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Ancora su Almirante ( il tempo della melassa)

Ieri ho parlato nel mio blog della via che, a Milano, qualcuno vuole dedicare a Giorgio Almirante.
Una bella trasmissione di C-6 Tv ( una televisione via Web) che segnala i post ritenuti più interessanti ha citato il mio post dal titolo Una via ad Almirante? Perchè no? ( e a Mussolini quando?)
Non potendo collegarmi con la trasmissione, come mi era stato richiesto, ho inviato una mail al redattore che mi aveva interpellato per rappresentargli i motivi del mio interesse per il tema “Almirante”
Eccola:

Sono nato nel 1951, ho quindi fatto in tempo a vedere in Tv ( e qualche volta anche in piazza) Giorgio Almirante.
Ho di lui un ricordo fatto di ammirazione e di orrore.
L’ammirazione è quella che riservo sempre a coloro che hanno la capacità di parlare in maniera precisa e coinvolgente.
Insieme a Malagodi, Almirante era il politico più dotato sul piano della comunicazione. Non c’era obiezione che lo spaventasse, strettoia dialettica dalla quale non uscisse vincitore.
Ma soprattutto era chiaro. Difficile non capire qual’era il cuore del suo discorso, difficile fraintendere le sue intenzioni.
Tutto il contrario di quanto pensavo acoltando le tortuosità e i distinguo che circondavano i discorsi dei leader dei partiti di maggioranza.

L’orrore mi proveniva da quello che Almirante rappresentava.

Gli anni in cui ho cominciato a seguire la politica erano quelli immediatamente precedenti al ’68 e quelli, come me, che si appassionavano alla politica perchè credevano in un futuro di maggiore giustizia e di opportunità per tutti, provavano autentica ripugnanza per le idee delle quali Giorgio Armirante era portatore.
Chi era fascista allora lo era fino in fondo, ma anche chi era antifascista  lo era fino in fondo.
Eravamo due mondi contrapposti, inconciliabili, pianeti di galassie diverse.
La distanza che c’è oggi tra berlusconiani e antiberlusconiani assomiglia alla distanza che c’era allora tra fascisti e antifascisti, ma, dal punto di vista dell’intensità emotiva, non ne  è che il pallido riflesso..
Allora si parlava di dominatori ed oppressi, di ricchi e poveri, di borghesi e operai.
Gli interessi in campo e  le posizioni conseguenti erano ben distinti ( e i rampolli delle famiglie borghesi che stavano a sinistra erano solo l’eccezione che conferma la regola).
Oggi è tutta una melassa indistinta .
E’ di moda parlare di poteri forti e di consumatori.
Ma ognuno di noi, a seconda della materia di cui si tratta, si trova  a sostenere le ragioni dei primi o diritti degli altri.
Siamo confusi, manipolati da un’informazione più portata a nasconderci i fatti o a rappresentarli in maniera tendenziosa che semplicemente a raccontarceli.
Ci abbandoniamo ogni tanto , tra un’apparizione di Berlusconi o di Veltroni in tv e l’altra, tra una puntata di Ballarò e una di Anno Zero, a qualche soprassalto emotivo.
l resto è calma piatta, affano quotidiano, siamo ormai quasi del tutto privi di stelle polari.
E’ il momento giusto, quindi, da parte di chi si batte per farlo, per intitolare una via a Giorgio Almirante.
Operazioni come queste vanno fatte approfittando dei momenti di debolezza di un paese: quando l’angoscia per il lavoro, il mutuo da pagare, i soldi per arrivare a fine mese incombono, a chi vuoi che freghi qualcosa se viene intitolata una via o una piazza ad un ex gerarca fascista?
Ecco qui le ragioni del mio interesse per questo tema: non so se sono tanti o pochi, ma quelli che non vogliono accettare la glorificazione, sia pure postuma, di un ex gerarca fascista, ci sono ancora ed è bene dare spazio anche alla loro voce.

Una via ad Almirante? Perchè no? ( e a Mussolini quando?)

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“Esclusivamente e gelosamente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo”.

“Il razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l’Italia abbia mai tentato”. Ipse dixit, Giorgio Almirante, difensore della razza, repubblichino di Salò, camicia nera contro i partigiani. Lo stesso a cui ora anche a Milano si pensa di dedicare una strada.
La proposta ricalca l’appello lanciato a maggio del neo sindaco Gianni Alemanno di intestare, nel ventennio della sua morte, una via dell’Urbe al leader missino.
Un’idea stroncata in pieno da Gianfranco Fini, ieri fedelissimo di Almirante, oggi in piena fase di revisionismo.

“Frasi vergognose che esprimono un sentimento razzista che, in quegli anni, albergava in tanti, troppi esponenti che dopo la guerra si collocarono a destra e, in altri casi, in altre formazioni politiche”, aveva risposto il Presidente della Camera.
Ma a Milano l’appeal del leader aennino va sempre più sbiadendo tra i militanti del partito, soprattutto dopo la recente netta presa di distanza dall’ideologia del Regime.
E così dall’ala destra del consiglio comunale meneghino, si rilancia la provocazione.

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“Almirante ha traghettato milioni di italiani alla democrazia” ha dichiarato Carlo Fidanza, capogruppo del partito e militante di Azione Giovani promotore della mozione depositata lunedì scorso. “Mi auguro si possa discutere sulla proposta in un clima di serenità, con la volontà di consegnare a una storia condivisa una personalità di indubbio valore”.
Il Sindaco Moratti è possibilista…

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Italia 2008, parte la caccia al poveraccio.

Trascrivo, condividendolo totalmente, un editoriale di Curzio Maltese su Repubblica di oggi

A Parma, nella civile Parma, la polizia municipale ha massacrato di botte un giovane ghanese, Emmanuel Bonsu Foster, e ha scritto sulla sua pratica la spiegazione: “negro”.

Davano la caccia agli spacciatori e hanno trovato Emmanuel, che non è uno spacciatore, è uno studente.

Anzi è uno studente che gli spacciatori li combatte.

Stava cominciando a lavorare come volontario in un centro di recupero dei tossici.

Ma è bastato che avesse la pelle nera per scatenare il sadismo dei vigili, calci, pugni, sputi al “negro”.

Parma è la stessa città dove qualche settimana fa era stata maltrattata, rinchiusa e fotografata come un animale una prostituta africana.

L’ultimo caso di inedito razzismo all’italiana pone due questioni, una limitata e urgente, l’altra più generale.

La prima è che non si possono dare troppi poteri ai sindaci.

Il decreto Maroni è stato in questo senso una vera sciagura. La classe politica nazionale italiana è mediocre, ma spesso il ceto politico locale è, se possibile, ancora peggio. Delegare ai sindaci una parte di poteri, ha significato in questi mesi assistere a un delirio di norme incivili, al grido di “tolleranza zero”. In provincia come nelle metropoli, nella Treviso o nella Verona degli sceriffi leghisti, come nella Roma di Alemanno e nella Milano della Moratti.

A Parma il sindaco Pietro Vignali, una vittima della cattiva televisione, ha firmato ordinanze contro chiunque, prostitute e clienti, accattoni e fumatori (all’aperto!), ragazzi colpevoli di festeggiare per strada. Si è insomma segnalato, nel suo piccolo, nel grande sport nazionale: la caccia al povero cristo. Sarà il caso di ricordare a questi sceriffi che nella classifica dei problemi delle città italiane la sicurezza legata all’immigrazione non figura neppure nei primi dieci posti. I problemi delle metropoli italiane, confrontate al resto d’Europa, sono l’inquinamento, gli abusi edilizi, le buche nelle strade, la pessima qualità dei servizi, il conseguente e drammatico crollo di presenze turistiche eccetera eccetera. Oltre naturalmente alla penetrazione dell’economia mafiosa, da Palermo ad Aosta, passando per l’Emilia.

I sindaci incompetenti non sanno offrire risposte e quindi si concentrano sui “negri”. Nella speranza, purtroppo fondata, di raccogliere con meno fatica più consensi. Di questo passo, creeranno loro stessi l’emergenza che fingono di voler risolvere.

Provocazioni e violenze continue non possono che evocare una reazione altrettanto intollerante da parte delle comunità di migranti. Al funerale di Abdoul, il ragazzo ucciso a Cernusco sul Naviglio non c’erano italiani per testimoniare solidarietà. A parte un grande artista di teatro, Pippo Del Bono, che ha filmato la rabbia plumbea di amici e parenti. La guerra agli immigrati è una delle tante guerre tragiche e idiote che non avremmo voluto. Ma una volta dichiarata, bisogna aspettarsi una reazione del “nemico”.

L’altra questione è più generale, è il clima culturale in cui sta scivolando il Paese, senza quasi accorgersene.

Nel momento stesso in cui si riscrive la storia delle leggi razziali, nell’urgenza di rivalutare il fascismo, si testimonia quanto il razzismo sia una malapianta nostrana. L’Italia è l’unica nazione civile in cui nei titoli di giornali si usa ancora specificare la provenienza soltanto per i delinquenti stranieri: rapinatore slavo, spacciatore marocchino, violentatore rumeno. Poiché oltre il novanta per cento degli stupri, per fare un esempio, sono compiuti da italiani, diventa difficile credere a una forzatura dovuta all’emergenza. L’altra sera, da Vespa, tutti gli ospiti italiani cercavano di convincere il testimone del delitto di Perugia che “nessuno ce l’aveva con lui perché era negro”. Negro? Si può ascoltare questo termine per tutta la sera da una tv pubblica occidentale? Non lo eravamo e stiamo diventando un paese razzista. Così almeno gli italiani vengono ormai percepiti all’estero.

Forse non è vero. Forse la caccia allo straniero è soltanto un effetto collaterale dell’immensa paura che gli italiani povano da vent’anni davanti al fenomeno della globalizzazione. La paura e, perché no?, la vergogna si sentirsi inadeguati di fronte ai grandi cambiamenti, che si traduce nel più facile e abietto dei sentimenti, l’odio per il diverso. La nostalgia ridicola di un passato dove eravamo tutti italiani e potevamo quindi odiarci fra di noi. In questo clima culturale miserabile perfino un sindaco di provincia o un vigile di periferia si sentono depositari di un potere di vita o di morte su un “negro”.

Curzio Maltese

Quante bugie sulla sicurezza!

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Riprendo qui un articolo di Gad Lerner sulla sicurezza apparso su Vanity Fair prima dell’elezione del sindaco Alemanno. Esprime un punto di vista diventato improvvisamente minoritario e impopolare nel paese.

E’ sicuramente un importante invito a riflettere sul tema della sicurezza( e qui mi riferisco all’ordine pubblico) e , soprattutto, su quello dell’insicurezza ( e qui faccio riferimento alla psicologia).

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Non so in che misura la violenza sessuale esercitata il 16 aprile scorso dal rumeno Joan Rus su una studentessa sudafricana abbia influenzato l’elezione del sindaco di Roma.

Ma so che nel frattempo lo stupro, l’abuso e l’umiliazione si ripetono in Italia centinaia, migliaia di volte senza diventare un “caso politico”, solo perché nella grande maggioranza dei casi i violentatori sono nativi della penisola anziché immigrati.

E magari pure capifamiglia che tra le mura domestiche si sentono in diritto di spadroneggiare sulle “nostre” femmine, salvo poi comprare a modico prezzo il sesso delle straniere prostitute quando decidono di concedersi una libera uscita. Almeno un paio di volte alla settimana viene ritrovato il cadavere di una di queste poverette in una roggia o in un bosco, magari nuda e chiusa in un sacco della spazzatura. Ma state tranquilli che la politica non ci farà su comizi; i giornali ricameranno serial killer lontano dalla prima pagina; e nessun sindaco veronese invocherà la pena di morte per gli esagerati consumatori nostrani di carne d’importazione.

Come avrete capito, sono molto molto arrabbiato.

Vedo l’Italia diventare razzista e becera.

Vedo i giornali, nessuno escluso, pubblicare tabelle fuorvianti sulla percentuale di delinquenza dei romeni, lasciando intendere ai distratti che la maggior parte dei reati commessi in Italia siano opera loro.

Bugia di facile presa. Perché è vero che la miseria e l’ignoranza alzano le percentuali della criminalità fra i nuovi venuti, e questo rappresenta un problema di ordine pubblico.

Ma è un falso ignobile che il problema della sicurezza coincida col problema dell’immigrazione.

E resta un falso ignobile anche se ormai è chiaro come sulla paura dello straniero in Italia si vincono e si perdono le elezioni.

Dopo Joan Rus, il secondo criminale rumeno sbattuto in prima pagina nella settimana dei ballottaggi elettorali è il ventenne Claudiu Stioleru, immigrato a Lugagnano di Soma. Reo confesso dell’omicidio del suo datore di lavoro che lo tormentava con richieste di prestazioni sessuali, gli inquirenti lo sospettano di averne ucciso anche la moglie.

Ma prendono molto sul serio quel mercimonio che non si accontenta del lavoro nero ma coinvolge altri giovani operai in un rapporto di totale sottomissione, come ora emerge dalle indagini in ambienti perbenisti dove l’omosessualità implica l’essere due volte clandestini. E allora come finirà il processo a Claudiu Stioleru? Con la pena di morte invocata dal sindaco leghista o con le attenuanti generiche previste dal codice penale? In ogni caso sarà un peggioramento nella malattia dello spirito italiano.
Cosa volete che importino le decine –sì, decine- di rumeni morti sul lavoro nel nostro paese nei sei mesi trascorsi dall’omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto?

Secondo voi qualcuno s’è peritato di verificare che fine abbia fatto Emilia, la donna rom che ne ha denunciato l’assassino Nicole Mailat? L’avranno sgomberata insieme agli altri, anzi, “derattizzata” per usare il linguaggio nazista che va per la maggiore.
Ricevo obiezioni: ci indigniamo per i reati commessi da rumeni già delinquenti a casa loro, perché non dovrebbero vivere sul nostro territorio.

Ma contatela giusta: vi indignate perché vi dà fastidio la miseria umana sotto i cavalcavia. Magari v’illudete di poter far senza le badanti e i muratori rumeni. E in ogni caso vorreste che di notte scompaiano d’incanto, salvo presentarsi puliti e sorridenti la mattina dopo sul posto di lavoro.
Mi fanno cascare le braccia i politici che si rifugiano dietro alla formula lapalissiana: la sicurezza non è né di destra né di sinistra. Senza accorgersi che questo loro opportunismo ha alimentato una concezione razzista della sicurezza facendo sì che ormai, nell’Italia 2008, eccome se è diventata di destra la sicurezza.
Oggi tocca ai rumeni come ieri toccò agli albanesi e ai marocchini, e l’altro ieri agli ebrei (che nell’Europa dell’est erano poveri, troppi, un po’ sudici e un po’ ladri, mica facevano chic come oggi).

Sono sicuro che un giorno ci vergogneremo della campagna razziale in atto, ma sarà troppo tardi. E allora cercheremo indulgenza magari nelle pagine meravigliose del filosofo rumeno Constantin Noica, tanti anni trascorsi nelle carceri comuniste dove ha scritto un capolavoro: “Pregate per il fratello Alessandro” (Il Mulino). Lettura da non perdere, dedicata a uno che seppe vergognarsi.

Gad Lerner