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Tosta Emma, chiara e diretta. Ma Silvio la gela: “Velina”.

marcegaglia02gSenza peli sulla lingua e idee chiare.

Emma Marcegaglia parla per un’ora in Confindustria e affronta in maniera chiara e decisa tutti i temi caldi del paese.

La lentezza del paese, la fiscalità, le infrastrutture, i costi della politica, gli enti inutili, le riforme, la giustizia che non funziona, la mafia, la sicurezza sul lavoro, il made in Italy, non c’è tema importante del paese che il Presidente di Confindustria eviti di affrontare.

Molti gli applausi. In particolare su due punti.

Il primo riguarda la riforma della pubblica amminitrazione.

Non appena fa un riferimento al “coraggio di Brunetta”, si scatena un applauso interminabile per il Ministro, che se ne sta in prima fila, seduto accanto a Maria Vittoria Brambilla.

Tutto si può dire del ministro, tranne che non sia vanitoso.

Infatti si gode rapito l’applauso, il più caloroso di tutti quelli che hanno costellato il discorso della Marcegaglia.

Il secondo affondo di Emma riguarda Berlusconi.

Prima la presidente di Confindustria liscia il pelo al Premier, riconoscendo l’ampiezza dei consensi di cui gode.

Ma subito dopo  richiama Silvio ad un immediato ed efficace uso di questo consenso.

“NE APPROFITTI PER FARE LE RIFORME. E LE FACCIA SUBITO”.

Berlusconi come risponde?

Nella maniera peggiore.

Dice che è pronto a cambiare le cose, ma che purtroppo in  Italia il premier conta meno del Parlamento.

Poi approfitta della tribuna di Confindustria per lanciarsi in una invettiva contro i magistrati che hanno condannato Mills per corruzione.

Citiamo il curioso esordio del discorso della Marcegaglia :

«Ieri Berlusconi mi ha detto che ero molto elegante e ha aggiunto che sembravo una velina Non ho niente contro le veline, non mi dispiace che mi si dica questo. Quando si hanno più di 40 anni… Ma francamente preferisco quello che mi ha detto Raffaele Bonanni accogliendomi in questa sala, che sono una persona seria, libera e concreta».

L’episodio è marginale sul piano dei contenuti, ma esemplificativo di un certo modo di affrontare i problemi del paese e di condiderare le donne che caratterizza il nostro premier.

Ho un ricordo molto positivo della mia professoressa  d’italiano alle scuole medie.

Una volta mi disse, commentando un mio tema in cui avevo inserito note umoristiche fuori luogo:

“Devi imparare che ci sono situazioni e argomenti sui quali non si può scherzare senza apparire cinici, sciocchi e superficiali”.

Ecco, appunto….

Ci invitano a spendere. Vi spiego perchè non lo farò.

Pubblico qui sotto un articolo di Mario Deaglio, noto economista, apparso sulla Stampa.

L’articolo riguarda i consumi. Deaglio si associa all’invito del premier e incoraggia quelli che se lo possono permettere a continuare a spendere.

Insomma  la soluzione della crisi, sembra di capire ( lo dicono ormai in molti, non solo Berlusconi o Deaglio) ,  sta nella propensione alla spesa del popolo dei piccoli risparmiatori.

Appartengo alla categoria di coloro che potrebbero permettersi di mantenere inalterati i propri consumi, anzi sono tra quelli che potrebbero pure approfittare del calo della domanda per alzarne il livello.

Ma devo confessare che mi sento preso per i fondelli da questo richiamo patriottico alla spesa.

Per essere sicuro che ne vale la pena, che è l’ultimo vero indispensabile sforzo per raddrizzare la baracca, dovrei prima di tutto avere delle certezze che nessuno in questo momento sembra in grado di darmi.

La certezza di un avvenire in cui i miei figli trovano un posto di lavoro corrispondente non alle loro aspirazioni, ma ai loro meriti, piccoli o grandi che siano.

La certezza che saranno messi in condizione di non nuocere i manager che hanno gestito disinvoltamente le aziende di cui in piccolissima parte sono socio e nelle quali ho investito risparmi che una volta mi davano sicurezza e che adesso di sono drasticamente dimezzati.

La certezza che non verranno sperperati più i soldi della collettività in operazioni faraoniche come il ponte sullo stretto, in avventure pseudopatriottiche a contenuto elettorale come  Cai-Alitalia.

La certezza che vengano emarginati i politicanti sorpresi a farsi gli affari propri con le risorse della collettività ( che poi i loro inciuci abbiano o meno rilevanza penale mi importa poco, sono abbastanza adulto e vaccinato da leggere una intercettazione e capire se chi sta al telefono di preoccupa della collettività o del proprio tornaconto ).

Tutte certezze che non ho, purtroppo.

In assenza delle quali preferisco limitare i miei trend di spesa, per creare degli ammortizzatori sociali privati per me e per i miei figli.

Un discorso meschino? Forse.

Un ragionamento pauroso? Forse.

Sono un ottimista, per natura penso sempre al meglio.

Ma in questo momento sento che il paese è in mano a leader incompetenti e irresponsabili ( e mi riferisco non solo a chi governa , ma anche  a chi fa opposizione) troppo distratti dalle loro beghe personali per concentrarsi sulle necessità drammatiche del paese.

Sento che risaliremo la china, ma solo dopo aver toccato il fondo.

Fondo dal quale siamo ancora lontani.

Siamo un paese ( e anche una nazionale di calcio) che, curiosamente e irrazionalmente dà il meglio di sè solo in situazioni di estrema difficoltà.

Aspettiamo il terremoto per rimboccarci le maniche ( non tutti tra l’altro: se il terremoto è in Friuli, la ricostruzione è garantita, se è nel Belice o in Irpinia, sono garantite solo le ruberie).

Spero con tutto me stesso di essere smentito, ma, nell’ attesa di toccare il fondo,  metto da parte qualche risorsa e mi astengo da consumi non necessari.

Ecco l’articolo che preannunciavo

CHI PUO’ NON SMETTA DI SPENDERE di Mario Deaglio.

Siamo sotto un pendio franoso, alcuni massi sono venuti giù ma altri potrebbero rotolare da un momento all’altro. Ecco la situazione dell’economia mondiale e soprattutto dell’America: nell’immediato il neopresidente, pur con programmi innovativi, non la potrà cambiare.

Almeno per alcuni mesi, dovremo convivere con un dollaro debole, Borse impaurite, produzione in calo.

Governi e banche centrali non possono cancellare la crisi; possono gestire al meglio una recessione che non passerà tanto presto.

In questo, l’Unione Europea sta un po’ meglio degli Stati Uniti: se tutto va bene, l’area dell’euro potrebbe stabilizzarsi (su livelli bassi) in poco tempo e l’Italia potrebbe far registrare valori sempre negativi ma un po’ meno brutti del previsto. Questo se nei prossimi tre mesi la domanda interna terrà e recupererà qualcosa del terreno perduto negli ultimi tre mesi del 2008.

Questa visione un po’ meno sconfortante deriva dai bilanci famigliari: le famiglie con mutuo a tasso variabile dovranno pagare rate più leggere perché i tassi europei sono finalmente scesi, il gasolio e la benzina costano sensibilmente meno del previsto e così alcune bollette e i pedaggi dell’autostrada.

Bisogna poi aggiungere qualche bonus fiscale, come la social card. Tutto ciò dovrebbe complessivamente bastare a far fronte al sensibile aumento della cassa integrazione e alla non trascurabile perdita di posti di lavoro.

Per «difendersi dal 2009» gli italiani devono reagire allo sconforto e alla paura del futuro.

Non serve un nuovo consumismo, che darebbe solo un sollievo momentaneo, ma piuttosto questa semplice regola: chi ha le risorse non abbassi la propria spesa per semplice paura ma continui a fare i consumi soliti, magari recuperando quelli non fatti negli ultimi mesi.

Scalfari sulla crisi: “Siamo nei guai e Tremonti si è giocato male le sue carte”

mibtelCome ogni domenica anche oggi Eugenio Scalfari ci mette al corrente delle sue riflessioni sullo stato del paese.Quella che segue è la sintesi, come al solito non autorizzata della prima parte del suo pastone domenicale.Dice alcune cose sullo stato dell’economia mondiale che trovo molto plausibili e verosimili. C’è un tono molto pessimistico nelle sue valutazioni, ma temo che anche in questo caso abbia ragione: siamo in una situazione moltoi critica e chi ci governa aveva poche carte da giocarsi ( leggi: risorse) e se le è giocate malissimo.
scalfari

Campane d’allarme e trombe stonate

di EUGENIO SCALFARI

NON c’è un solo allarme rosso sul quale occorra tener fisso lo sguardo.
Ce ne sono tre.
Due hanno dimensioni nazionali :  l’allarme sul funzionamento della giustizia e quello che viene definito la questione morale.
Il terzo ha dimensione mondiale ed è la crisi dell’economia.

La stampa americana parla ormai  di “great depression, part 2” riferendosi a quella del ’29, che devastò  Stati Uniti ed Europa per otto anni.

Comincerò dal terzo allarme rosso.
Negli undici mesi gli Stati Uniti sono entrati  in recessione:  dapprima sottotraccia, la crisi è  poi esplosa a giugno con la crisi immobiliare.
Negli ultimi  sei mesi  i listini di Wall Street hanno perso più del 50 per cento del loro valore e poiché i cittadini di quel paese hanno una familiarità con la Borsa sconosciuta nel resto del mondo ne è derivato un impoverimento, in parte virtuale ma in parte reale, che ha inciso sui consumi e sugli investimenti.
L’effetto, in un paese ad economia liberista, si è ripercosso sull’occupazione ed è stato un crescendo di mese in mese.
Fino ad oggi  sono andati distrutti un milione e centomila posti di lavoro, dei quali 200.000 in ottobre e 536.000 in novembre. Un’accelerazione spaventosa: secondo le previsioni più aggiornate si arriverà  nel primo semestre del 2009  a  quattro milioni.
Quando Obama e i suoi consiglieri affermano che il peggio deve ancora venire pensano esattamente a questo:  disoccupazione di massa e quindi una diminuzione del reddito, specie nei ceti e per le etnie più deboli, ma non soltanto.
Il saldo tra questa distruzione del reddito e l’apparente beneficio della discesa dei prezzi (dovuta appunto al crollo della domanda) sarà fortemente negativo, deprimerà i consumi e gli investimenti, manderà in fallimento decine di migliaia di aziende come in parte sta già accadendo.

Il motore americano si è ingolfato e così resterà a dir poco fino al 2011. Ma poi ricomincerà a tirare come prima?

L’economista Joseph Stiglitz dice di no.

Il capitalismo americano (e sul suo modello tutto il capitalismo internazionale) vive da decenni sulle bolle speculative. Sono state le bolle a far andare al massimo i pistoni del motore americano, locomotiva di tutto il resto del mondo.

Ma le bolle, dice Stiglitz, dopo la durissima crisi che stiamo vivendo non si ripeteranno più. Non nella dimensione che abbiamo visto all’opera negli ultimi anni.

E quindi non esisterà più un capitalismo come quello che abbiamo conosciuto, basato per quattro quinti sui consumi.

Subentrerà probabilmente un capitalismo basato sugli investimenti e su una redistribuzione della ricchezza mondiale e, all’interno dei vari paesi, della ricchezza tra i vari ceti sociali.

Si capovolgerà lo schema fino ad ora imperante : la redistribuzione della ricchezza non sarà  più la conseguenza  dell’aumento della produzione e dei profitti, ma diventerà invece la condizione necessaria per realizzare tale aumento.
Insomm: niente giustizia sociale niente sviluppo.

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Il nostro governo e il nostro ministro dell’Economia sostengono che in Italia le cose andranno meglio perché le banche qui da noi sono più solide che altrove e i conti pubblici “sono in sicurezza”.
Che le nostre banche siano solide è una fondata speranza; ma che le nostre prospettive siano migliori degli altri paesi è una bufala delle tante che il governo ci propina.
Noi non stiamo meglio, stiamo decisamente peggio, ci tiene ancora a galla l’euro senza il quale staremmo da tempo sott’acqua.
Stiamo peggio perché non abbiamo un soldo da spendere.

Quelli che avevamo venivano da una forte azione di recupero dell’evasione fiscale che ci dette nel 2006-7 più di 20 miliardi da spendere. Questa fonte si è inaridita. Il fabbisogno è aumentato, l’abolizione dell’Ici ha distrutto un reddito tributario di 3 miliardi e mezzo l’anno; l’Alitalia tricolore è costata all’erario 3 miliardi (se basteranno).

Sicché Tremonti non ha un soldo.
Per mandare avanti il motorino italiano ha dovuto redigere nel luglio scorso una legge finanziaria gremita di tagli. Per far sopravvivere il sistema ha concesso la settimana scorsa un’elemosina di 6 miliardi “una tantum” alle famiglie e alle imprese; con qualche spicciolo aggiuntivo per far tacere le invettive del Papa e dei vescovi per i tagli alle scuole cattoliche (ma quelli alla scuola statale e all’Università sono rimasti tutti ferocemente in piedi).

Anche in Italia tuttavia, come altrove, la crisi finora ha soltanto graffiato la pelle ma non ha ferito né i muscoli né i tendini. Si consuma un po’ meno, si investe poco o nulla (ma questa latitanza degli investimenti privati e pubblici è da anni una costante).

Il peggio deve venire dice Tremonti e ha purtroppo ragione.

La diagnosi è giusta. La terapia non c’è per ragioni di forza maggiore determinati dagli errori commessi sei mesi fa.
Come uscirne dovrebbero dircelo il premier e il ministro dell’Economia.
Certo non se ne esce con gli inviti ai risparmiatori a sottoscrivere i Bot. Tanto meno facendone colpa all’opposizione.

Mutui: che fare?

Claudio Borghi- Il Giornale 24 maggio 2008

Conviene essere chiari sin da subito: l’accordo banche-Governo sulla rinegoziazione dei mutui non contiene nessun regalo, si tratta però di un intelligente e salutare aiuto «educativo» per chi non è avvezzo a complicate questioni economiche, vale a dire la grande maggioranza degli italiani.

Tecnicamente parlando, quella prospettata dal governo è una conversione tra un mutuo a «tasso variabile e durata costante» ed uno a «rata costante e durata variabile». i

In poche parole il beneficio di avere una rata sempre uguale e più bassa dell’attuale si paga con un’incertezza sulla durata residua del mutuo: in caso di tassi costanti o in salita rispetto ad oggi il debito scadrà più tardi, se invece i tassi dovessero scendere a lungo sotto i livelli del 2006 il mutuo potrebbe estinguersi anticipatamente.

A questo punto la domanda che ci si pone è: conviene una conversione di questo tipo? Ebbene, anche se non sembra, finanziariamente si tratta pressoché della stessa cosa: l’unico elemento di considerazione è la comodità del singolo debitore che può scegliere se optare per una rata più bassa e un prestito presumibilmente più lungo o continuare come prima.
Rimangono immutate le prerogative del mutuo di partenza, vale a dire una convenienza in caso di tassi in discesa e una penalizzazione in caso di tassi in salita.

Una scelta del genere potrebbe essere utile in momenti come l’attuale di difficile congiuntura economica e può essere rimodificata in futuro.

La «furbata» del governo è tutta qui, indurre i cittadini a prendere coscienza di una scelta che essi avevano già a disposizione ma che pochissimi sfruttavano, senza ventilare alternative più rischiose.

Se ad esempio si fosse suggerita la possibilità di cambiare il tasso variabile in tasso fisso (opzione pure questa già da ora realizzabile) ci si sarebbe assunta una grave responsabilità in quanto, in caso di futuro ribasso dei tassi di interesse, l’operazione sarebbe risultata fortemente penalizzante per coloro che vi avessero aderito e i contenziosi sarebbero stati infiniti (e giustificati).

Non dimentichiamo che le operazioni realizzabili in uno scenario in cui i mutui sono liberamente trasformabili e flessibili sono molteplici: basta andare a «giocare» su uno dei siti internet gratuiti specializzati in mutui per scoprire che la gamma delle opzioni è pressoché infinita. È possibile dimezzare la rata raddoppiando la durata, è possibile passare da una banca ad un’altra, magari riuscendo a spuntare condizioni migliori, è possibile passare da tasso variabile a fisso a misto con opzione. Una volta recepito il messaggio si vedrà che la soluzione prevista dall’accordo banche-governo non è che una delle tante scelte disponibili per il cittadino informato.

Le possibilità c’erano già, e va dato atto al decreto Bersani del 2007 di averne posto le basi, ma non bastano le leggi, bisogna trovare il modo più adatto di informare i cittadini, che vanno in qualche modo «educati» alle novità, altrimenti ogni innovazione anche se positiva rimane uno sterile esercizio per iniziati.