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“Da vent’anni il “tumore” sono Ligresti e i La Russa”

di Gianni Barbacetto e Silvia TruzziIl Barone neroli ha conosciuti tutti.Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nobile famiglia trapanese, lunga militanza nel Msi, li ha visti da vicino i fascisti con le mazze, quelli con il doppiopettoe quelli che, dopo la fine del Movimento sociale, si sono costruiti posizioni di potere, fino a finire in cella: e (come Franco Nicoli Cristiani a Milano o Franco “Batman” Fiorito a Roma), non per qualche scontro di piazza.
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“Nel 1989 rilasciai un’intervista a l’Europeo in cui indicavo quelli che ritenevo essere i mali di un partito – il mio, l’Msi – che non aveva saputo rinnovarsi
.
C’era un tumore a Milano, nutrito dai legami tra la famiglia La Russa e i Ligresti. Il combinato disposto tra politica e affarismo: questo tumore ha provocato metastasi. La politica è diventata uno strumento di affermazione sociale per morti di fame spirituali, che vengono ricoperti di soldi, ma restano morti di fame”.
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Perché La Russa e Ligresti?
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La decisione di far diventare Gianfranco Fini segretario, per esempio, fu presa a Taormina in un albergo di Salvatore Ligresti, presenti il senatore Antonino La Russa, suo figlio Ignazio, Giorgio Almirante e Pinuccio Tatarella.
Quando poi i figli adottivi di Almirante fallirono con la concessionaria di auto Lancia a Roma, furono salvati da Ligresti, che diede loro un’agenzia della Sai. Il male affonda lì. Sono moralista? Magari sì, ma a Milano, per vent’anni, tutto un mondo è stato nelle mani della famiglia La Russa: da Michelangelo Virgillito a Raffaele Ursini, fino a Ligresti.
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Lei fu vicino a un personaggio contiguo a questo mondo, Filippo Alberto Rapisarda.
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A metà degli anni 80, lui era latitante a Parigi, mi chiamò in ufficio. Sostenni la sua battaglia contro le banche. Ma presi un abbaglio: era un megalomane che per certi versi ricorda Berlusconi. Mi affittò un appartamento nel suo palazzetto di via Chiaravalle (dove poi nacque il primo club di Forza Italia).

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Chi frequentava il palazzetto secentesco di via Chiaravalle?

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Ministri, sottosegretari. Ma anche Alberoni, Sgarbi, Micciché. E Dell’Utri, che conoscevo perché me lo aveva presentato Rapisarda che mi aveva anche raccontato che Dell’Utri aveva fatto arrivare a Berlusconi i soldi della mafia.

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 I La Russa quando li conobbe?

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 Sono arrivato a Milano nel 1966. Allora il padre Antonino era il consigliori di Virgillito. Il figlio Ignazio faceva invece il contestatore. Ma quando presentai in Consiglio comunale un’interrogazione su un immobile dell’Ospedale Maggiore stranamente finito nelle mani di Ligresti, fui affrontato, a un comitato centrale del Msi a Roma, da Antonino. Stavo parlando con Walter Pancini (oggi direttore generale di Auditel). Antonino mi disse, in siciliano: “Bella questa giacca. Sarebbe un peccato rovinarla con due buchi”.

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È vero che prese a schiaffi Ignazio?
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 Sì sì, faceva il bulletto. Fu verso la fine degli anni 80 durante una direzione provinciale del partito. Lui non m’invitava mai, anche se io ne avevo diritto visto che ero in direzione nazionale e deputato. Aveva una strategia di conquista del potere nel partito per arrivare poi alla conquista delle istituzioni. All’ennesima battuta, mi alzai e gli diedi quattro schiaffi.

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E lui?

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 Incassò, senza dire una parola.

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   L’ha stupita scoprire che si comprano voti dalla ‘ndrangheta in
Lombardia?

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 No, conosco bene Milano. E avevo annusato le infiltrazioni mafiose. Nella campagna elettorale del 2011 per il Comune di Milano, ho dato una mano a Barbara Ciabò (lista Fini). Due giorni prima del voto mi disse: “Vedrai, non ce la farò perché Sara Giudice ha 3/400 voti di case popolari abitate da calabresi”.

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 E Formigoni?

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Lo conobbi quando era deputato e sculettava nel transatlantico di Montecitorio.

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   Oggi, dopo una strenua resistenza, dice che vuole il voto…

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 Sta trattando su diversi fronti. Lui è l’espressione di quella che io chiamo associazione per delinquere di stampo cattolico. A Milano si è divisa gli affari con Ligresti, Moratti e i poteri di cui l’Expo è uno dei risultati.

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   Che effetto le fa il Consiglio regionale imbottito di indagati?

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Compio 80 anni tra un mese, eppure riesco ancora a scandalizzarmi. Quando ho appreso quello che è accaduto, non credevo alle mie orecchie. Vede, ho fatto il capogruppo in Consiglio comunale a Milano e ci davano una stanza e un’impiegata. Ho fatto il deputato a Roma e mi davano 150 mila lire per ogni giorno che stavo a Roma e un milione per i collaboratori, di cui dovevo presentare i contratti al partito.
Poi il berlusconismo ha creato danni irreparabili: modificazione antropologica della società attraverso le tv e inquinamento della politica con la dimostrazione che si può fare tutto impunemente. Ha portato nel partito frotte di impresentabili. Ma li vedete come vanno vestiti? Con questi gessati Palermo da finti gangster anni Trenta. È la politica dell’sms: soldi-mignotte-salotti tv.

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   Ora che succederà?

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   Nelle famiglie nobili di un tempo, si sposavano spesso tra consanguinei. E a un certo punto si sperava che lo stalliere mettesse incinta la marchesa o la baronessa per portare un po’ di sangue nuovo. Spero che arrivi un centinaio di deputati grillini… Tutto il resto mi sembra l’acqua pestata nel mortaio. A Milano siamo solo all’inizio: ne vedremo delle belle, anche dal punto di vista giudiziario.

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E che ci dice della Santanche’?

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   È un altro dei regalini di La Russa. I due hanno siglato un patto politico-mondano-commerciale. Ignazio l’ha portata a Milano, dove è diventata consigliere provinciale, e nel frattempo sovraintendeva agli “eventi” (parola insopportabile) del partito.
Intanto La Russa, dopo una ripulita e un passaggio da un sarto degno di tale nome, è entrato nei salotti buoni. A Cortina, in Sardegna. Lei ama dire che viene dalla società civile, io preferisco dire dalla società incivile, viste le frequentazioni (con Briatore, per esempio) di quando era ragazza e non ancora del tutto plastificata.

L’arte del fotomontaggio satirico. Ecco alcuni esempi…

Emiliano Carli, come tutti i veri autori satirici, non ha bisogno di fantasia per trovare gli spunti per i suoi calambour e i suoi fotomontaggi.

Apre il giornale, ascolta la radio, guarda la tv e subito le idee per una vignetta cominciano ad affollarsi nella sua testa.

Sotto forma di immagini, titoli di libri o di film, versi di canzoni, frasi famose.

L’importante è mantenersi sul piano dell’attualità, commentare a modo suo (Carli’s way, direbbe lui) la notizia del giorno.

Scoppia lo scandalo Marrazzo ?

Più veloce della luce, Emiliano pubblica una vignetta che in poche ore fa il giro del Web, quella in cui Berlusconi appare sullo sfondo di una Ford modello Escort e Marrazzo con un Ford Transit.

Scajola lascia il governo dopo avere appreso che qualcuno gli ha pagato una parte della casa “a sua insaputa”?

Emiliano non esita a tirare in ballo Manzoni e il suo “Cinque maggio 1821” dedicata a Napoleone: ed ecco il ministro che appare perplesso nei pressi della sua casa con vista Colosseo, mentre in cielo campeggia una scritta: “Ei fu siccome immobile”…

Berlusconi perde le amministrative nella sua Milano e viene impallinato ai referendum?

Emiliano lo ritrae con una benda sul viso (come se avesse ricevuto di nuovo una statuetta in faccia) e trafitto dalle frecce come una specie di novello S. Sebastiano.

Emiliano è ineusaribile, grazie anche agli spunti comici che le cronache politiche gli consegnano continuamente.

Ogni giorno i suoi aficionados vanno sulla sua pagina facebook e trovano il suo “articolo di fondo”.

Difficilmente rimangono delusi.

L’arte del calambour, l’esercizio di deformazione delle parole o delle frasi cui Emiliano ricorre di continuo, è un po’ più difficile da esercitare di quella del fotomontaggio, in cui pure questo divertente vignettista eccelle: Un buon calambour richiede cultura, intelligenza, prontezza di spirito, ironia. E anche, a volte, capacità di dissacrazione.

E, se si tratta di dissacrare, Emiliano non si tira indietro.

Come in questa vignetta che ritrae Bossi che “battezza” Calderoli, il cui titolo fulminante è “la Pagania”

(Emiliano però ci direbbe che a dissacrare qualcosa, prima di lui, è stato il Senatur e che lui, come molti autori satirici di oggi, più che inventare battute umoristiche, a volte deve solo… trascriverle)

Masi parte baldanzoso, poi arretra, balbettando.

Parte baldanzoso Mauro Masi.

Crede di intimidire Santoro.

Lo ammonisce severo.

Gli dice chiaramente che la trasmissione che sta per fare non e’ conforme alle regole che la Rai ( berlusconizzata quasi del tutto)  si e’ data in questi ultimi tempi.

Insomma, tenta una censura preventiva.

Cioè tenta di fare una cosa che tempo fa, quando ancora gli rimaneva un briciolo di dignità, si era rifiutato di fare.

“La censura preventiva?” – aveva detto – “Roba da Zimbawe!”

Ma ieri sera, si vede, lo Zimbawe era molto più vicino all’Italia di quanto lo sia mai stato ( con tutto il rispetto per lo Zimbawe, ovviamente).

Partito baldanzoso e sicuro di sè ( in fondo si trattava di sbattersi sotto i tacchi un dipendente) Masi, diciamolo con chiarezza, ha fatto probabilmente nell’orario di massimo ascolto e con uno share altissimo, la figura più penosa della sua carriera.

Non solo Santoro non e’ arrestrato di un millimetro, ma lo ha costretto a battere in ritirata, a balbettare, a coprirsi di ridicolo.

Da ieri sera il “soldato” Masi è un po’ piu’ solo.

Vedi il resto dell’articolo su Agoravox:

C’è il metodo “Boffo” …E c’è il metodo “velina ingrata”. Storia di mutande e di monnezza…e di Mara Carfagna.

Storia di Mara Carfagna: c'è del marcio in Campania, ma la colpa è di Ofelia

Ormai il procedere di questo Governo assomiglia sempre di più al precipitare a valle di una valanga.

Ogni giorno qualcosa di nuovo si aggiunge: uno scandalo, una vistosa inadempienza, una battuta inopportuna di uno dei membri della maggioranza.

Già, perche tutto (o quasi tutto) accade all’interno della maggioranza che ha stravinto le elezioni solo 2 anni e mezzo fa. Insomma, non stiamo assistendo ad una rivoluzione che sovverte un regime, ma ad una specie di implosione.

E adesso c’è pure la vicenda Carfagna.

Qualcuno sta cercando di minimizzare questa vicenda.

La macchina della mistificazione della realtà è sempre in moto.

Ecco così che la storia viene raccontata dai principali organi di informazione che fiancheggiano il premier:

A) Come una vicenda di umana ingratitudine.

Mara è semplicemente una “velina ingrata“. Un giudizio che rivela una visione sconfortante della politica vista come patto con il leader benefattore (o, in questo caso, Pigmalione) e non con l’elettore.

B) Come una liason dangereuse:

Ed ecco le insinuazioni sui rapporti tra Mara Carfagna e Bocchino. Questione di feeling – sembra di sentire cantare Mina – non problemi veri.

C) Come una storia di rivalità femminili:

Ci sono due donne che si accapaigliano. E che sarà mai? Niente di diverso di quello a cui si può assistere dappertutto.

D) Come un conflitto locale tra schieramenti politici avversi

E’ semplicemente in gioco il prevalere di una corrente sull’altra. Punto. Come se le due correnti avessero la stessa dignità e reputazione.

Nessuno, tra i giornali che appoggiano il premier illumina il vero snodo della vicenda.

Che è questo: nel partito di maggioranza c’è qualcuno che, non sopportando più alcune situazioni maleodoranti, denuncia gruppi di potere affaristici legati alla malavita organizzata.

Questo è il vero nocciolo del problema.

Naturalmente la macchina della mistificazione, dopo averci raccontato questa storia come la storia di una velina ingrata, si esibisce anche nell’ennesimo sberleffo nei confronti dell’opposizione: avete insultato la Carfagna, adesso la difendete, dicono Sallusti & Company.

Insomma, la solita storia del “compagno Fini” . Solo che adesso c’è la “compagna Mara”.

In pratica, ci dicono, non appena uno della maggioranza si mette contro Berlusconi, diventa un’icona della sinistra, viene subito difeso, laddove prima veniva disprezzato e dileggiato.

Peccato che questo ragionamento valga soprattutto all’incontrario: basta diventare un ex berlusconiani per cadere in disgrazia presso i giornali di destra.

O per subirne quello che Stracquadanio, con una definizone in cui l’arroganza prevale nettamente sul candore, chiama il metodo Boffo.

(foto di Emiliano Carli, per gentile concessione dell’autore)

Berlusca-quiz: Chi vota per Silvio? Primo elenco ( da completare) delle vittime del suo fascino ( alcune anche sane di mente)

Mesi fa ho scritto nel mio blog questo testo.

Dopo il caso “Ruby” ( mi riferisco alle menzogne dettedal premier ai funzionari della qestura, non a chi si porta a letto, di cui non mi potrebbe fregare meno) forse va aggiornato.

Lascio l’incomenza a chi ne avesse voglia…

Capisco chi vota Berlusconi

ESSENDO

Uno dei suoi figli ( ma già sulle mogli non giurerei)

Una velina in carriera

Un menestrello di stato che prende aerei di stato

Un esportatore di capitali all’estero

Un imprenditore disinvolto

Un antiquario di Via dei Coronari

Un gioielliere o un gelatataio di porto Rotondo

Un chirurgo per il trapianto di capelli

Un chirurgo plastico

Un venditore di cactus

Un avvocaticchio diventato Presidente del Senato

Un giornalista pagato da lui ( e nemmeno tutti)

Un evasore fiscale

Un aficionado degli abusi edilizi

Uno che guarda solo il tg 4, il tg2, il tg1 e Studio Aperto

Uno che legge solo il Giornale o Libero

Un caso umano ( Sandro Bondi)

Una ballerina di flamenco che prende i voli di stato insieme con i menetrelli di stato

Il cuoco Michele

Le Velone Grate come Daniela Santanchè e Maria Giovanna Maglie.

MA TUTTI GLI ALTRI?????

Postilla: Piccola ricostruzione del caso Ruby a beneficio dei distratti ( basata sui documenti della questura e della procura pubblicati oggi):

Il magistrato dispone che Ruby vada in una comunità o sia trattenuta in questura finchè non se ne trovi una che può accoglierla.

Gli rispondono che è nipote di Moubarak, perchè questa è la menzogna che il premier ha dichiarato per farla rilasciare.

Il magistrato a quel punto chiede la ragazza venga identificata con certezza, ma non desiste dall’ordine dato in prima battuta: o va in una casa alloggio o resta in questura fino al giorno dopo.

In questura si affannano a cercare un documento dell’interessata.

Mandano una pattuglia nel cuore della notte dai suoi genitori.

Cercano il responsabile di una casa di accoglienza. Quest’ultimo promette di mandare un fax con una copia del documento della ragazza. A quel punto in questura sanno benissimo che la ragazza NON è egiziana, ma marrocchina.

Ma omettono di dirlo al magistrato e, disattendendo alle sue indicazioni,  consegnano la ragazza alla incaricata del…ritiro.Quest’ultima se ne libera in capo ad un’ora affidandola a sua volta ad una brasiliana.

Il magistrato scoprirà solo qualche tempo dopo di essere stata ingannata e che i suoi ordini sono stati disattesi.

Domando: una persona onesta e in buona fede può accettare che un personaggio del genere, che mente sapendo di mentire ai funzionari dello stato, rimanga al governo?

E non mi si venga a parlare di gioia di vivere, di esuberanza senile, di temperamento giocoso, qui parliamo di menzogne e di imbrogli.

E non mi si venga nemmeno a parlare di Fini: per me se se ne va pure lui ( imbroglione o imbrogliato che sia poco mi importa) è un bene. Non ho votato per nessuno dei due…

Spero solo che l’opposizione conduca la sua lotta su questa vicenda NON  facendo il gioco di Feltri e Belpietro: soffermarsi sulle lenzuola del premier ( per sentirsi rispondere che sono tutti invidiosi della sua vitalità, giocosità, voglia di vivere e via… “minimizzolinando” ( da Minzolini).

Qui c’è in gioco una cosa diversa: un primo ministro che mente a funzionari dello stato per ripararsi le terga.

La guerra dei cognati: sta per partire la campagna elettorale piu’ avvelenata di sempre.

Fini, al quale nessuno aveva mai attribuito cupidigia personale, è incappato nella famiglia Petacci n.2 ( la vendetta). Giancarlo al posto di Marcello.

Per farsi bello e dimostrare alla moglie chi aveva sposato Fini ha commesso quelle che lui stesso chiama imprudenze e ingenuità.

Se fosse dimostrato che la casa è – o è stata-  di Tulliani, si dimetterà. Dopo averlo dichiarato in maniera così netta, non avrebbe scelta.

Dopo di che, c’è da scommetterci, ci sarà una campagna elettorale in cui si parlerà :

del “corretto” Fini, dimessosi senza neppure avere ricevuto un avviso di garanzia

dell’altro cofondatore, che, con addirittura due rinvii a giudizio sulle spalle – frode fiscale ( Mediatrade) e corruzione ( Mills)- non ha mai pensato di fare un passo indietro.

Qualcuno dirà che parliamo di  processi nei quali il Cavaliere potrebbe risultare assolto.

Che dire allora del processo con sentenza passata in giudicato, con la condanna al “cognato” Previti, per avere corrotto il giudice che ha procurato a B. la Mondadori?

Giudici rossi, direbbe il cavaliere.

Peccato che in qualsiasi stato del mondo i reati siano di competenza della magistratura e non dei probiviri di un partito come vorrebbe il Cavaliere.

Per non parlare degli ospiti di Villa San Martino: uno stalliere condannato per mafia e un amministratore condannato in appello per mafia. “Imprudenze”, per chi volesse definirle tali, un po’ pesanti ( o è piu’ grave la questione Montecarlo?)

Insomma, nella prossima campagna elettorale si parlerà anche ( spero non soprattutto) di chi è più… sporco tra i due contendenti ( o tra i due “cognati”).

Spero solo che non prevarrà il ragionamento che sento spesso fare di questi tempi: sono tutti ladri, meglio che a governarci sia l’unico “ladro” dotato di carisma.

Primo perchè prima di dire che sono tutti ladri, insisterei ancora con le ricerche di quelli onesti ( scusate l’ingenuità).

Secondo perchè non mi risulta che il “ladro” con il carisma stia mantenenedo le promesse mirabolanti che ha fatto 16 anni fa ( essì che di tempo ne ha avuto).

Il paese è stanco e ha grossi problemi.
Berlusconi rischia di vincere ancora le elezioni e di perdere nuovamente i pezzi.

Finora è quello che è sempre successo: prima la Lega, poi Casini, adesso Fini, la prossima volta a chi toccherà?


Scoppia la rissa nel partito dell’amore: Berlusconi e Fini a muso duro

Niente tarallucci e vino.

Silvio e Gianfranco se le son date di santa ragione.

Difficile far finta che non sia successo nulla.

Quasi impossibile pensare di ricucire o di reincollare i pezzi.

Freddo e implacabile il delfino. Livido di rabbia e insofferente il ras.
Due nemici ormai.

Grazie alle telecamere di Sky, che ha trasmesso a ciclo continuo l’epico duello, gli italiani hanno avuto modo di vedere qualcosa di assolutamente inedito.
Mai avevamo visto scontrarsi in pubblico, con toni così sferzanti e movenze così drammatiche, di fronte a centinaia di persone e a milioni di elettori, un presidente del consiglio e un presidente della camera.
Fini è andato all’appuntamento consapevole di essere in minoranza – lo ha ripetuto fino alla nausea – ma anche ben deciso a esercitare il diritto che ha chi rappresenta le minoranze: quello di manifestare la propria visione del mondo e la propria proposta politica.
E lo ha fatto con la chiarezza e la capacità di “racconto” che riescono ad esibire solo i grandi oratori (impossibile non pensare, da questo punto di vista – quello dell’ars oratoria – al suo primo padrino politico, Giorgio Almirante).
Berlusconi invece è andato all’appuntamneto con l’intenzione di… accogliere il figliol prodigo.
Magari senza scannare il vitello grasso. Disponibile tutt’al più ad un buffetto, ad uno scappellotto tra il lusco e il brusco.
Questa era l’unica soluzione che Berlusconi riteneva accettabile ad esito della vicenda, deciso com’era ad escludere nella maniera più assoluta una discussione sui temi proposti.
Parlavano di cose diverse ieri i due leader: Fini parlava di politica, Berlusconi di lesa maestà.
La fine è nota: finito il dialogo tra sordi, è iniziata la “fucilazione” del reprobo.
I giornali che sostengono il premier oggi brindano all’accaduto: il “cofondatore” è stato fatto fuori.
L’amore vince.
La sintesi più efficace dell’incontro? Quella del vignettista Emiliano Carli: il gelo in una stanza.
Ma si può, a proposito di Fini, parafrasare anche Umberto Eco: il nome della resa.

“C’è differenza tra un certo giornalismo e la prostituzione: ci sono cose che una prostituta non fa”.

Non era mai successo, in Italia, nella storia del Web, che 130.000 pc si collegassero contemporaneamente per lo streaming di una trasmissione telvisiva.

E’ successo con “Rai per una notte”, la trasmissone televisiva di “resistenza” al bavaglio dell’informazione che ieri sera ha preso il posto di Anno Zero.

A questi 130.000 pc collegati, ovviamente vanno aggiunte le centinaia di migliaia di televisori collegati con le varie stazioni del digitale terrestre o del satellitare collegate all’evento e con le piazza dotate di maxischermo. E naturalmente nel conto vanno inseriti anche i seimila spettatori del Paladozza di Bologna, il palazzetto dello sport nel quale è andato in scena l’evento.

Il programma inizia con alcune immagini di Mussolini che arringa le folle, seguite poi da alcune immagini di Berlusconi che fa altrettanto.   Le analogie tra l’oratoria del dittatore e quella del premier sono impressionanti. Stesso procedere con domande retoriche alle quali la folla risponde compatta con monosillabi (SI o NO a seconda dei casi).

Subito dopo c’è un servizio sul “partito dell’amore” alla manifestazione di Sabato scorso. La folla riconosce il giornalista di Anno Zero e lo invita ad andare a lavorare. Ma io sto lavorando, replica lui. No, devi andare a raccogliere i pomodori, dicono loro.

Segnaliamo poi, per coloro che se le fossero perse, alcune fasi del programma che sicuramente verranno ricordate e che costituiranno motivo di polemica nei prossimi giorni:

1) La puntigliosa ricostruzione fatta da Sandro Ruotolo delle affannose telefonate del premier al membro dell’Autorità delle Telecomunicazioni Innocenzi e al direttore generale della Rai  Masi nel tentativo, andato a vuoto, di impedire ad Anno Zero di trattare la vicenda Mills in una delle ultime puntate.

I fatti rappresentati erano noti a molti perché oggetto di varie ricostruzioni giornalistiche, ma mai erano mai stati raccontati dalle grandi tv generaliste.

Quello che avevamo letto in vari giorni, a pizzichi e bocconi, è stato inserito in un racconto organico di una dozzina di minuti: il racconto di un’Italia che intuivamo.

2) L’esibizione di Daniele Luttazzi. Sparito dalla tv dopo l’editto bulgaro, ieri sera è tornato in scena anche lui (le altre vittime erano Biagi, passato a miglior vita, ma rappresentato al Paladozza dalla figlia, e Santoro, che “vive e lotta con noi” come si sarebbe detto una volta).

La metafora scelta dal comico per raccontare l’attuale momento politico e l’assuefazione al “regime” berlusconiano di una parte cospicua della popolazione- quella di una penetrazione anale- non era per stomaci deboli o, come si suol dire, per educande.   Il comico finisce l’esibizione dicendo testualmente: “Quando quel fazioso di Berlusconi vi dirà che siete mossi dall’odio, rispondete con Quintiliano che dice che odiare i mascalzoni è cosa nobile!”

Le battute più applaudite sono quelle sulla libertà di stampa: “C’ è qualche differenza tra un certo giornalismo e la prostituzione: ci sono cose che una prostituta non fa”.

Oppure: “Se non capite la differenza tra giornalismo e propaganda, non preoccupatevi, non lo sa neanche Minzolini e se la passa bene lo stesso!”

3) L’intervista ad Emilio Fede. A lui la palma della battuta – involontariamente- più divertente: “Tutto si può dire di Berlusconi, tranne che non abbia sensibilità comunicazionale, mai avrebbe voluto chiudere Anno Zero”

4) L’intervista di Sandro Ruotolo a Roberto Benigni. Il comico toscano sceglie la strada dell’ironia e magnifica la situazione dell’Italia, molto più avanti di ogni altro paese. “L’Italia è il paese della libertà . Ci provi Obama a fare una legge solo per sé, mica gliela fanno fare, in America!”

5) L’intervista a Mario Monicelli, che pronuncia alcune parole forti sull’attuale momento politico: “Questo popolo è schiavo di tutti da tre generazioni, deve riscattarsi!”

6) Il disagio espresso dalle lavoratrici dell’Omsa che stanno per perdere il lavoro. Una signora tra le tante che prendono la parola grida: “Vorrei vedere altri vivere con 700 euro al mese”.

Insomma, molte cose l’una dietro l’altra, con un filo conduttore ben preciso: dare voce, in maniera piena e completa, finalmente senza censure, all’Italia che “non ci sta”.


Unico neo nell’andamento della serata l’apparizione di uno stralunato e confuso Morgan.

Non era serata per lui, Santoro stesso era visibilmente imbarazzato per i suoi farfugliamenti.
Nell’accingersi a cantare con lui, Venditti ci ha avvertito che non avevano fatto le prove.
Ce ne siamo accorti.

L’autogol del lodo Alfano

alfano smacchiatutto
Confermata la condanna a 4 anni e sei mesi di reclusione per David Mills, l’avvocato inglese accusato di essere stato corrotto dal premier.

Il deposito delle motivazioni della sentenza è previsto nel giro di due settimane, dopo di che nei trenta giorni successivi la difesa di Mills depositerà il ricorso in Cassazione.

Tempi della Cassazione?

Probabile che una eventuale passaggio in giudicato della condanna a Mills si verifichi mentre è in corso il processo bis sulla stessa materia, quello che vedrà il premier sul banco degli imputati.

Il pasticcio del lodo Alfano, infatti, è questo.

Una volta promulgato il Lodo, il processo Mills, come noto, si era diviso in due tronconi.

Era andato avanti senza soluzione di continuità per l’avvocato inglese, si era interrotto per il premier.

Con il risultato che adesso dovrà iniziare ex novo per il Cavaliere, ovviamente con magistrati diversi da quelli fino ad oggi coinvolti nel primo troncone.

Ma con il rischio concreto, come ho detto sopra, che la Cassazionee renda nel frattempo definitiva la condanna di Mills.

Il nuovo dibattimento è difficile che vada in aula prima di dicembre.

Sulla carta, però, appare possibile che, in presenza di una eventuale decisione definitiva della Cassazione sulla stessa vicenda, i giudici decidano entro poche udienze.

Fiinchè la legge non verrà cambiata, infatti, le sentenze definitive nel nostro ordinamento hanno valore di prova.

A questo punto le strategie extragiudiziali del premier ( intese come leggi ad personam) potrebbero percorrere due strade, in alternativa l’una all’altra o in maniera congiunta.

La prima riguarda l’accorciamento dei tempi di prescrizione. Dopo l’annullamento del Lodo, la prescrizione ha ripreso a correre e scadrà tra venti mesi: impossibile arrivare a sentenza definitiva in un tempo così ristretto, ma i tempi per arrivare a decidere in primo grado ci sono tutti ( ed è quello che il premier vuole evitare).

La seconda riguarda il meccanismo di cui abbiamo parlato sopra, quello in base al quale le sentenze passate in giudicato costituiscono fonte di prova nel nostro ordinamento.

alfano anello al nasoInsomma, il Lodo Alfano è stato un pasticcio e un autogol.

Un pasticcio perchè di fatto consente due processi su una stessa vicenda con la possibilità di un reo condannato e del correo prescritto o assolto.

Un autogol perchè, pur garantendo di fatto la prescrizione all’imputato escluso dal processo rischia di buttargli tra i piedi una bomba: quella della condanna definitiva del correo nella stessa vicenda.

Godo Alfano

marco-travaglioIn questo momento di gioia irrefrenabile per i sinceri democratici, un pensiero di gratitudine va al vero vincitore della giornata di ieri: Umberto Bossi.

Il vecchio Senatur, pur acciaccato, non tradisce mai.

Da due giorni la Corte costituzionale discuteva animatamente se la legge fosse uguale per tutti o solo per qualcuno: un po’ come se un convegno di matematici dibattesse su quanto fa 2+2 e qualcuno proponesse un onorevole compromesso a 3 e mezzo.

Per salvare capra e cavoli, Palazzo Grazioli e Quirinale. Al Tappone e Al Fano si eran pure portati a cena due ermellini.

Poi avevano sguinzagliato l’Avvocatura dello Stato, pronta a coprirsi di ridicolo pur di difendere una legge incostituzionale. Cicchitto s’era levato il cappuccio, spettinandosi i boccoli, per organizzare una marcia su Roma pro-impunito.

feltriLittorio Feltri chiamava a raccolta i lettori per una colletta ai bisognosi Fininvest.

Il duo comico Pecorella & Ghedini, i Gianni e Pinotto del diritto e soprattutto del rovescio, collezionavano un’altra figura barbina sostenendo che l’Utilizzatore Finale è un “primus super pares”: il più alto fra i bassi.

Mancava solo Giampi Tarantini, momentaneamente ristretto, nel collegio difensivo. Insomma il pateracchio sembrava inevitabile.

Poi è entrato in scena Umberto B., che Dio lo benedica. Ha chiamato alle armi il popolo padano, compresi galli, celti, cimbri e teutoni.

A quel punto anche qualche ponziopilato in ermellino s’è guardato allo specchio:

“Ma porc@#§%&$£! Possibile arrivare a 90 anni di onorata carriera per farsi minacciare da uno che inneggia a Odino, brandisce fuciletti a tappo e ampolle di acqua fetida, si pulisce il culo col Tricolore e si crede Alberto da Giussano? Che diranno i nostri nipoti? Che scriveranno i libri di storia? Che ce la siamo fatta sotto e abbiamo devastato la Costituzione, rinnegando tutto quel che abbiamo studiato e insegnato per una vita, per salvare le chiappe a un puttaniere corruttore che ne ha combinate di tutti i colori e poi è andato in politica per farle pagare a noi?”.

MARCO TRAVAGLIO- IL Fatto quotidiano- 8 ottobre 2009