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Scalfari sulla crisi: “Siamo nei guai e Tremonti si è giocato male le sue carte”

mibtelCome ogni domenica anche oggi Eugenio Scalfari ci mette al corrente delle sue riflessioni sullo stato del paese.Quella che segue è la sintesi, come al solito non autorizzata della prima parte del suo pastone domenicale.Dice alcune cose sullo stato dell’economia mondiale che trovo molto plausibili e verosimili. C’è un tono molto pessimistico nelle sue valutazioni, ma temo che anche in questo caso abbia ragione: siamo in una situazione moltoi critica e chi ci governa aveva poche carte da giocarsi ( leggi: risorse) e se le è giocate malissimo.
scalfari

Campane d’allarme e trombe stonate

di EUGENIO SCALFARI

NON c’è un solo allarme rosso sul quale occorra tener fisso lo sguardo.
Ce ne sono tre.
Due hanno dimensioni nazionali :  l’allarme sul funzionamento della giustizia e quello che viene definito la questione morale.
Il terzo ha dimensione mondiale ed è la crisi dell’economia.

La stampa americana parla ormai  di “great depression, part 2” riferendosi a quella del ’29, che devastò  Stati Uniti ed Europa per otto anni.

Comincerò dal terzo allarme rosso.
Negli undici mesi gli Stati Uniti sono entrati  in recessione:  dapprima sottotraccia, la crisi è  poi esplosa a giugno con la crisi immobiliare.
Negli ultimi  sei mesi  i listini di Wall Street hanno perso più del 50 per cento del loro valore e poiché i cittadini di quel paese hanno una familiarità con la Borsa sconosciuta nel resto del mondo ne è derivato un impoverimento, in parte virtuale ma in parte reale, che ha inciso sui consumi e sugli investimenti.
L’effetto, in un paese ad economia liberista, si è ripercosso sull’occupazione ed è stato un crescendo di mese in mese.
Fino ad oggi  sono andati distrutti un milione e centomila posti di lavoro, dei quali 200.000 in ottobre e 536.000 in novembre. Un’accelerazione spaventosa: secondo le previsioni più aggiornate si arriverà  nel primo semestre del 2009  a  quattro milioni.
Quando Obama e i suoi consiglieri affermano che il peggio deve ancora venire pensano esattamente a questo:  disoccupazione di massa e quindi una diminuzione del reddito, specie nei ceti e per le etnie più deboli, ma non soltanto.
Il saldo tra questa distruzione del reddito e l’apparente beneficio della discesa dei prezzi (dovuta appunto al crollo della domanda) sarà fortemente negativo, deprimerà i consumi e gli investimenti, manderà in fallimento decine di migliaia di aziende come in parte sta già accadendo.

Il motore americano si è ingolfato e così resterà a dir poco fino al 2011. Ma poi ricomincerà a tirare come prima?

L’economista Joseph Stiglitz dice di no.

Il capitalismo americano (e sul suo modello tutto il capitalismo internazionale) vive da decenni sulle bolle speculative. Sono state le bolle a far andare al massimo i pistoni del motore americano, locomotiva di tutto il resto del mondo.

Ma le bolle, dice Stiglitz, dopo la durissima crisi che stiamo vivendo non si ripeteranno più. Non nella dimensione che abbiamo visto all’opera negli ultimi anni.

E quindi non esisterà più un capitalismo come quello che abbiamo conosciuto, basato per quattro quinti sui consumi.

Subentrerà probabilmente un capitalismo basato sugli investimenti e su una redistribuzione della ricchezza mondiale e, all’interno dei vari paesi, della ricchezza tra i vari ceti sociali.

Si capovolgerà lo schema fino ad ora imperante : la redistribuzione della ricchezza non sarà  più la conseguenza  dell’aumento della produzione e dei profitti, ma diventerà invece la condizione necessaria per realizzare tale aumento.
Insomm: niente giustizia sociale niente sviluppo.

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Il nostro governo e il nostro ministro dell’Economia sostengono che in Italia le cose andranno meglio perché le banche qui da noi sono più solide che altrove e i conti pubblici “sono in sicurezza”.
Che le nostre banche siano solide è una fondata speranza; ma che le nostre prospettive siano migliori degli altri paesi è una bufala delle tante che il governo ci propina.
Noi non stiamo meglio, stiamo decisamente peggio, ci tiene ancora a galla l’euro senza il quale staremmo da tempo sott’acqua.
Stiamo peggio perché non abbiamo un soldo da spendere.

Quelli che avevamo venivano da una forte azione di recupero dell’evasione fiscale che ci dette nel 2006-7 più di 20 miliardi da spendere. Questa fonte si è inaridita. Il fabbisogno è aumentato, l’abolizione dell’Ici ha distrutto un reddito tributario di 3 miliardi e mezzo l’anno; l’Alitalia tricolore è costata all’erario 3 miliardi (se basteranno).

Sicché Tremonti non ha un soldo.
Per mandare avanti il motorino italiano ha dovuto redigere nel luglio scorso una legge finanziaria gremita di tagli. Per far sopravvivere il sistema ha concesso la settimana scorsa un’elemosina di 6 miliardi “una tantum” alle famiglie e alle imprese; con qualche spicciolo aggiuntivo per far tacere le invettive del Papa e dei vescovi per i tagli alle scuole cattoliche (ma quelli alla scuola statale e all’Università sono rimasti tutti ferocemente in piedi).

Anche in Italia tuttavia, come altrove, la crisi finora ha soltanto graffiato la pelle ma non ha ferito né i muscoli né i tendini. Si consuma un po’ meno, si investe poco o nulla (ma questa latitanza degli investimenti privati e pubblici è da anni una costante).

Il peggio deve venire dice Tremonti e ha purtroppo ragione.

La diagnosi è giusta. La terapia non c’è per ragioni di forza maggiore determinati dagli errori commessi sei mesi fa.
Come uscirne dovrebbero dircelo il premier e il ministro dell’Economia.
Certo non se ne esce con gli inviti ai risparmiatori a sottoscrivere i Bot. Tanto meno facendone colpa all’opposizione.