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Della irresistibile ascesa della clinica degli orrori aveva parlato anche la Rai

Riporto qui una sintesi di un articolo di Oliviero Beha apparso il 12 giugno sul suo Blog


Nella clinica Santa Rita, ormai meglio conosciuta come “clinica degli orrori”, o “tendinopoli” o quello che volete, io ci sono stato. Precisamente il 20 gennaio del 2004. […]

Non sono stato fisicamente alla Santa Rita.

Ci sono stato grazie al telefono e ai microfoni di Radio Rai, con la trasmissione “Radio a colori”

Com’era nata la vicenda?

Si era rivolto alla redazione un comitato di cittadini chiamato “Comitato contro l’Elefante”, laddove l’Elefante era la crescita smisurata e insensata se non con il senno di poi appunto della Santa Rita.

Che ne dite se prima di “andare in diretta” vi do dei dati conclusivi, naturalmente al gennaio 2004, sulla speciale industria di cui ora ci si vergogna e ci si indigna e sul suo fatturato?

Il fatturato della Santa Rita era passato dai 13 miliardi 664 milioni e 400 mila lire del 1991 ai 51 miliardi 587 milionie 396 mila lire del 2001.

Un’autentica miniera d’oro, e oggi sappiamo perché.

Ma già da allora appunto i cittadini del quartiere avevano denunciato i pericoli della situazione, a partire da un elemento vistoso come la viabilità.

Dunque, 20 gennaio 2004. In trasmissione c’è Carlo Ippolito, del Comitato citato, che abita pressoché davanti alla clinica.

Ci descrive dalla finestra la situazione: la strada stretta e già piena di macchine parcheggiate.

Siamo nella zona Nord-Est di di Milano. L’area compresa tra piazzale Loreto e viale Teodosio forma un quartiere a bassa densità abitativa, costituito da villette di due-tre piani che si affacciano su giardini alberati interni.

Lì dove ora sorge una piccola struttura sanitaria composta di due edifici di quattro piani, sorgerà quindi una nuova struttura che farà lievitare i posti letto (da 181 a 280) e farà aumentare le attività ambulatoriali. Sono previsti circa 40 ambulatori (ora sono 10), 7 sale operatorie (ora sono 4).

Il Comitato ha realizzato uno studio ipotetico sul traffico che una struttura di queste dimensioni può generare. Già oggi la clinica Santa Rita assicura 100 mila ricoveri l’anno, 25 mila prestazioni di Pronto soccorso e 251 mila prestazioni ambulatoriali (cioé visite ed esami).

Se almeno la metà di questi pazienti arriva in auto, e almeno i due terzi tornano una seconda volta a ritirare i risultati degli esami, già oggi la casa di Cura produce un traffico di 208 mila auto: pari a 667 auto al giorno.

Secondo il comitato la nuova struttura permetterà alla clinica di triplicare esami e visite portando nella zona un traffico di 2000 auto al giorno. A fronte di tutto questo il progetto prevede però la realizzazione di un parcheggio con 60 posti auto, quando solo i dipendenti sono già oggi 256. Il Santa Rita acquisterà infatti parte del parcheggio sotterraneo in costruzione nella vicina via Bazzini.

Nonostante la documentazione presentata dal Comitato, il 25 settembre scorso (2003, ndr) il Comune di Milano ha approvato una nuova variante del Piano Regolatore Generale che permetterà alla casa di cura di aumentare ancora la cubatura della nuova struttura ospedaliera .

E ora passiamo agli aspetti interni, di funzionalità della Santa Rita che oggi sono in prima pagina.

Per ridurre il rischio di infezione, i moderni ospedali prevedono la presenza di due corridoi separati per le sale operatorie: uno per l’ingresso del materiale e del personale sterile, l’altro per l’uscita di quello contaminato.

Il progetto della clinica Santa Rita non prevede questa soluzione.

Interviene in trasmissione l’architetto della Federazione Italiana Superamento Handicap, Rosanna Gerini. Ha verificato i requisiti di accessibilità dell’edificio in costruzione presso la casa di cura Santa Rita.

La conclusione è che dall’esame delle planimetrie risultano evidente che la nuova costruzione non rispetta le normative vigenti in materia di abbattimento delle barriere architettoniche e di sicurezza sul lavoro. Sulla non conformità del progetto si è espressa con una relazione negativa anche la Consulta cittadina per l’Handicap.

Qualche esempio negativo del progetto della nuova struttura ospedaliera.

In generale le porte di accesso alle camere di degenza, agli ambulatori, alle sale visita, alla palestra, ecc. devono permettere la comoda introduzione dei letti di degenza e devono quindi avere luce di passaggio di cm 120, se costituite da due ante una dovrà avere luce netta di 90 centimetri per consentire il transito ad anta piccola chiusa anche alle carrozzine.

Le porte previste dal progetto sono da 100 centimetri.

Le porte dei servizi igienici devono avere luce netta minima di cm 80 preferibilmente scorrevoli o a battente con apertura verso l’esterno.

Ad eccezione di pochissime tutte aprono verso l’interno. Molte camere non hanno il servizio igienico, altre hanno l’accesso al servizio dal corridoio esterno, nessuna camera prevede servizi accessibili mentre per legge devono essere tutte accessibili. In molti casi le aperture delle porte si sovrappongono. Alcune camere sono addirittura microscopiche.

Per la clinica a questo punto interviene il Direttore Sanitario, Maurizio Sampietro (lo è stato fino al 2007, oggi è agli arresti domiciliari), che in difficoltà dice però qualcosa di forte e di significativo. “La proprietà tiene a precisare di non aver mai richiesto al Comune una variante del Piano Regolatore Generale che ha trasformato l’area nella quale sorge la clinica in zona SI H (Servizi Intercomunali con destinazione ospedale). La richiesta è stata del Comune e per la proprietà ha comportato un vincolo d’uso perenne che va tenuto in considerazione. Vuol dire che gli edifici che sorgono in quell’area non potranno avere più nessun’altra destinazione se non quella ospedaliera e questo mette fine ai sospetti di una possibile speculazione”. Speculazione edilizia, dobbiamo intendere alla luce degli ultimi fatti, e non certo speculazione sanitaria. Niente case, molti morti.

Naturalmente vengono invitati a parlare due assessori del Comune di Milano, quello al Traffico e alla Mobilità, Giorgio Gocci, e quello allo Sviluppo del territorio, Giovanni Verga. Si negano entrambi. Quello che colpisce è comunque – e per concludere – la storia di questa Casa di Cura nata nel primo dopo guerra come piccola cooperativa di medici.

Negli anni ottanta cambia la proprietà: oggi il principale azionista è il notaio Francesco Pipitone.

Pochi mesi più tardi – è il novembre del 1998 – la clinica richiede una concessione edilizia per un nuovo ampliamento in deroga al Piano regolatore. “Perché la struttura non consente un adeguato standard di razionalità ed efficienza degli spazi” come richiesto dalla Regione. Nel dicembre del 2000 il Comune approva la concessione edilizia in deroga al Piano regolatore. Il progetto prevedeva la realizzazione di un edificio di quattro piani in superficie più uno interrato che dovrebbe collegare – in una sorte di H – i corpi già esistenti. Per permettere la sua realizzazione il Comune di Milano già nel 2000 aveva approvato una prima variante al piano regolatore generale che aveva trasformato l’area da zona A (Edilizia) in zona B (Servizi). Fatto sta che il 25 settembre scorso il Consiglio comunale – dopo una discussione durata mesi (più lunga di quella necessaria per approvare il bilancio) e la spaccatura con la Lega (1 astenuto, 1 voto contro, 1 assente) – ha approvato la variante che ha riclassificato l’area nella quale sorge la casa di Cura Santa Rita, passandola da zona B (Servizi) a zona SI H (Servizi Intercomunali con destinazione ospedale). Bisogna tener presente che in una zona SI H, le nuove edificazioni non devono più tener conto dei limiti tra superficie e cubatura previsti dalle norme urbanistiche.

In base alla nuova classificazione la Casa di Cura ha ottenuto dunque a dicembre una nuova concessione edilizia per la costruzione di un edificio di 6 piani in superficie e di tre piani interrati. Se l’adeguamento del Pronto Soccorso è la motivazione ufficiale per la nuova espansione della clinica, in realtà un intero piano del nuovo edifico verrà dedicato al Centro Sterilità, attività che ha ben poco a che fare con l’urgenza medica, e in molti altri spazi sono previsti nuovi ambulatori. Anche i dati ufficiali sull’attività della clinica parlano chiaro: nel 2001 la Santa Rita ha effettuato 26.903 prestazioni di pronto soccorso, di cui solo 4.364, meno del venti per cento, hanno reso necessario il ricovero; nella maggior parte dei casi si trattava quindi di patologie non gravi che necessitavano di interventi rapidi e di poco impegno. Negli ultimi dieci anni è invece triplicato il numero di ricoveri effettuati dalla clinica per recupero e rieducazione, cioè attività di lungo degenza: nel 2001 per la rieducazione sono stati effettuati un settimo circa dei ricoveri totali.

Conclusioni: dalla storia dettagliata ad allora dell’attuale “clinica degli orrori”, dei suoi problemi, urbanistici, di traffico e di organizzazione sanitaria interna, dei suoi rapporti con gli Enti locali e con la politica che stanno emergendo dalle intercettazioni, si evince quella jungla che ha portato oggi allo scandalo.

Se si voleva intervenire per tempo, si poteva. Si è intervenuto sì, ma al contrario, in direzione di una fabbrica di denaro. Parola di “Radio a colori”, 20 gennaio 2004, chiusa dalla Rai nel giugno successivo.

Piccola storia della clinica degli orrori e della sua irresistibile ascesa

Da CHIAMAMILANO del 12/06/2008

IL FIORE MARCIO
Oggi è la “clinica degli orrori” ma quando i cittadini ne contestavano l’ampliamento e dimostravano che la struttura era pericolosa la Santa Rita era “il fiore all’occhiello della sanità lombarda”

Ci sono troppo spesso accade in questo paese, per aprire uno squarcio di verità in una cortina marcia di affari fatti letteralmente sulla pelle dei malati e su quella di chi poi tanto malato non era ma che conveniva lo fosse, e molto, al fine di lucrare il più possibile attraverso il meccanismo dei rimborsi alle strutture accreditate presso il sistema sanitario nazionale.
Oggi si sprecano sdegno e condanne ma, per favore, non ci si venga ad ammannire la solita solfa della “malasanità”.
La storia di quella che sulle pagine dei giornali e nei servizi televisivi è stata ribattezzata “la clinica degli orrori” non è solo una vicenda di medici incapaci, di vecchi ospedali lasciati degradare, di pubblici denari drenati dai cateteri privati verso le tasche di qualche sedicente imprenditore della salute. È peggio, molto peggio.
La storia della Clinica Santa Rita è il paradigma di una gestione della sanità sfuggita ad ogni controllo pubblico ma saldamente nelle mani degli appetiti di pochi.

Chiamamilano si occupò della Clinica Santa Rita cinque anni fa, con una serie di articoli pubblicati tra il marzo e l’ottobre del 2003. Pressoché in solitudine cercammo di raccontare la spregiudicata politica di ampliamento della struttura e la lotta condotta dal Comitato dei residenti contro un progetto che presentava numerosi punti critici soprattutto per gli aspetti legati alla sicurezza di alcuni reparti.
Nonostante i pareri di numerosi esperti Palazzo Marino e il Pirellone accolsero le richieste del notaio Pipitone.

CLINICA IN PARCHEGGIO
Piccola storia, non definitiva, delle espansioni della Clinica Santa Rita


UN “ELEFANTE” HA PRESO CASA IN CITTA’ STUDI
Si può costruire un ospedale tra villette e stradine a senso unico?

CLINICA S.RITA, OVVERO L’ELEFANTE INSICURO
L’ampliamento non è solo un problema architettonico.


IL PACHIDERMA E IL TRAFFICO
L’impatto sulla mobilità nell’area della clinica Santa Rita

OLTRE IL DANNO LA BEFFA
La Santa Rita s’accresce nonostante il parere negativo della consulta handicap

Oggi i vertici della Regione Lombardia hanno sospeso l’accreditamento e hanno voltato le spalle alla clinica del notaio Pipitone. Eppure negli ultimi anni la Santa Rita è diventata la detentrice del record dei rimborsi: passando dai 22 milioni di euro del 2000 ad oltre 50 del 2006, il che ne ha fatto la struttura più “finanziata”, davanti a realtà ospedaliere come San Raffaele e IEO.
La crescita dei rimborsi è andata di pari passo con l’aumento dei ricoveri passati nello stesso periodo da poco più di 9.000 ad oltre 16.000.
Ciò è potuto avvenire in ragione di un ampliamento inarrestabile di una piccola clinica diventata nel volgere di pochi anni –proprio a partire dall’inizio del decennio– un vero e proprio ospedale con tanto di pronto soccorso. Un ampliamento contestato dal Comitato dei residenti e dalle opposizioni in Consiglio di Zona 3 e in Comune, ma benedetto da Palazzo Marino e dal Pirellone.
Quando il Comitato contro l’elefante –così ribattezzarono la Santa Rita per sottolineare l’invasività della Clinica sempre più grande in un quartiere di villette– produsse un dossier con tanto di perizia dell’architetto che progettò l’unità spinale del Niguarda (considerata un modello di progettazione) dove si dimostravano numerose carenze sul piano della sicurezza e dell’agibilità di molti reparti dalla Regione si rispose che la Santa Rita era il “fiore all’occhiello della sanità lombarda”.

INTERVISTE AUDIO
Sara Rossin
Capogruppo PD CdZ 3

Carlo Ippolito
Portavoce “Comitato contro l’elefante”

Peccato che il fiore fosse marcio. Ma chi doveva intervenire non ha sentito la puzza.
Innanzi alle contestazioni di corridoi dove avrebbero faticato a passare le barelle, di unità di emodinamica e di riabilitazione al terzo piano interrato con via di fughe inadeguate, di bagni delle camere con aperture verso l’interno, chi poteva decidere quanto meno di fermarsi un attimo a riflettere preferì non arrestare la crescita del “fiore”.
Quanto è stato portato alla luce dall’inchiesta della Guardia di finanza non era certo prevedibile, forse era inimmaginabile. Da un progetto malfatto a considerare il corpo dei malati meno che carne da macello ce ne passa. Ma la strada su cui si era incamminata la creatura del notaio Pipitone era sdrucciolevole e i passi spregiudicati.
L’editoriale del Sole24Ore di ieri parla di un filo rosso che lega i vari scandali sanitari che si susseguono ormai regolarmente: “la mancanza pressoché totale di controlli”.
Nel caso della Santa Rita un controllo c’era stato. L’avevano fatto i cittadini. Bastava ascoltarli.

Beniamino Piantieri

Il paese dei magliari ( ancora sulle intercettazioni)

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Sulle intercettazioni, nonostante i disperati tentativi dei giornalisti filogovernativi, il disaccordo con lo stopo sognato da Berlusconi è abbastanza trasversale.

Molti dei lettori del Giornale scrivono a commento degli articoli pubblicati sul tema:
“Abbiamo votato Berlusconi perchè si occupi dei veri problemi del Paese, lasci perdere le intercettazioni!!”

Come ho scritto in un mio commento di ieri , ritengo tutt’altro che immune di pecche la magistratura.
Dirò di più: considero abnorme il suo tentativo di condizionare il potere legislativo: il magistrato deve pensare ad applicare le leggi, non ad ispirarle ( se vuole farlo, di dimetta dalla magistratura e si presenti alle elezioni).
Detto questo, però è difficile pensare a progetti così sciagurati come quelli annunciati dal governo di Centro Destra: il reato di clandestinità intaserà la giustizia e la limitazione delle intercettazioni servirà a spuntarle le unghie.

L’accorciamento dei tempi di prescrizione è già operante… siamo di fatto alla depenalizzazione di quasi tutti i reati di tipo economico.
Il magistrato Tinti, l’autore di “Toghe rotte” si occupa dei 71 reati di tipo “economico” previsti dal codice: ha recentemente dichiarato che causa le condizioni della giustizia ( attuali, non quelle ancor più comatose che scaturiranno dai nuovi progetti di legge) 68 di questi reati hanno già oggi il 100% di probabilità di non venire puniti.

Forse cesseremo di essere invasi da clandestini, ma resteremo saldamente in testa come il paese…. dei magliari.

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Un’ultima considerazione sulle inchieste ad orologeria: mi spiace, ma su questo aspetto mi sembra proprio difficile condividere anche solo lontanamente questa ipotesi per l’inchiesta sulla cosiddetta Clinica Omicidi.

Le due donne magistrato che hanno condotto l’inchiesta secondo me si sono mosse nei tempi giusti e a ragion veduta ( tra l’altro non hanno fama di barricadiere o di oltranziste).

Quell’inchiesta è “esplosa” adesso perchè ormai ritardare gli arresti poteva consentire agli indagati di reiterare comportamenti criminali.
Oppure quelle due magistrate dovevano aspettare che si completasse l’iter del disegno di legge, accettando nel frattempo il rischio che altri malati fossero uccisi o torturati con cure inutili?