della fuga.

Poco dopo è arrestato per il reato di atti osceni.

Il processo si conclude con una condanna a due anni.

La sentenza viene pronunciata il 25 maggio 1895. Il giudice che la emette la commenta così : “Non posso che pronunciare la condanna più severa prevista dalla legge. A mio avviso essa è totalmente inadeguata in un caso come questo.

” …CONTINUA

La prima moglie

rebeccaLei: Cosa stai leggendo?

Lui: Un vecchio romanzo di Dafne Du Maurier, che ho trovato in una bancarella, ” Rebecca, la prima moglie”

Lei: Di cosa tratta?

Lui: Una donna, poco dopo le nozze, per vari motivi, comincia a temere di avere sposato una persona diversa da quella che aveva creduto di conoscere.

Lei: Beh, che c’è di nuovo?

Come si sceglie una moglie.

svevocasaNel romanzo “La coscienza di Zeno”, il protagonista, innamorato di Ada Malfenti, si dichiara a lei con grande goffaggine durante un ricevimento.
Respinto, quella sera stessa, fa la una proposta di matrimonio ad Alberta, sorella di Ada, giovanissima studentessa delle superiori, ricevendo ancora una volta un rifiuto.
Pochi istanti dopo, imbattendosi in un corridoio in Augusta, la maggiore e la meno avvenente delle sorelle, viene finalmente accettato.
Pur consapevole di essere la terza scelta, come l’ineffabile Zeno si affretta a confessarle, Augusta prende in mano la situazione e dice:”Voi, Zeno, avete bisogno di una donna che voglia vivere con voi e che vi assista. Io voglio essere quella donna”.E con questa frase, più adatta ad   una badante che espone le sue credenziali che a una donna innamorata, si chiude la ricerca di una sposa per Zeno.
Perchè si sceglie una donna piuttosto che un’altra? Svevo dà una risposta sgangherata e brutale, all’apparenza.
PER ESCLUSIONE, sembra dire.
Oppure perchè ( e sembra ancora più brutale) c’è sempre un uomo indeciso a tutto e una donna decisa a prenderselo.
Ma ci dimentichiamo la psicanalisi e il potere dell’inconscio ( non li dimentica certo, invece, Svevo, che fu uno dei primi cultori di Freud).
svevo famiglia
Nulla accade per caso, dice Freud:  anche ciò che appare frutto di un lapsus, di un allentamento emotivo delle nostre difese, è in realtà fortemente voluto.
Se si legge il romanzo fino alla fine si scopre, infatti, che quel matrimonio fu felicissimo e che Zeno sceglie Augusta perchè, a livello inconscio,  pensa che è  l’unica donna con la quale potrà essere felice.

Bukowski, una vita maleducata.

BukowskiVoglio una vita maleducata, di quelle vite fatte così. Voglio una vita che se ne frega, che se ne frega di tutto sì. Voglio una vita spericolata, di quelle che non dormi mai”.

Henry Charles Bukowski, detto Hank, avrebbe apprezzato molto, se l’avesse conosciuta, questa canzone di Vasco Rossi.

Nato il 16 agosto 1920 ad Andernach in Germania, Bukowski  è stato sicuramente il più “spericolato” e “maleducato” scrittore del Novecento.

Figlio di un ex artigliere delle truppe americane, Charles non saprà mai parlare una parola di tedesco, perchè lascia la Germania a tre anni, quando la sua famiglia si trasferisce a Los Angeles (visiterà la sua città natale a pochi anni dalla morte, stupendosi costantemente del fatto di essere diventato una star nel suo paese natale).

Ha solo 3 anni quando la famiglia si trasferisce a Los Angeles, negli Stati Uniti.

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E’ un ragazzo chiuso e confuso, in continuo conflitto con il padre.

E’ complessato ed infelice per il suo aspetto.

Da piccolo lo deridono per il suo accento vagamente teutonico, da adolescente per il corpaccione sgraziato e la faccia butterata.

Passa i primi anni di  vita sulla difensiva.

E sulla difensiva resterà fin quasi alla fine.

A tredici anni inizia a bere e a frequentare teppisti.

Nel 1938,  preso il diploma, lascia la famiglia e inizia  un lunghissiomo periodo di vagabondaggi, lavori saltuari, alcolismo.

Lavapiatti, posteggiatore,  facchino.

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Dorme quando può e dove può, fa a botte ad ogni occasione ( prendendole spesso: “Ero un buon pugile, ma con mani troppo piccole”dirà poi),  finisce spesso in gattabuia per rissa o schiamazzi notturni.

Insomma una vita che più maleducata non si può.

Ma scrive. In ogni occasione, in ogni posto, a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma soprattutto la notte, continua a scrivere.

I suoi racconti e le sue poesie cominciano ad apparire sempre più spesso nelle riviste underground.

Scrive sempre, ed ossessivamente, della cosa che conosce di più: se stesso ( ” Agli scrittori piace solo la puzza dei propri stronzi”).

La sua condizione di emarginato lo ispira: «Solo i poveri riescono ad afferrare il senso della vita, i ricchi possono solo tirare a indovinare.»

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Gli scontri con gli uomini, gli incontri con le donne, il vino, la birra,  le corse dei cavalli, la sua scassata Wolkswagen(«Prendete pure la mia donna, ma non toccatemi l’auto»), i vicini di casa, i risvegli con la testa che scoppia e lo stomaco in subbuglio, le scenate, i rari momenti di languore romantico, la irresistibile voglia di provocare ed offendere, che poi imprevedibilmente lascia il posto a gentilezza e sensibilità ( come se in lui abitassero, a seconda della quantita- e qualità- dell’alcol ingurgitato, diverse personalità).

Tutto questo entra di forza nelle pagine di Bukowski e lo rende uno scrittore inimitabile.

Il sesso è raccontato in maniera cruda, meccanica, a volte comica:” Il sesso è tragicomico. Ne scrivo come di una risata sul palcoscenico, come di un intermezzo tra un atto e l’altro”

Nessuno ha la sua totale e sgradevole sincerità, nessuno  si spoglia, si denigra, si commisera e si irride come lui.

Nessuno come lui odia la retorica: “ Se mai dovessi parlare d’amore o di stelle, uccidetemi

Nessuno più di lui disprezza i suoi simili: “Gli uomini per me sono come sassolini bianchi; anzi no, ripensandoci, i sassolini bianchi non sono poi così male”

Insomma un grande scrittore che è anche un grandissimo personaggio

La  scrittura è veloce, quasi sincopata,  semplice, ma, pur nella semplicità, sempre  feroce e corrosiva.

Più le sue condizioni di vita sono squallide eprecarie, più si sente ispirato : “Solo i poveri riescono ad afferrare il senso della vita, i ricchi possono solo tirare ad indovinare”

Assunto dal Postal Office di Los Angeles, Bukowski attraversa gli anni ‘50 e ‘60 continuando ad essere uno scrittore semiclandestino.

E’ un autore di culto, come diremmo oggi, ma per pochissimi.

Poi, un giorno,  quando è già un uomo maturo, una collezione dei suoi pezzi più trasgressivi e velenosi esce in volume.

Il libro si intitola “Taccuino di un vecchio sporcaccione” ed ha un discreto successo.

Prende coraggio e lascia l’ufficio postale.

Ha quarantanove anni ( anche se ne dimostra molti di più) , ma, anche se il suo corpo è devastato da una vita disordinata e dispendiosa come poche, ha sempre più voglia di scrivere e di raccontarsi.

E più l’uomo Bukowski è distrutto e rovinato, più i suoi racconti acquistano forza e freschezza.

Ha la fortuna di incontrare a quel punto un uomo che crede moltissimo in lui e nella sua possibilità di diventare uno scrittore di successo.

L’uomo è John Martin.

Manager di professione e appassionato di letteratura per vocazione, Martin gli offre un assegno periodico quale anticipo sui diritti d’autore e si impegna  a promuovere e a commercializzare le sue opere.

Il sodalizio ha un enorme successo.

All’inizio soprattutto in Europa, successivamente anche in America.

Inizia il periodo dei reading poetici, vissuti da Bukowski come un incubo  e raccontati magnificamente in molti  racconti : “Viaggiare è una seccatura: di problemi ce nono sempre a sufficienza già dove sei”

Proprio durante una di queste letture, nel 1976, Bukowski conosce Linda Lee, che riesce nell’impresa di cambiargli regime alimentare e ridurgli l’alcol.

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Ormai Bukowski può permettersi una villa con piscina, una Bmw al posto della Wolkswagen, vino bianco di prima qualità e ristoranti di lusso.

Gli ultimi anni sono vissuti in grande serenità e agiatezza.

Ma la vena creativa non viene meno.  Continua a scrivere e a pubblicare fino alla fine.

bukowski_matitaMuore nel 1994.

Alla morte è dedicato uno dei suoi scritti:

“Ti ho dato tante di quelle occasioni

che avresti dovuto portarmi via

parecchio tempo fa.

Vorrei essere sepolto

vicino all’ippodromo…

per sentire la volata

sulla dirittura d’arrivo”.

Piccola storia di Barbapapà: Pansa ci racconta il suo Eugenio Scalfari.

il revisonista

Un gigante del giornalismo.

Un direttore carismatico e intransigente, capace di incalzare la redazione e i singoli giornalisti con  reprimende  devastanti.

Nemico della sciatteria, dell’approssimazione.

Furbissimo nei rapporti con i leader politici.

Sicurissimo di contare molto più di loro ( “loro passeranno , questo giornale resterà”)

Infaticabile nel pretendere sempre di più dai suoi redattori e nel trainare il giornale a risultati di vendita di cui nessuno all’inizio lo accreditava.

Inventore di una formula di incredibile successo: quella del giornale “libertino“, in grado cioè di dare voce, con grande disinvoltura e libertà, ad un parere ed anche al suo esatto opposto.

Grande uomo d’affari, prontissimo a vendere il giornale nel momento più opportuno e  a diventare miliardario.

Ieratico e supponente, progressivamente trasformatosi nel monumento di se stesso.

Capace di togliere il saluto a chi lasciasse la sua redazione, considerando il gesto alla stregua di un affronto personale o di un tradimento.

Questo è  il ritratto vivace e realistico, scritto sempre in bilico tra autentica ammirazione per il direttore di giornale e profonda disistima per l’uomo, che ci offre di Eugenio Scalfari, “soprannominato BARBAPAPA’,  un altro grande del giornalismo, Gian Paolo Pansa nel suo ultimo libro “ Il revisonista”

Il libro è una sorta di autobiografia intellettuale che ripercorre oltre cinquant’anni di storia del giornalismo e della politica.

Lo stile è quello, fantasioso,  disincantato e personalissimo che ha reso riconoscibilissimo il lavoro di Pansa.

Per chi volesse leggere tutto il capitolo, interessantissimo, su Scalfari, pubblicato in anteprima dal Giornale ( il libro esce il 20 maggio) vi indico il link:

Vi racconto Scalfari, l’arrogante “Barbapapà” che ama il potere

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