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C’è il metodo “Boffo” …E c’è il metodo “velina ingrata”. Storia di mutande e di monnezza…e di Mara Carfagna.

Storia di Mara Carfagna: c'è del marcio in Campania, ma la colpa è di Ofelia

Ormai il procedere di questo Governo assomiglia sempre di più al precipitare a valle di una valanga.

Ogni giorno qualcosa di nuovo si aggiunge: uno scandalo, una vistosa inadempienza, una battuta inopportuna di uno dei membri della maggioranza.

Già, perche tutto (o quasi tutto) accade all’interno della maggioranza che ha stravinto le elezioni solo 2 anni e mezzo fa. Insomma, non stiamo assistendo ad una rivoluzione che sovverte un regime, ma ad una specie di implosione.

E adesso c’è pure la vicenda Carfagna.

Qualcuno sta cercando di minimizzare questa vicenda.

La macchina della mistificazione della realtà è sempre in moto.

Ecco così che la storia viene raccontata dai principali organi di informazione che fiancheggiano il premier:

A) Come una vicenda di umana ingratitudine.

Mara è semplicemente una “velina ingrata“. Un giudizio che rivela una visione sconfortante della politica vista come patto con il leader benefattore (o, in questo caso, Pigmalione) e non con l’elettore.

B) Come una liason dangereuse:

Ed ecco le insinuazioni sui rapporti tra Mara Carfagna e Bocchino. Questione di feeling – sembra di sentire cantare Mina – non problemi veri.

C) Come una storia di rivalità femminili:

Ci sono due donne che si accapaigliano. E che sarà mai? Niente di diverso di quello a cui si può assistere dappertutto.

D) Come un conflitto locale tra schieramenti politici avversi

E’ semplicemente in gioco il prevalere di una corrente sull’altra. Punto. Come se le due correnti avessero la stessa dignità e reputazione.

Nessuno, tra i giornali che appoggiano il premier illumina il vero snodo della vicenda.

Che è questo: nel partito di maggioranza c’è qualcuno che, non sopportando più alcune situazioni maleodoranti, denuncia gruppi di potere affaristici legati alla malavita organizzata.

Questo è il vero nocciolo del problema.

Naturalmente la macchina della mistificazione, dopo averci raccontato questa storia come la storia di una velina ingrata, si esibisce anche nell’ennesimo sberleffo nei confronti dell’opposizione: avete insultato la Carfagna, adesso la difendete, dicono Sallusti & Company.

Insomma, la solita storia del “compagno Fini” . Solo che adesso c’è la “compagna Mara”.

In pratica, ci dicono, non appena uno della maggioranza si mette contro Berlusconi, diventa un’icona della sinistra, viene subito difeso, laddove prima veniva disprezzato e dileggiato.

Peccato che questo ragionamento valga soprattutto all’incontrario: basta diventare un ex berlusconiani per cadere in disgrazia presso i giornali di destra.

O per subirne quello che Stracquadanio, con una definizone in cui l’arroganza prevale nettamente sul candore, chiama il metodo Boffo.

(foto di Emiliano Carli, per gentile concessione dell’autore)

Statali, la ricreazione è finita, parola di Brunetta.

Riassumo i passaggi più significativi di un’intervista di oggi al Giornale di Renato Brunetta, Ministro per la funzione pubblica.

Dice cose molte sensate e molto interessanti.

Ed ha due idee molto chiare che fanno da piloni portanti alla sua azione di Governo: il MERITO e il FEDERALISMO FISCALE.

Sulla base del primo criterio occorre agganciare gli aumenti nei prossimi contratti del pubblico impiego alla produttività.

Sulla base del secondo la ricchezza va impiegata soprattutto dove è prodotta. arrivando quindi a definire a livello nazionale le linee guida dei nuovi contratti e demandando a livello locale le articolazioni salariali,che quindi potranno essere anche significativamente diverse da un territorio all’altro, in funzione delle disponibilità: i territori che producono meno ricchezza saranno quelli che dovranno fare, diversamente da quanto accade adesso, i maggiori sforzi di efficienza.

Il ministro non ha peli sulla lingua. Ecco due frasi esemplari:

Sta a loro [ I governanti locali ]decidere se usarli per caviale e champagne, distribuirli a pioggia malamente come è avvenuto per la sanità. Certo che poi i cittadini li rincorreranno con il forcone

Un’articolazione territoriale delle dinamiche salariali serve nel privato come nel pubblico. Solo così eviteremmo paradossi come quello della sanità campana che è fallimentare, ma con dirigenti che si aumentano lo stipendio».

Non ho votato per questo Governo e, quando si è candidato come Sindaco nella mia città [Venezia] , nemmeno ho votato per Brunetta.

Ma l’impresa che si è tignosamente messo in testa di compiere, quella della lotta agli sprechi nell’amministrazione pubblica, è talmente titanica e disperata, che è impossibile non tifare per lui.

P.S. A lungo prima delle designazioni ufficiali si è parlato del cosidetto Toto ministri. Nelle anticipazioni dei giornali il nome di Mara Carfagna appariva sin da subito, dato per sicurissimo.

Quello di Brunetta fino alla fine è stato incerto.

Eppure Carfagna aveva alle spalle solo un’esperienza di showgirl, Brunetta è da moltissimi anni uno dei maggiori esperti italiani di economia e di problemi del lavoro.

A proposito di riconoscimento dei meriti…

La Lewinski, la Carfagna e il gioco delle insinuazioni.

Un parlamentare ha insinuato: «Se Bill Clinton avesse fatto Monica Lewinsky ministro, la vicenda sarebbe diventata di rilevanza politica oppure no?»

E’ bastato per scatenare un putiferio su Mara Carfagna, che quel parlamentare non aveva neppure nominato.

Sul tema propongo , qui di seguito, la lettura di un articolo di MICHELE BRAMBILLA nel Giornale di oggi, dal titolo “La difendo così la rovino”

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«Il commendator Bernasconi non è un ladro»: il titolo, apparso qualche anno fa su un quotidiano locale, è rimasto nella storia di quella città e un po’ anche in quella del giornalismo. Stava in testa a un articolo di cronaca che dava conto delle specchiate virtù di uno dei personaggi più in vista di quel piccolo mondo di provincia: un uomo perbene, lavoro e famiglia, chiesa e associazionismo, tante cariche pubbliche. Non sono vere, si leggeva, le voci su traffici, contrabbando, mazzette: tutte balle. Senonché la mattina dopo il commendator Bernasconi tirò su il telefono e chiamò il direttore del quotidiano per sollevarlo di peso: razza di idioti, che cosa vi viene in mente? Nessuno – né un magistrato, né un giornale – aveva mai accusato lo stimatissimo cumenda di alcunché, e quel titolo aveva tutto il sapore della classica excusatio non petita. Da quel giorno in città cominciarono a girare le voci sugli affari non troppo onesti del commendator Bernasconi.
Non sappiamo se quel titolo fu l’autogol di un ingenuo che credeva di baciare la pantofola al potente di turno, oppure una coltellata nella schiena inflitta con sadismo e ipocrisia. Ma non c’è bisogno di avere studiato l’arte della propaganda dal dottor Goebbels per capire che se si vuole sputtanare qualcuno senza pagarne le conseguenze, e senza passare per killer, non c’è tecnica migliore che far finta di difenderlo.

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A Mara Carfagna, in questi giorni e ieri in particolare, è stato applicato il trattamento del commendator Bernasconi: si è detto e si è scritto smettiamo di insultarla, merita la nostra solidarietà, è una vergogna che la stiano attaccando, non deve dimettersi.
Attacchi?

E quali attacchi?

E perché mai dovrebbe dimettersi?

Così deve aver pensato il lettore, semplice uomo della strada che nulla sapeva delle voci sul conto del ministro per le Pari opportunità, e nulla avrebbe continuato a sapere se sui giornali non fossero fioccati gli appelli pro-Carfagna, i «basta con i veleni», le difese d’ufficio delle professioniste del «mi sento offesa come donna».
Fino all’altro ieri i pissi pissi bao bao su Mara Carfagna e le intercettazioni telefoniche erano roba che girava nei retrobottega della politica e in quegli ambienti mefitici che sono le redazioni dei giornali: sconcezze vere o asserite giravano da un politico a un giornalista e viceversa, ma restavano pur sempre tra pochi addetti ai lavori. I lettori sapevano – ammesso che siano davvero interessati – che c’erano, o almeno si diceva che c’erano, gossip scottanti, telefonate sconvenienti, roba di sesso insomma.

Ma tra chi e chi?

Quelle intercettazioni non si sa neanche se esistono e in ogni caso, ammesso che esistano, e che qualche giornalista le abbia, non si possono pubblicare, o perlomeno non sta bene pubblicarle.

E allora, come far sapere Urbi et Orbi che è proprio lei, la bella ministra, a essere chiacchierata? Come fare a rovinarla senza esibire neanche la sbobinatura di un brigadiere?
Ecco allora il lodo Bernasconi.

Basta un qualsiasi Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori: «Se Bill Clinton avesse fatto Monica Lewinsky ministro, la vicenda sarebbe diventata di rilevanza politica oppure no?». Ecco le prime paroline chiave. Monica Lewinsky: per quale pratica è diventata nota Monica Lewinsky? Seconda parola chiave: ministro.

Chi sarà mai il ministro?

Ci pensano i giornalisti a completare l’opera. Uno, appena riportata la frase di Donadi, scrive: «Non fa il nome della Carfagna ma…». Un altro aspetta qualche riga in più e ci fa sapere: «La responsabile delle Pari opportunità, Mara Carfagna, taglia corto: non mi occupo di intercettazioni».

Il passo successivo è la foglia di fico. Si raccolgono i pareri di una solidarietà trasversale. Politici e intellettuali di destra e sinistra si stracciano le vesti, «il paragone con la Lewinsky è una volgarità gratuita» dice una, «la colpa non è sua» dice un’altra, non deve dimettersi; «poveretta, qui si mesta nel fango», e intanto il fango finisce nel ventilatore.
Mara Carfagna non la conosco: mai vista né sentita.

Se avesse fatto qualcosa di male, troverei giusto che venisse cacciata. Ma vorrei che le accuse fossero certe, serie, e soprattutto rivolte in modo leale.

Non con l’artifizio peloso di un’ipocrita difesa della privacy. Pubblicate le intercettazioni, piuttosto. Mostrate la faccia, se davvero l’avete più pulita di quel lupanare della politica di cui si parla.

E a Donadi, quello dei Valori, vorrei dedicare in chiusura questo bel titolo:

“Il capogruppo Donadi non è uno stronzo”.