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“Frammenti, frammenti, frammenti” : la realtà per Pessoa.

Cara Giulia,
la materia è complessa.
Pessoa era talmente geniale e prolifico nella creazione dei suoi eteronimi, ognuno dei quali rappresenta un aspetto della sua personalità, che capirlo fino in fondo credo sia impossibile a chiunque.
Mi dici anche che vuoi affrontare il tema della sua passione per l’esoterico.
Volendo risparmiarti letture che sarebbero per te molto complicate e perfino noiose,ti mando alcube considerazioni di sintesi.
Tieni presente che nel tentativo di semplificare, si tende sempre a sminuire e banalizzare, però si rischia di rendere l’idea ( è un po’ come la frase di Andreotti: a pensare male si fa peccato, ma spesso si rischia di essere nel giusto).
Baci,papà.

GLI ETERONIMI

Le cose, in Pessoa, rinviano a un abisso, un segreto che né riusciamo a penetrare con gli occhi né riusciamo a conoscere con l’intelligenza.
Ciò che le cose nascondono è il ‘perché’ della loro esistenza, un ‘perché’ che non può essere mostrato all’uomo, ma che solletica la curiosità della sua intelligenza.
Sono le cose, dunque, che ci interrogano , sono loro che ci mettono con le ‘spalle al muro’ .

Torturato, il Poeta rimpiange d’aver perso l’innocenza dello sguardo.

Le cose, infatti, nel loro nascondere altro, vengono perdute da chi le percepisce.

Che cosa significa ‘perdere le cose’? Non sapere più se il mondo sia ciò che ci sta innanzi o altro, il dubbio che esso sia sogno prende il sopravvento.
L’intelligenza non può che arrendersi dinnanzi al sogno che è la vita. Non ha i mezzi o la forza per scandagliarne i segreti.
Essa è smarrita, quasi pagasse la colpa di aver tentato di violare la superficie delle cose nel tentativo di conoscerne il mistero.

Perso il senso del mondo presente, intuendo un abisso di significati al di là di esso, Pessoa va in cerca di un’uscita dal circolo che imprigiona l’intelligenza nell’incapacità di svelare il ‘perché’ dell’esistenza .
La ricerca si sviluppa secondo due sentieri: quello della poesia e quello dell’esoterismo.
Pessoa, oltre che critico letterario e traduttore, è prima di tutto un poeta.
E alla poesia dedica grande parte del suo sforzo artistico.
Pessoa è un poeta, un «poeta drammatico»
«Il punto centrale della mia personalità come artista è che sono un poeta drammatico» .
Scomponendo la definizione ‘poeta dramático’ in tre parti ci accorgiamo che per Pessoa
1) l’aspetto poetico è dato dal ‘sentire’;
2) quello ‘drammatico’ è dato dal trasformare ciò che si sente in un’espressione estranea al contenuto stesso della sensazione, in modo da costruire una persona inesistente che a sua volta possa sentire quanto viene espresso dal soggetto.
Il poeta drammatico è quindi colui che unisce i due aspetti: sente allontanandosi da se stesso.
Questo sentire con i sensi altrui, ovvero lo scrivere poesia drammatica, è ciò che permette di relazionarci col mondo.
La poesia,con il suo essere espressione delle nostre sensazioni per il tramite di sensi altrui diventa allora una via possibile per arrivare al mistero delle cose.

La creazione degli eteronimi, veri e propri alter ego del poeta che coesistono con lui e formano una sorta di estensione del suo carattere, è quindi un processo di ricerca della verità, un tentativo di leggere la realtà prendendo le distanze da se stesso e incarnando il diverso da sè.

L’ESOTERICO

Pessoa cerca però anche un’altra soluzione per raggiungere il mistero dell’esistenza e lo fa attraverso le scienze esoteriche.
In una lettera all’amico Sá-Carneiro del 6 dicembre 1915, Pessoa dichiara che la causa della sua crisi intellettuale è dovuta anche al fatto che, nella traduzione di alcuni testi teosofici, ne ha fatto una conoscenza tale da aver intravisto molte somiglianze con il suo sistema di pensiero.
Pessoa conosce (almeno dal 1906) elementi di teosofia e occultismo.
E del resto ci dovrà pur esser stato un motivo perché l’editore si sia rivolto proprio a Pessoa per la traduzione dei testi di teosofia!
Conoscitore della filosofia ermetica, della qabbalah, delle dottrine teosofiche, dei segreti delle stelle, Pessoa non smette di pensare che anche solo dal mondo esteriore si possano raccogliere quei segni che, debitamente organizzati e interpretati, possano svelare il segreto delle cose: «Tutto il mondo è un grande libro aperto / che in una lingua sconosciuta mi sorride».
Senza una comunicazione diretta con la sapienza segreta, è impossibile la conoscenza.

La conoscenza non è nemmeno adatta a tutti e per questo essa rimane segreta, anzi, essa si serve del mondo come di un velo che tenga lontani gli uomini, impegnati a chiedersi se sia reale o meno ciò che vedono.
Così, come il Faust di Goethe, anche Pessoa si dà alla magia, quale comunicazione diretta con la verità, o con coloro che la custodiscono, gli spiriti.
Un conto è allora conoscere le dottrine dell’occultismo, esserne influenzato nella composizione di numerose poesie e nella composizione di diversi scritti di carattere esoterico, un altro praticare la magia, che nel caso del poeta portoghese è più rivolta alla conoscenza stessa dei fenomeni occulti che non a un intervento sul mondo forzando le leggi della fisica.
Più che di magia dobbiamo parlare, infatti, di un ricorrente uso dell’astrologia e delle capacità medianiche.
In una lettera alla zia Ana Luísa Nogueira del 24 giugno 1916 scrive
«Intorno alla fine di marzo (se non mi sbaglio) cominciai a essere medium. Si immagini! Io, che (come si ricorderà) ero un elemento di impaccio nelle sessioni semispiritiche che facevamo, cominciai improvvisamente con la scrittura automatica. Mi trovavo in casa, di sera, dopo essere rientrato dalla Brasileira, quando sentii la volontà, letteralmente, di prendere una penna e di appoggiarla sopra un foglio».
Capacità medianiche ed eteronimia sono in stretta relazione.:
«L’origine dei miei eteronimi è la profonda impronta dell’isteria che esiste in me…. Sia come sia, l’origine mentale dei miei eteronimi risiede nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione”.
Pessoa percorre il cammino dell’esoterismo, quindi, soprattutto sdoppiandosi in una folla di eteronimi ognuno dei quali si affanna a cercare la verità, ma si scopre comunque inadeguato rispetto alla vera soluzione al problema dell’esistenza:

«Qabbalah, gnosi, misteri, massoneria / tutto ho avuto in mano / nella ricerca ansiosa che riempie i miei giorni e le mie notti. / Ma mai il mio cuore»


L’esoterismo non è in grado di riempire il cuore, l’unica cosa che abbiamo sempre, anche se stiamo sognando.

Dunque è nella ricerca di ciò che riempie il cuore che si potrà trovare il ‘perché’ delle cose.

Anche se questo significa accettare la tragedia di non saper dir nulla riguardo la verità, ossia non esprimersi altrimenti che in «frammenti, frammenti, frammenti».

Filippo Cusumano

Il nido del cuculo ( omaggio a Vladimir Majakovskij )

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Vladimir Majakovskij conosce nel 1915, all’età di 22 anni, Lilja Brik, moglie del critico Osip Brik, suo amico e compagno di battaglie, e se ne innamora.

Diventa un ospite fisso della coppia, dedica le sue poesie a Lilja, per piacerle va a farsi curare i denti e si veste con eleganza; alla fine si installa addirittura in casa dei due.

Inizia così tra Majakovskij, Lilja e Osip un incredibile rapporto a tre che continuerà per molti anni.

Per Majakovskij Lilja sarà il solo grande amore della sua vita, ma Lilja amerà sempre e solo il marito, tanto che dopo la sua morte dirà: «Quando Majakovskij si è sparato è morto un grande poeta, ma quando è morto Osip sono morta anch’io”

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Vladimir e Lilja si scrivono molte lettere.

Quelle di lui sono febbrili, drammatiche, quelle di lei trattenute e sbrigative.

In una lettera Vladimir le scrive:

“In te non c’è amore per me, in te c’è amore in genere, per tutto. Vi occupo un posto anch’io ( forse persino importante), ma se scompaio, allora verrò fatto fuori, come una pietra da un fiume, mentre il tuo amore nuovamente riemergerà su tutto il resto”

Un amico comune, il poeta Nikolai Aseev descrive così il menage a tre del poeta con i coniugi Brik:

“Lui fuggiva la quotidianità e le sue forme tradizionali, tra cui la più importante era la famiglia… E trovò una famiglia in cui, come un cuculo, volò per sua scelta, senza però scacciare nè danneggiare gli inquilini”.

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Nella sua lettera di commiato scritta pochi istanti prima di uccidersi, Vladimir scrive:

«A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non e’ una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia e’ Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio.[…] Come si dice, l’incidente e’ chiuso. La barca dell’amore si e’ spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici».

Ha ragione Antonio Di Pietro: aboliamo le province!


Sempre più spesso mi trovo a dar ragione ad Antonio Di Pietro, pur non avendolo votato.

Ha quello che manca a molti altri uomini politici: concretezza, pragmatismo, indipendenza dalle pressioni lobbistiche.

C’è un tema che oggi tutti i politici italiani, o quasi, dimostrano di considerare centrale, quello dei costi della politica e dell’Amministrazione dello Stato, e c’è una soluzione efficace a questo problema, che tutti, tranne Di Pietro e pochi altri, considerano tabù: quella dell’accorpamento dei piccoli comuni e del superamento delle province.

Ecco quello che Antonio Di Pietro dice nel suo sito:

Oggi i Comuni sotto i 5.000 abitanti sono ben 5.835, la maggior parte in Piemonte e in Lombardia, su un totale di 8.101.

La struttura attuale di Stato-Regione-Provincia-Comune con l’aggiunta delle Comunità Montane è costosa e macchinosa e quindi lenta nell’attuare decisioni anche importanti per i cittadini. Le competenze delle Province possono essere attribuite agli altri enti. L’eccessivo frazionamento dei Comuni non consente una politica coordinata del territorio e moltiplica i costi di sindaci, consiglieri comunali, assessori, impiegati comunali e degli stessi edifici pubblici.

Tutte osservazioni di buon senso, oltre che paurosamente inconfutabili.

Il personale che attualmente opera nelle strutture che fossero superate potrebbe essere impiegato, con processi di mobilità territoriale e di riqualificazione, a rafforzare enti e strutture utili, ma poco funzionanti per deficit di personale.

Ovviamente superando un altro tabù, anche questo fortemente sentito da quasi tutta la classe politica: quello della inamovibilità di chi occupa un posto pubblico.

Non si capisce perchè quando si ristrutturano le grandi Aziende diffuse nel territorio nazionale ( Telecom, Enel, Poste) si possa far ricorso a processi di mobilità territoriale e di reimpiego e per i dipendenti di piccoli comuni, province e comunità montane no.

Un’ultima considerazione.

Tutte le volte che si è pensato di creare una nuova provincia,

(ben 10 negli ultimi 10 anni : Barletta-Andria- Trani, Monza, Fermo, Verbano, Lecco, Lodi, Rimini, Prato, Crotone e Vibo Valentia)

Flickr image

i padrini politici dell’iniziativa hanno detto che l’operazione era a costo zero: il personale sarebbe stato reperito tra quello esistente.

Nulla di più falso.

Il personale della Vecchia Provincia destinata a perdere pezzi del suo territorio per alimentare la Nuova Provincia si è sempre rifiutato in massa di accettare il trasferimento ed è stato accontentato da chi aveva interesse ad assumere nella nuova sede ( anche qui : nuovi costi di standing evidenti e non assorbiti dal rilascio delle vecchie sedi).

Essendo coinvolta in questo costosissimo giochino della creazione di nuove sedi, l’intera classe politica, o quasi, è naturale che il tema sia tabù e che, con tutto il rispetto per la voce fuori dal coro di Di Pietro, ricevano pochissimo risalto le proposte di cambiamento.

Purtroppo questo è un Paese che è talmente impantanato nell’immobilismo da offrire immeritato successo, da sempre, ai politici che descrivono come pericoloso e rivoluzionario anche il più ovvio e necessario dei cambiamenti.