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Pio Pompa cercasi

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Eppure

di  Marco Travaglio – L’Unità- 27 gennaio 2009

Andreotti tiene un archivio segreto, e fa sapere che «qualche mistero me lo porterò nella tomba».

Eppure viene celebrato da tutti i politici, o forse proprio per questo.

Cossiga ogni tanto tira fuori una rivelazione o un’allusione sulla strategia della tensione anni 70-80, lasciando intendere di sapere molto di più. Eppure nessuno gliene chiede mai conto, o forse proprio per questo.

Craxi, daHammamet, distillava fax per fulminare questo o quel politico ostile («potrei ricordarmi qualcosa di lui») e conservava dossier, «poker d’assi» e intercettazioni su colleghi emagistrati. Eppure la Casta lo beatifica ogni giorno, o forse proprio per questo.

Tre anni fa, in un ufficio di via Nazionale a Roma, fu rinvenuto l’archivio segreto di Pio Pompa, braccio destro del capo del Sismi Niccolò Pollari, con migliaia di dossier su cronisti, pm e politici sgraditi a Berlusconi, da «neutralizzare e disarticolare anche con azioni traumatiche». Pompa e Pollari sono imputati per quell’archivio illegale, eppure i governi di destra e sinistra li coprono, o forse proprio per questo.

All’ombra della Telecom di Tronchetti Provera, il capo della security Giuliano Tavaroli è imputato per aver accumulato migliaia di dossier su giornalisti, politici, imprenditori spiati illegalmente. Eppure nessuno ne parla, o forse proprio per questo.

Gioacchino Genchi lavora su intercettazioni e tabulati legalmente acquisiti da giudici in indagini su gravi reati. Eppure dicono che il delinquente è lui, o forse proprio per questo. Il problema in Italia non sono le intercettazioni illegali.

Ma quelle legali.

Perchè nessuno ci dice che Andreotti è stato condannato per diffamazione?

Giulio Andreotti è stato condannato per diffamazione.

andreotti-mafioso1I tiggì nazionali si sono guardati bene dal dare questa notizia.

Ne dò i dettagli copiando qui sotto l’articolo di oggi sull’Unità di Marco Travaglio.

Condannato il “Divo” ( Marco Travaglio- l’Unità 23 gennaio

Tre giorni fa la Corte d’appello di Perugia ha voluto festeggiare il 90˚ compleanno di Giulio Andreotti confermando la condanna a 2 mila euro di multa inflittagli due anni fa dal Tribunale per aver diffamato il giudice Mario Almerighi, dandogli del “falso testimone”.

Il Divo dovrà anche risarcire il magistrato diffamato con una provvisionale di 20 mila euro.

Dopo la sentenza della Cassazione che confermò la prescrizione per il reato di mafia fino al 1980 e l’assoluzione per il periodo successivo, Andreotti accusò Almerighi di aver mentito sotto giuramento ai giudici di Palermo raccontando le sue pressioni sull’allora Guardasigilli Rognoni per salvare l’amico Carnevale da un processo disciplinare. Difficile immaginare qualcosa di più grave, per un magistrato.

Il prescritto a vita disse che Almerighi è “un pazzo”, lo paragonò ai “falsi pentiti”, l’accusò di raccontare “infamie” e aggiunse che affidare la giustizia agli Almerighi “è come lasciare una miccia nelle mani di un bambino”.

Denunciato per diffamazione, Andreotti si riparò dietro l’insindacabilità parlamentare, ma la Corte costituzionale gli levò lo scudo e lo rispedì in Tribunale. Che, come poi la Corte d’appello, ha stabilito come Almerighi avesse detto la pura verità.

Segnaliamo la notizia al Tg1, così attento alle condanne per diffamazione dei giornalisti sgraditi, e a Porta a Porta, sempre così turibolante con il Divo, affinché colmino la lacuna informativa in ossequio ai principi di imparzialità, equilibrio e completezza dell’informazione tanto cari all’Agcom e al Consiglio di amministrazione della Rai.

Mancano solo Bontate & Badalamenti: a Porta a Porta il santino di Andreotti.

Marco Travaglio (l’Unità 15/01/09)

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Anche la terza Camera del Parlamento,“Porta a Porta”, ha festeggiato il 90˚ compleanno di Giulio Andreotti.

Alla tetra cerimonia hanno partecipato: Cossiga, il palo; Macaluso, il difensore non retribuito «de sinistra»; Giulia Bongiorno, la difensora retribuita «de destra»; Pisanu, l’Andreotti sardo; Piercasinando, il lattante; Massimo Franco, il biografo autorizzato; e naturalmente Vespa, il maggiordomo.

Mancavano solo Bontate e Badalamenti, prematuramente scomparsi. La Bongiorno tentava per l’ennesima volta di dimostrare l’assoluzione del suo cliente (in realtà salvato dalla prescrizione per il delitto di mafia commesso fino al 1980) e ci riusciva benissimo, visto che non c’era nessuno a contraddirla e a rammentare che, per un’accusa così grave, alla prescrizione si dovrebbe rinunciare.

Macaluso biascicava le solite giaculatorie sulla «responsabilità morale», come se lamafia non fosse un reato.

Pisanu delirava sul «processo Andreotti per distruggere la Dc», senza spiegare a quale partito fosse mai iscritto Mattarella.

Piercasinando invocava la riforma della giustizia per evitare processi come quello.

Ogni tanto, a svegliare lo scarso pubblico superstite, provvedeva l’emerito Cossiga con i toni pacati tipici dello statista: bava alla bocca, occhi iniettati di sangue, violente minacce a Caselli, ovviamente assente («in un altro paese lo prenderebbero a calci nel sedere»).

Eppure la pompa funebre di “Porta a Porta” è stata utilissima: se l’insetto la fa franca anche stavolta, nessuno potrà più invocare il «contraddittorio» o protestare contro la «gogna mediatica» e le trasmissioni «a senso unico». Grazie, Bruno.

Andreotti, Dell’Utri, Cuffaro: grazie a Blu notte che ci aiuta a non dimenticare.

Grande  l’ultima puntata di Blu Notte. Riguardava i rapporti tra mafia e politica.

Siamo  da tempo il paese della mistificazione del presente e della rimozione del passato.

E’ giusto quindi che qualcuno ci rinfreschi la memoria sulle cose che sono accadute.

Anche quando sono accadute da così poco tempo e sono così vergognose da immaginarle indelebili e indimenticabili.

Ma siamo ormai diventati il Paese dei Campanelli, il paese in cui è facile dimenticare i torti e le umiliazioni subite perchè, più che la vigilanza della memoria, conta il quieto vivere ( dei giornalisti che tengono famiglia e dei sudditi narcotizzati dall’informazione di regime)

Fa bene allora Lucarelli, magistrale conduttore di Blu notte a ricordarci da par suo

1) che Andreotti è stato assolto dal reato di collusione mafiosa per gli anni fino al 1980 solo per prescrizione ( avendo la sentenza della Cassazione ritenuto provato, fino a tale data, il rapporto organico tra il pluripresidente del consiglio e l’onorata società)

2) che Dell’Utri non è solo un elegante bibliofilo e un formidabile organizzatore di forze di vendita prima e di partiti poi,

3) che Vittorio mangano non era solo uno stalliere

4) che Totò Cuffaro, per sette anni Governatore della Sicilia, già da giovane aveva deciso da che parte stare, quando al Costanzo Show insultava Falcone, sostenendo che le sue indagini sulla mafia infangavano il buon nome della Sicilia.

Fa bene Lucarelli a farci risentire la telefonata con la quale Silvio Berlusconi, oggi nostro presidente del consiglio, invece di correre a denunciare alla polizia un estorsore mafioso ( lo stesso che aveva ingaggiato come stalliere) , si limitava a definire “affettuosa” la bomba di avvertimento esplosa davanti alla sua villa.

Grazie a quei pochi, sempre meno, che ci aiutano a non dimenticare.

Anche i tg della Fininvest dicevano a Di Pietro: “Facci sognare”

Ogni tanto ricordare le cose che sono accadute serve a riflettere.

Propongo oggi un piccolo ripasso della recentissima storia patria.

E’ uno dei capitoli di un breve saggio sull’ascesa di Berlusconi, che riguarda il primo processo Mani Pulite e l’impatto che questo straordinario avvenimento ebbe sul modo di esprimersi dei media e dei politici.

Molti dei protagonisti di quel periodo, sia tra i politici sia tra i giornalisti, poi hanno trovato giusto, o comodo, prendere le distanze dai loro ardori iniziali.

E quello che sembrava l’inizio di un positivo cambiamento agli occhi di molti, con il tempo, è diventato un film dell’orrore.

Il 28 ottobre 1993 si apre il primo capitolo giudiziario dell’inchiesta MANI PULITE. Alla sbarra c’è il finanziere Cusani, indagato per concorso in falso di bilancio e finanziamento illegale ai partiti.

Le vicende di Tangentopoli hanno fortemente inciso sul modo di affrontare i fatti della politica da parte dei mass media.

Le telecamere, dopo mesi passati a gettare luce sui vari passaggi dell’inchiesta, entrano nell’aula del processo, che diventa di dominio pubblico.

La gente vuole conoscere i fatti e può farsene anche un’idea in prima persona assistendo alle varie fasi del dibattimento.

Ogni sera intorno all’ora della cena i protagonisti della vicenda ( magistrati, imputati e avvocati) si danno battaglia davanti a milioni di italiani. Con pochissime eccezioni anche i principali giornali del Paese si sono buttati sulla vicenda, diventata un vero feuilleton. Si tratta, per dirla con Dayan e Katz, di un “evento mediale”, una cerimonia celebrata dai media che interrompe la routine della programmazione televisiva.

Fino ad allora rimasti impigliati in un ruolo quasi ancillare nei confronti del sistema politico, i media cominciano ad operare in maniera nuova e con maggiore indipendenza: assumono il ruolo tipico del cosiddetto giornalismo watchdog, diventando i rappresentanti ufficiali di un’opinione pubblica che giorno dopo giorno matura e consolida l’idea di una classe politica corrotta e indecorosa, inadatta a governare. Siamo di fronte ad “un rituale di degradazione, di delegittimazione di un’intera classe politica coinvolta dagli scandali”, osserva Mazzoleni nel suo manuale La comunicazione politica (pag.152), sottolineando poi come gli umori antipartitici siano già presenti nell’aria, e che il ruolo dei media sia decisivo nell’amplificarne la portata (ibidem, pag 246).

La televisione dà ampio risalto alla vicenda.

Fra i Telegiornali quelli che danno maggiore spazio alle cronache giudiziarie sono quelli di Fininvest, che in maniera molto dettagliata e spettacolare scandagliano i vari aspetti dell’inchiesta.

Come dice Morcellini nel suo “E-lezioni di tv” i media e soprattutto la tv vivono ben più intensamente che in altre occasioni una propria funzione di “bussola della socializzazione politica”. In altre parole sono loro, i media, a creare l’agenda della comunicazione politica (agenda setting), a dettare le urgenze, a mobilitare le coscienze e le opinioni del pubblico.

Di Pietro, il magistrato di punta del pull, è diventato l’uomo più popolare del paese.

Sui muri di tutte le città campeggiano scritte come “Di Pietro facci sognare” o “Colombo vai fino in fondo”. I giornali esaltano il suo atteggiamento spontaneo e il suo linguaggio poco burocratico, i suoi “Che c’azzecca” e i suoi “Benedetto Iddio”.

Anche le testate straniere si dedicano a lui: il Wall Street Journal il 12 giugno titola in prima pagina: “Go for it Di Pietro” (Avanti, Di Pietro), il settimanale statunitense Newsweek gli riserva una copertina.

La satira si scatena. Nella trasmissione “Avanzi” Antonello Fassari interpreta il giornalista ipocrita Giulio Pinocchio, mentre Corrado Guzzanti imita Ugo Intini ( portavoce di Craxi) che canta piangendo “Non può crollare il sistema”.

In televisione si sta affermando anche un nuovo modo di impostare le questioni. Si abbandona il linguaggio da addetti ai lavori e si cerca di entrare in maniera facile e diretta nei problemi che stanno a cuore alla gente.

E’ Gianfranco Funari il precursore di questo nuovo modo di affrontare la politica. Per lui l’importante è prendere di petto le questioni con un linguaggio che consenta a tutti di capire di cosa si sta parlando. Anni luce separano le sue interviste agli uomini politici da quelle delle varie Tribune Politiche, caratterizzate da discorsi articolati e complessi, incomprensibili alla più parte.

Funari vuole “far capire qual è il problema alla gente a casa”, come dice spessissimo fissando la telecamera.

I professionisti della politica cercano di adeguarsi. Alcuni di essi scoprono con imbarazzo che parlare in maniera semplice e diretta alle persone non è un esercizio alla portata di tutti.

Grave difetto per chi, per i doveri del suo ruolo, ha bisogno di stare in mezzo alla gente, capire ed essere capito.

Per tutti i politici sta cominciando una nuova era della comunicazione, in cui i contenuti arrivano se il mezzo con cui vengono trasmessi è efficace e se chi lo utilizza è capace di farlo al meglio.

Significativo, a riguardo quello che ci racconta Bruno Vespa nel suo “Rai, la grande guerra

“… ho conosciuto i leader della Seconda Repubblica assai meglio di quanto abbia conosciuto, nei trent’ anni precedenti quelli della Prima. Per due ragioni, credo: è cambiata la politica ed è cambiata l’informazione televisiva.”

Mentre per quanto riguarda i cambiamenti dell’informazione televisiva precisa:

Non esistevano le informazioni di approfondimento di cui oggi sono pieni i teleschermi. Dall’82 in poi per una decina d’anni, ho cercato di far incontrare in un dibattito televisivo De Mita e Craxi, Andreotti e Berlinguer, Forlani e Natta, Craxi e Occhetto. La cosa era semplicemente impensabile”.

( Da L’uomo nuovo e il partito mediale di Giulia Cusumano)

Quando Berlusconi era il ragazzo “Coccodè”- Piccolo ripasso di storia patria.

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Berlusconi è stato spesso sottovalutato dai suoi avversari.

In passato

Oggi, dopo le infinite prove di vitalità che ha dato, la situazione si è esattamente rovesciata.

A quasi 15 anni di distanza dalla sua discesa in campo, è diventato l’uomo che non si sa come battere.

Alcuni sostengono che va attaccato in maniera decisa e durissima, altri pensano che questo sia il sistema migliore per garantirgli la vittoria.

Ma facciamo un piccolo sforzo di memoria e ritorniamo al giorno della fatidica discesa in campo e alle reazioni che questa sortita suscitò tra i maggiori commentatori del tempo.

Come ci ricorda Bruno Vespa nel suo “L’Italia di Berlusconi”, il discorso di autocandidatura fu accolto dal gelo della Confindustria e dalle ironie dei più importanti quotidiani.

Un tema da quarta elementare” fu la sentenza de “La Stampa”.

Il commento più feroce fu quello di Eugenio Scalari che intitolò un editoriale di Repubblica Scende in campo il ragazzo coccode, alludendo al soprannome attribuito in un varietà televisivo di Renzo Arbore ( “Indietro tutta”) alle ballerine della trasmissione.

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L’articolo cominciava contestando seccamente a Berlusconi la sua pretesa di accreditarsi come uomo nuovo della politica:

In realtà’ la decisione di Berlusconi di scendere nell’agone politico-elettorale non è neppure una notizia. Berlusconi è infatti in campo da sempre, da quando è nato come imprenditore perché se c’ è stato in questo paese un uomo d’ affari profondamente e direi radicalmente intrecciato con la politica con i partiti e con le correnti dei partiti, questo è stato lui”.

L’articolo concludeva così “Che spettacolo, ragazzi. Sembra la notte di Natale.Verrebbe spontaneo di intonare “Tu scendi dalle stelle…” con quel che segue, ma sarebbe un canto alquanto blasfemo. Assai più pertinente mi sembra la sigla di Renzo Arbore e delle ragazze Coccodé in “Indietro tutta”: Perché è così che si fanno i milioni/evviva le Televisioni/zum zum”.

Ma giàa poco meno di un mese dalla discesa in campo Sandro Viola, in un’inchiesta condotta nel profondo nord sempre per “la Repubblica”, accreditava alla nuova formazione addirittura il 25% dei consensi.

Ma interessante era soprattutto la scoperta delle caratteristiche del potenziale elettorato del Cavaliere.

Insieme con i giovani rampanti, affascinati dal mito della ricchezza e del successo che vedevano no in Berlusconi un modello di vita, c’era, come c’è ancora adesso, una marea di gente del ceto medio.

Non solo “nani e ballerine”, non solo “yuppies” di provincia, non solo calciatori e funzionari Fininvest. Sono gli stessi italiani che votavano per la Dc, per il Psi, per il Psdi, per il Pli, e che sul finire degli Ottanta hanno cominciato a votare per la Lega.

Malgrado l’ ignoranza, malgrado tante pecche (l’ insulto facile per l’ ambulante di colore, l’ evasione fiscale, la convinzione che i napoletani siano tutti ladri e i siciliani tutti mafiosi), brava gente.

Italiani.

Un’ Italia sgradevole, antipatica?

Forse.

Ma non più di quel che sino all’ altro giorno ad ogni sondaggio, indicava Andreotti come il migliore statista sulla scena “.

Il Cavaliere aveva fatto centro al primo colpo.

Privo di esperienza di politica(ma grande comunicatore ) aveva saputo intercettare la voglia di cambiamento del paese proponendosi, lui, uomo legato a doppio filo ai vertici del vecchio mondo politico al tramonto, come l’uomo nuovo dal quale attendersi un’inversione di rotta.

In un articolo scritto nel gennaio del 2004 sull’Espresso (“Videomessaggio e karaoke, così iniziò l’era del Cavaliere”), Gianpaolo Pansa rievocaquello che poi ebbe modo di considerare, come dice egli stesso, il suo errore fantozziano”:

Il tutto mi sembrò un costoso fuoco di paglia. Scrissi sull'”Espresso” che con la discesa in campo e la relativa cassetta, Berlusconi ci aveva fatto un grande favore: ci aveva regalato un avversario da battere”

Ma ancora più interessante è cioè che, sempre in questo stesso articolo, ci racconta del primo comizio politico di Berlusconi, svoltosi alla Fiera di Roma il 6 febbraio del 1994, con modalità molto assimilabili a quelle di una classica convention aziendale:

“Dopo un’attesa di alcune ore, ingannata con comunicazioni di contorno fatte da alcuni dei sostenitori di Forza Italia , il Cavaliere balza sul palco accolto da una folla impazzita di entusiasmo, gettando tutto intorno occhiate ammalianti da star televisiva”.

Quello che colpisce il cronista, e che insinua in lui il dubbio di aver fatto una previsione sbagliata, è la frase con la quale il leader inizia il suo discorso:

Fu ascoltando l’esordio che cominciai a pensare di aver sbagliato i miei pronostici. Berlusconi scelse un incipit che non sarebbe mai venuto in mente a nessuno dei leader politici vogliosi di sbarrargli il passo: “Mentre arrivavo qui, ho pensato di essere un matto che stava andando a incontrare altri matti… Quanti siete! La follia ci ha contagiato, sì! Diceva il grande Erasmo da Rotterdam che la vera saggezza non scaturisce dal cervello e dal ragionamento, ma da una lungimirante, straordianaria follia”.

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Il Cavaliere quella mattina, riferisce Pansa , era in gran forma.

Spostandosi da una parte all’altra del grande palcoscenico con “falcate da ginnasta”, parlò a braccio per più di un’ora senza leggere un appunto.

Alla fine, in mezzo ad una tempesta di applausi “liberatori, quasi feroci” ( è sempre Pansa che parla) partì l’inno di Forza Italia a tutto volume con le parole da cantare che scorrevano sullo schermo e Silvio si mise ad urlare : “Cantiamo tutti insieme” , lasciando Pansa sbigottito: pensava tra sé e sé : “è la prima volta che assisto ad un karaoke politico in trent’anni di professione.”

Come è andata a finire ce lo ricordiamo tutti…