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“Da vent’anni il “tumore” sono Ligresti e i La Russa”

di Gianni Barbacetto e Silvia TruzziIl Barone neroli ha conosciuti tutti.Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nobile famiglia trapanese, lunga militanza nel Msi, li ha visti da vicino i fascisti con le mazze, quelli con il doppiopettoe quelli che, dopo la fine del Movimento sociale, si sono costruiti posizioni di potere, fino a finire in cella: e (come Franco Nicoli Cristiani a Milano o Franco “Batman” Fiorito a Roma), non per qualche scontro di piazza.
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“Nel 1989 rilasciai un’intervista a l’Europeo in cui indicavo quelli che ritenevo essere i mali di un partito – il mio, l’Msi – che non aveva saputo rinnovarsi
.
C’era un tumore a Milano, nutrito dai legami tra la famiglia La Russa e i Ligresti. Il combinato disposto tra politica e affarismo: questo tumore ha provocato metastasi. La politica è diventata uno strumento di affermazione sociale per morti di fame spirituali, che vengono ricoperti di soldi, ma restano morti di fame”.
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Perché La Russa e Ligresti?
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La decisione di far diventare Gianfranco Fini segretario, per esempio, fu presa a Taormina in un albergo di Salvatore Ligresti, presenti il senatore Antonino La Russa, suo figlio Ignazio, Giorgio Almirante e Pinuccio Tatarella.
Quando poi i figli adottivi di Almirante fallirono con la concessionaria di auto Lancia a Roma, furono salvati da Ligresti, che diede loro un’agenzia della Sai. Il male affonda lì. Sono moralista? Magari sì, ma a Milano, per vent’anni, tutto un mondo è stato nelle mani della famiglia La Russa: da Michelangelo Virgillito a Raffaele Ursini, fino a Ligresti.
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Lei fu vicino a un personaggio contiguo a questo mondo, Filippo Alberto Rapisarda.
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A metà degli anni 80, lui era latitante a Parigi, mi chiamò in ufficio. Sostenni la sua battaglia contro le banche. Ma presi un abbaglio: era un megalomane che per certi versi ricorda Berlusconi. Mi affittò un appartamento nel suo palazzetto di via Chiaravalle (dove poi nacque il primo club di Forza Italia).

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Chi frequentava il palazzetto secentesco di via Chiaravalle?

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Ministri, sottosegretari. Ma anche Alberoni, Sgarbi, Micciché. E Dell’Utri, che conoscevo perché me lo aveva presentato Rapisarda che mi aveva anche raccontato che Dell’Utri aveva fatto arrivare a Berlusconi i soldi della mafia.

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 I La Russa quando li conobbe?

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 Sono arrivato a Milano nel 1966. Allora il padre Antonino era il consigliori di Virgillito. Il figlio Ignazio faceva invece il contestatore. Ma quando presentai in Consiglio comunale un’interrogazione su un immobile dell’Ospedale Maggiore stranamente finito nelle mani di Ligresti, fui affrontato, a un comitato centrale del Msi a Roma, da Antonino. Stavo parlando con Walter Pancini (oggi direttore generale di Auditel). Antonino mi disse, in siciliano: “Bella questa giacca. Sarebbe un peccato rovinarla con due buchi”.

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È vero che prese a schiaffi Ignazio?
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 Sì sì, faceva il bulletto. Fu verso la fine degli anni 80 durante una direzione provinciale del partito. Lui non m’invitava mai, anche se io ne avevo diritto visto che ero in direzione nazionale e deputato. Aveva una strategia di conquista del potere nel partito per arrivare poi alla conquista delle istituzioni. All’ennesima battuta, mi alzai e gli diedi quattro schiaffi.

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E lui?

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 Incassò, senza dire una parola.

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   L’ha stupita scoprire che si comprano voti dalla ‘ndrangheta in
Lombardia?

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 No, conosco bene Milano. E avevo annusato le infiltrazioni mafiose. Nella campagna elettorale del 2011 per il Comune di Milano, ho dato una mano a Barbara Ciabò (lista Fini). Due giorni prima del voto mi disse: “Vedrai, non ce la farò perché Sara Giudice ha 3/400 voti di case popolari abitate da calabresi”.

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 E Formigoni?

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Lo conobbi quando era deputato e sculettava nel transatlantico di Montecitorio.

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   Oggi, dopo una strenua resistenza, dice che vuole il voto…

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 Sta trattando su diversi fronti. Lui è l’espressione di quella che io chiamo associazione per delinquere di stampo cattolico. A Milano si è divisa gli affari con Ligresti, Moratti e i poteri di cui l’Expo è uno dei risultati.

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   Che effetto le fa il Consiglio regionale imbottito di indagati?

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Compio 80 anni tra un mese, eppure riesco ancora a scandalizzarmi. Quando ho appreso quello che è accaduto, non credevo alle mie orecchie. Vede, ho fatto il capogruppo in Consiglio comunale a Milano e ci davano una stanza e un’impiegata. Ho fatto il deputato a Roma e mi davano 150 mila lire per ogni giorno che stavo a Roma e un milione per i collaboratori, di cui dovevo presentare i contratti al partito.
Poi il berlusconismo ha creato danni irreparabili: modificazione antropologica della società attraverso le tv e inquinamento della politica con la dimostrazione che si può fare tutto impunemente. Ha portato nel partito frotte di impresentabili. Ma li vedete come vanno vestiti? Con questi gessati Palermo da finti gangster anni Trenta. È la politica dell’sms: soldi-mignotte-salotti tv.

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   Ora che succederà?

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   Nelle famiglie nobili di un tempo, si sposavano spesso tra consanguinei. E a un certo punto si sperava che lo stalliere mettesse incinta la marchesa o la baronessa per portare un po’ di sangue nuovo. Spero che arrivi un centinaio di deputati grillini… Tutto il resto mi sembra l’acqua pestata nel mortaio. A Milano siamo solo all’inizio: ne vedremo delle belle, anche dal punto di vista giudiziario.

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E che ci dice della Santanche’?

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   È un altro dei regalini di La Russa. I due hanno siglato un patto politico-mondano-commerciale. Ignazio l’ha portata a Milano, dove è diventata consigliere provinciale, e nel frattempo sovraintendeva agli “eventi” (parola insopportabile) del partito.
Intanto La Russa, dopo una ripulita e un passaggio da un sarto degno di tale nome, è entrato nei salotti buoni. A Cortina, in Sardegna. Lei ama dire che viene dalla società civile, io preferisco dire dalla società incivile, viste le frequentazioni (con Briatore, per esempio) di quando era ragazza e non ancora del tutto plastificata.

Delusissimo dall’N8….disavventure NOKIA.

Avevo un Nokia N95.

Diciamo subito che era ( parlo al passato perchè è… defunto) il miglior telefono che abbia mai avuto: solido, facile da usare, faceva ottime fotografie e aveva una qualità audio strepitosa.

Quando ho dovuto sostituirlo il primo pensiero è stato: adesso me ne compro uno uguale.

Niente da fare, mi dicono al negozio.
Dal momento che scatto molte foto con il telefonino, chiedo di poterne comprare uno con una telecamera a buona risoluzione.

Mi suggeriscono l’N8.
E’ un touche screen: ormai non producono cellulari di un certo livello che non prevedano questo tipo di procedura.

Mi rassegno – imparerò anch’io come hanno fatto tutti gli altri- pago quasi 500 euro e vado a casa, ansioso di provare il nuovo giocattolo.

Scopro, nell’ordine:

– che ha una qualità audio molto scadente rispetto all’N95 comprato un bel po’ di tempo fa

– che quando si stabilisce la connessione con Internet non chiede, come faceva l’N95, il tipo di collegamento che si vuole utilizzare ( con il rischio di collegarsi utilizzando non il proprio operatore, ma un altro, molto più costoso).

che la fotocamera, pur buona, non ha la stessa velocità e praticita‘ di utilizzo di quella dell’N95 ( il che impedisce spesso di cogliere …l’attimo fuggente)

Ma la cosa veramente inquietante è che ogni tanto va in tilt.
Completamente. Insomma, i comandi non rispondono più del tutto, compreso quello di spegnimento.
E non è nemmeno possibile togliere- in quel caso-  la batteria.

E sapete perchè?

PERCHE’ NON E’ PREVISTO!!!! La batteria e’ INCORPORATA!!!

A quel punto si può solo aspettare che la batteria si scarichi, tirare fuori la scheda e utilizzare un cellulare “muletto” per 10/12 ore.
Ovviamente non sempre uno gira con due cellulari in tasca, il “titolare” e il muletto.

Così ti puo’ accadere di rimanere privo di collegamento fino a quando non rientri a casa.

Fino ad oggi questa cosa del blocco completo dei comandi del cellulare mi è accaduta 4 volte ( in media una volta ogni 3 settimane).

Insomma lodi e osanna per l’N95, il telefono che avevo prima… I negozianti di cellulari, quando faccio loro notare che quello era un gran telefono, il migliore mai prodotto, mi danno ragione immediatamente, lo pensano anche loro.

Peccato che non sempre l’evoluzione della specie sia garanzia automatica di miglioramento.

Nei prossimi giorni porterò il mio N95 ad un centro assistenza e cercherò di farlo rimettere in sesto ( mi dicono sia cosa possibile).

Dopo di che lo utilizzero’ di nuovo.

L’N8 , tutt’al piu’ mi servirà,ogni tanto come macchina fotografica…

Letture del giorno di Capodanno

Riemergo dal torpore del pranzo di Capodanno ( tortellini, bollito e tiramisù) e mi seggo in poltrona a leggere alcune brevi frasi di Emile Cioran.

Il libro è “Lacrime e santi”

Ho ripreso in mano questo libro, dopo tanto tempo, in maniera assolutamente casuale.

Mia figlia Giulia mi aveva chiesto un consiglio su un romanzo da leggere in tre -quattro giorni.

Mi sono così messo a scorrere i titoli della mia biblioteca e alla fine, dopo averle letto molte trame e molti incipit, per invogliarla, sono riuscito a propinarle un romanzo di Mario Vargas Llosa, “Memorie della ragazza cattiva”. Credo le piacerà. Vargas Llosa è un autore fantasioso, tratteggia bene i personaggi, costruisce in maniera accattivante le storie.
Ogni tanto inciampa in qualche frase sciatta e convenzionale, di quelle che ai quali i critici falliti come scrittori- e quindi implacabili come critici- cercano ogni tanto di impiccarlo.
Ma in fondo è dagli anni 70 che Vargas Llosa sforna un libro ogni due o tre anni,alcuni dei quali notevoli, qualche scivolone ogni tanto gli va perdonato.

Comunque questo che Giulia ha iniziato a leggere è un romanzo d’amore bello e appassionante.
Credo che le piacerà. E forse piacerà anche a qualcuno di voi ( ma…non mi assumo responsabilità ; segnalo però che è uscito anche in… edizione economica).

Ma mi sono dilungato.

Dicevo che scorrevo i tioli dei miei libri per dare un consiglio a Giulia, ed ecco che mi ricapita in mano Cioran.

E mi affascina come sempre.

Anche- e soprattutto- quando mi stupisce e mi lascia perplesso.

Tre sono gli aggettivi che secondo me meglio definiscono questo pensatore singolarissimo e unico: provocatorio, ironico, acuminato.

Ma è inutile che vi racconti chi è Cioran. Alcuni lo sanno, altri possono trovare in breve tutte le informazioni che vogliono su di lui consultando i motori di ricerca.

Mi piace di più l’idea di trascrivervi qui alcune delle frasi di questo libro che mi hanno colpito una quindicina d’anni fa, quando l’ho letto la prima volta.

Le avevo sottolineate con la matita: essendo io un bibliomane, ma non un bibliofilo, qualche volta “sporco” i libri .

Ecco le frasi che mi hanno colpito. Le lascio alle vostre riflessioni di inizio anno:

Si crede in Dio solo per evitare il monologo tormentoso della solitudine. A chi altri rivolgersi? Si direbbe che Egli accetti volentieri il dialogo e non ci serbi rancore per averlo scelto come pretesto teatrale dei nostri scoramenti.

– Gli antichi sapevano morire. Innalzarsi al di sopra della morte è stato l’ideale costante della loro saggezza. Per noi la morte è una spaventosa sorpresa.

– Dio ha creato il mondo per paura della solitudine: è questa l’unica spiegazione plausibile della Creazione.
La sola ragione d’essere di noi creature è di distrarre il Creatore. Poveri buffoni, dimentichiamo che stiamo vivendo i nostri drammi per divertire uno spettatore di cui finora nessuno al mondo ha sentito gli applausi. E se Dio ha inventato i Santi lo ha fatto solo per alleggerire un po’ di più il peso del suo isolamento.
Quanto a me, la mia dignità esige che io gli opponga altre solitudini, altrimenti non sarei che un giullare in più.

– Dio si insedia nei vuoti dell’anima. Sbircia i deserti interiori, perchè a somiglianza della malattia, egli predilige occupare i punti di minor resitenza
Una creatura armoniosa non può credere in Lui. Sono stati i poveri e gli infermi a “lanciarlo”, ad uso e consumo di chi si tormente e dispera.

FILIPPO CUSUMANO

AVEVA 20 anni e mi piaceva, ma ho dovuto lasciarla ad un altro….


Mi piaceva quella Bmw decappottabile.

Era vecchiotta, aveva più di 20 anni, ma era in ordine.

Mi piaceva anche il colore.

In casa non era molto popolare. Francesco era ancora un ragazzo , ma era già alto come adesso, cioè un metro e 87.

Ogni volta che partivamo per un viaggio, c’era una discussione su chi doveva stare dietro tra lui e sua madre.

L’unica che mi appoggiava era la piccola Giulia, affascinata dall’eleganza senza tempo di quell’auto, quella che mi aveva spinto all’acquisto.

Il venditore era stato abile.

Mi aveva detto : “E’ una macchina d’epoca, ma è così in ordine che lei può usarla tranquillamente tutti i giorni!”.

Era quello che volevo sentirmi dire: sapevo che era un capriccio e me ne vergognavo un po’.

Mi dicevo: “Beh, una macchina devo pure averla, se poi è bella meglio, l’importante è che funzioni”.

Insomma ero orgoglioso di quell’auto. Mi faceva piacere , quando tornavo a riprenderla in un parcheggio, notare qualcuno che si soffermava ad ammirarla o addirittura si complimentava con me per come era ben conservata e in ordine.

Mai avrei voluto rinunciare a quell’auto.

Ma un giorno capita una cosa che mi costringe a cambiare idea.

Viene a trovarci un cugino di mia moglie, anche lui appassionato di automobili.

Fiero del mio acquisto, gli mostro la Bmw. Andiamo a fare un giro e, dal momento che siamo in estate, tolgo il tettuccio rigido e lo metto nel bagagliaio.

Più tardi andiamo a mangiare una pizza e rimonto quel tettuccio, ma per una fatale distrazione, dimentico di fissarlo con la maniglia di sicurezza.

Parto quindi, ignorando che il tettuccio è solo appoggiato all’abitacolo, non fissato.

Prendiamo un piccolo dosso a discreta velocità e all’improvviso sentiamo un rumore secco tipo VUMMM e vediamo le stelle sopra di noi.
Giulia lancia un grido che è insieme di stupore, paura e divertimento.

Il tetto è volato via come una scheggia, come se fosse la bombetta tagliente di quel film di James Bond.

Fermo l’auto e scendo terrorizzato all’idea che qualcuno sia stato colpito da quell’oggetto volante.

Per fortuna è tardi e c’è in strada solo un ciclista. Assonnato ( forse non si è accorto nemmeno di quello che ha rischiato) , ma illeso.

Recupero il tetto, leggermente ammaccato, cinquanta metri più in là, tra i commenti dei miei famigliari.

I quali prima si uniscono a me nell’esprimere sollievo per lo scampato pericolo, poi si abbandonano senza ritegno a critiche durissime, sconfinanti con l’aperta derisione, per la proverbiale distrazione del paterfamilias.

Faccio riparare il tettuccio e permuto la Bmw con una placida Tipo.

A brigante brigante e mezzo ( misteriosa morte di Salvatore Giuliano)

Salvatore GiulianoL’uomo che vedete qui a fianco è il bandito Salvatore Giuliano
L’immagine che vedete qui sotto,è invece un fotogramma del bellissimo film a lui dedicato da Francesco Rosi, “Salvatore Giuliano”.

La scena che rappresenta è quella della misteriosa morte del bandito , avvenuta a Castelvetrano ( PA) nella notte del 5 luglio del 1950.

Ma chi era Salvatore Giuliano?

Nato bel 1922 a Montelepre, figlio di un agricoltore, che, dopo anni di immigrazione negli Stati Uniti, era riuscito a tornare in paese e a comprarsi diversi pezzi di terra, non appena finite le elementari, comincia a dare una mano al padre nella coltivazione di questi terreni.

salvatore giuliano morto
La sua latitanza inizia il 2 settembre del 1943 quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasporta due sacchi di frumento caricati su un cavallo, si vede sequestrati cavallo e frumento

Approfittando di un momento di distrazione dei militari che lo hanno fermato, tenta di allontanarsi, ma è raggiunto da due colpi di moschetto.

Nonostante le dolorose fitte al fianco, il giovane pesca un vecchio revolver dalla sua calza destra e fa fuoco.

Il colpo, sparato senza particolare convinzione ( Giuliano, allora, non aveva grossa pratica delle armi, nè era un tiratore scelto) si conficca nel cuore di un carabiniere di 24 anni, che morirà il giorno dopo all’Ospedale Militare di Palermo.

salvatore Giuliano2Salvatore, pur ferito, riesce ad infilarsi in un bosco di canne, scomparendo alla vista degli agenti superstiti che preferiscono non rischiare la vita inseguendolo.

Qualche tempo dopo, nel dicembre dello stesso anno, un battaglione di 800 carabinieri arriva a Montelepre con l’unico scopo di catturarlo.

I militari fermano il padre di Giuliano e lo trascinano, spintonandolo e malmenandolo per tutto il paese.
E’ evidente che lo stanno usando come un’esca.

Salvatore, nascosto nella torre campanaria, assiste alla scena, riconosce il padre e non può fare a meno di intervenire. Spara una scarica di mitra, uccide un carabiniere e ne ferisce gravemente altri due.

Gli sparano da tutte le parti, ma resta illeso e , incredibilmente, riesce ad allontanarsi dal paese.

giulNegli anni successivi diventa il leader indiscusso di un gruppo criminale dedito a rapine e taglieggiamenti.

Dal 1945 le sue imprese acquistano anche una forte coloritura separatistica grazie ai contatti con il Movimento Indipendentista Siciliano (MIS).

Spinto da esponenti dell’intelligence U.S.A. nell’E.V.I.S. (Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana) riceve il grado di colonnello.

Nel 1946, per disinnescare il rischio di una pericolosa eversione, De Gasperi promette ampia autonomia all’isola e promuove un’amnistia.

I capi del Movimento Indipendentista decidono di rientrare nella legalità e di partecipare alle elezioni per il parlamento nazionale.

giuliano-turiddu-turi-salvatoreI reati commessi da Giuliano e dalla sua banda non rientrano, però, tra quelli compresi nell’amnistia.
Il bandito scrive una lettera aperta al capo del Governo proclamandosi il Robin Hood della Sicilia: “Continuerò a togliere ai ricchi per dare ai poveri”.

Nel 1947 Giuliano e la sua banda diventano protagonisti della prima strage dell’Italia repubblicana.

Alcune migliaia di abitanti di San Cipirello, Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato sono riunite a PORTELLA DELLA GINESTRA per le celebrazioni del primo maggio e per festeggiare la vittoria dei partiti di sinistra nelle elezioni regionali del 20 aprile nelle quali la coalizione PSI – PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).

All’improvviso, a pochi secondi dall’inizio della manifestazione, mentre sta parlando il calzolaio Giacomo Schirò, segretario della sezione comunista di San Giuseppe Jato, si sentono alcune raffiche di mitra.

portella delle Ginestre

La folla all’inizio pensa ad un festeggiamento a base di mortaretti, poi vede cadere le prime persone e capisce che sta accadendo ben altro.

Alla fine della mattinata si contano 11 morti ( tra i quali 2 bambini) e 27 feriti.

Il ministro dell’interno Mario Scelba dichiara che non si tratta di un delitto politico.

portella

Solo 4 mesi più tardi si scopre che a sparare è stata la banda Giuliano.
Quest’ultimo, in una lettera del 1949, indirizzata a giornalie polizia, rivendica il motico politico della strage , ma evita di citare mandanti e ispiratori del crimine, nella speranza che questi lo aiutino ad espatriare.
[Si i è parlato a lungo di una strage ordinata a “Turiddu”, attraverso l’intermediazione della mafia, da personaggi politici, agenti governativi ed esponenti dei servizi segreti italiani e americani, ma dai processi che si svolsero sulla vicenda si uscì solo con la condanna degli esecutori della strage; non solo non vennero individuati i mandanti, ma si escluse anche il movente politico].

Giuliano negli anni successivi sfugge alla cattura, grazie alla sua conoscenza del territorio e ad una rete di amicizie e di omertà.

Ma è ormai diventato un personaggio scomodo per i suoi sponsor e mandanti.

Il 5 luglio del 1950 viene ucciso a Castelvetrano in provincia di Trapani nel corso di un conflitto a fuoco con la polizia.

Ma niente è come sembra…

Lasciamo la parola ad un cronista leggendario dell’epoca, Tommaso Besozzi .

Ecco cosa scrive sull’Europeo- sotto il titolo “Di sicuro c’è solo che è morto”– su quel cadavere in canottiera riverso sul selciato di un cortile:

giulianomortovero

“Perchè Giuliano non aveva un soldo addosso?
Perchè portava una semplice canottiera, lui così ambizioso e,a suo modo, elegante?
Perchè non aveva l’orologio al polso, quel grosso cronometro d’oro per il quale aveva una bambinesca affezione e, lo hanno testimoniato in molti, era l’unica cosa che si togliesse coricandosi, la prima che cercasse al risveglio?
C’erano poi altri particolari che alimentavano il dubbio e, apparentemente, con maggiore evidenza: alcune ferite, specie quella sotto l’ascella destra, sembravano tumefatte come se risalissero a qualche tempo prima, altre erano a contorni nitidi e apparivano più fresche.
Due o tre pallottole lo avevano raggiunto al fianco e avevano prodotto quei fori grandi a contorni irregolari tipici dei colpi sparati a bruciapelo; altre erano entrate nella carne lasciando un forellino minuscolo perfettamente rotondo.
Il tessuto della canottiera appariva intriso di sangue dal fianco alla metà della schiena, e sotto quella grossa macchia, non c’erano ferite. Era logico pensare che il CORPO DEL BANDITO ANZICHE’ BOCCONI, FOSSE RIMASTO PER QUALCHE TEMPO IN POSIZIONE SUPINA, PERCHE’ TUTTO QUEL SANGUE DOVEVA ESSERE SGORGATO DALLE FERITE SOTTO L’ASCELLA E CERTAMENTE ERA SCESO, NON POTEVA ESSERE ANDATO IN SU”

giuliano1

Qualche mese più tardi, nel 1951, Tommaso Besozzi, in un altro numero dell’Europeo dà una risposta alle sue domande. Il tono questa volta è perentorio:

“Salvatore Giuliano è stato ucciso a tradimento, nel sonno; e il suo corpo è stato portato più tardi nel cortile di via Mannone per la messa in scena finale.
Il Capitano Perenze ha sparato su un cadavere”.

Chi è che ha ucciso Giuliano nel sonno?

Secondo alcuni Gaspare Pisciotta, suo cugino, che dormiva quella notte con lui. Ma esiste anche un’altra ipotesi: che a freddare Giuliano sia stato un giovane killer di Cosa Nostra, Luciano Liggio, al quale Pisciotta si sarebbe limitato ad aprire la porta.

Una cosa appare certa, a distanza di anni: il bandito non è stato ucciso nel corso di uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, è vittima di un delitto su commissione, eseguito con la promessa dell’impunità.

Promessa che poi non viene mantenuta, a causa degli scoop dell’Europeo che smascherano la messa in scena dei carabinieri.
Mentre i carabinieri, finiti nell’occhio del ciclone, cercano di proteggere la clandestinità di Pisciotta, la polizia si mette di traverso e il 5 dicembre 1950 arresta Pisciotta.

Al processo sulla strage di Portella della Ginestra, iniziato a Viterbo il 12 giugno di quell’anno, quando lui era ancora latitante, ammette di aver sparato a “Turiddu”.

Lo fa in un documento affidato al suo avvocato, in cui , tra l’altro c’è scritto:

“Avendo io personalmente concordato con il ministro degli Interni Scelba, Giulianio è stato ucciso da me”

Pochi giorno dopo il colonnello dei carabinieri Luca, appena promosso generale, ammette in un’intervista di essersi servito di Pisciotta per catturare Giuliano, ma non specifica che fu proprio lui a uccidere il cugino.


Pisciotta, fuori di sè, chiede la parola dalla gabbia dell’Assise di Viterbo e lo smentisce.
E’ il 16 aprile del 1951.
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Davanti ad una folla di giornalisti, fa i nomi dei mandanti della strage e racconta per filo e per segno incontri e trattative fra banditi e uomini delle istituzioni, con tanto di promesse di impunità.

“Banditi, mafia e carabinieri eravamo tutti come una cosa sola, come la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo”, urla.

E aggiunge: “Io ho liquidato Giuliano senza alcun vantaggio materiale. Chiedo che Luca venga a deporre:voglio vedere se riuscirà a dimostrare di avermi dato una sola lira dei 50 milioni della taglia.Sono un bandito, signori, ma un bandito onesto!”

Condannato all’ergatolo con altri 11 per la strage di Portella Della Ginetra – la sentenza di primo grado è del maggio 1952- Pisciotta chiede, nel febbraio del 1954, di parlare con un magistrato.

L’allora sostituto procuratore Pietro Scaglione va a trovarlo in carcere. Pisciotta gli comunica la sua decisione di smascherare una volta per tutte i mandanti della strage.
Il magistrato gli dà un appuntamento al giorno successivo, quando tornerà con un cancelliere per verbalizzare il tutto.
La mattina dopo Pisciotta muore nella sua cella all’Ucciardone per una dose di stricnina versatagli da qualcuno nel caffè o, molto più probabilmente, nella medicina che è solito prendere per la tubercolosi.

sciascia2

Chiudo citando un grandissimo scrittore.

Ecco cosa scrive, nel 1974 nel suo NERO SU NERO:.

“Chi non ricorda la strage di Portella della Ginestra, la morte del bandito Giuliano, l’avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino ad oggi, avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l’Italia è un Paese senza verità.
Ne è venuta fuori una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo ai fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere”

“Lo stato- dirà in un’altra successiva circostanza sempre Sciascia- non può processare se stesso”

giulianomorto1[1]

Oscar Wilde in love- terza parte- De Profundis

Pur deluso e disgustato dall’amico e distrutto dal dolore per la morte della madre, Wilde proprio in quel periodo comincia a risalire la china.
Lo aiuta in ciò moltissimo il nuovo direttore del carcere, il giovane Maggiore Nelson, che lo dispensa quasi interamente dal lavoro manuale, gli consente di procurarsi quasi tutti i libri che vuole e gli procura carta e penna.

E’ grazie a queste concessioni che il detenuto trova ragione di vita nella scrittura del De Profundis, la sua lettera- requisitoria indirizzata all’amico e al mondo.

E’ una lettera, ma è anche un racconto, un’opera d’arte in piena regola, quella che fa dire ad alcuni critici che Wilde è il più grande prosatore irlandese dopo Swift.
George Bernard Show definisce questo documento, lungo oltre un centinaio di pagine “un libro straordinario, assolutamente esilarante e divertente come era Wilde stesso e disonorevole e vergognoso per i suoi stupidi tormentatori”
Wilde ripercorre tutta la storia del suo rapporto con Bosie, descrivendo l’amico come l’avvelenatore della sua vita, che era e avrebbe dovuto restare dedicata all’Arte.
Tutta la prima parte della lettera, il primo movimento, potremmo dire, visto che la composizione ha quasi la struttura di un’opera musicale, è dedicata a descrivere i comportamenti spregevoli di Bosie, con tanto di liti e riappacificazioni descritte come in una commedia. “ C’è dentro afflizione, fastidio, disagio- dirà G.B.Show- ma non una vera tragedia; è tutto commedia”.

Elencati i motivi del suo disprezzo; Wilde è troppo intelligente per non capire che deve spiegare non solo a Bosie, che è il primo destinatario della lettera, ma anche al “suo “ pubblico, che ne è il secondo destinatario, i motivi che lo hanno indotto, nonostante l’evidenza dei pericoli che correva e la disapprovazione per i comportamenti inqualificabili del compagno, a lasciarsi travolgere.

Da una parte, lo ammette c’è stata debolezza .” Lo dico francamente, barcollavo come una bestia condotta al macello. Avevo commesso un madornale errore psicologico: avevo sempre creduto che cederti nelle piccole cose non avesse importanza e che al momento opportuno sarei riuscito a far prevalere la mia forza di volontà .Non fu così. Quando giunse il momento, la forza di volontà mi mancò completamente”.

Ma non è stato solo questione di debolezza, aggiunge Wilde subito dopo, ansioso di dimostrare che c’è stato anche una motivazione nobile nel suo lasciarsi trascinare alla rovina.
“Qualunque fosse la tua condotta verso di me, sentii sempre che in fondo mi amavi davvero”.

Il fascino del poeta, la sua posizione nel mondo dell’arte e nel bel mondo, il lusso di cui si circonda hanno sicuramente innescato l’attrazione del giovane nei confronti dell’amico più maturo. Ma non c’è solo l’amore per le cose esteriori in questo rapporto, Wilde lo sente.
“Vi era qualcosa di più, qualcosa che aveva per te un’attrazione strana: mi amavi molto più di quanto tu amassi chiunque altro”

Ed ecco il terzo movimento: nonostante gli riconosca capacità d’amore, Wilde è costretto ad ammettere che il vero motivo conduttore della vita di Bosie è l’odio implacabile per il padre, al quale senza esitare ha sacrificato la vita dell’amico.
“In te l’odio è sempre stato più forte dell’amore; nella stessa anima non c’è spazio per entrambe le passioni”
Ecco quindi la differenza tra Wilde e Bosie: il primo ha fatto prevalere la legge dell’amore, il secondo quella dell’odio.
“Gli dei sono strani. Non è solo dei nostri vizi che fanno strumenti con cui castigarci. Non fosse stato per il mio amore per te e per i tuoi, non sarei ora a piangere in questo terribile luogo”

Ma la più terribile delle colpe di Bosie non è l’aver provocato, con la cecità e l’insensatezza del proprio odio, la rovina dell’amico, ma nell’insensibiltà che ha dimostrato durante la carcerazione di Wilde.
Non si è mai fatto vivo.

“Perché non mi hai scritto? Aspettavo una lettera. Ero certo che alla fine avresti capito che se l’antico affetto, l’amore tanto proclamato, i mille atti di cortesia mal ricevuta di cui ti avevo inondato non erano niente per te, il solo dovere ti avrebbe dovuto far scrivere. […..] Il tuo silenzio è stato orribile. Non di settimane o di mesi, ma di anni. E’ un silenzio che non ha scuse”

Con questa ultima pesantissima accusa si conclude la requisitoria di Wilde.

Che ha un finale ( o un quinto movimento se vogliamo restare alla metafora musicale) veramente sorprendente.

Un po’ come nei famosi paradossi wildiani, che affidano al rovesciamento inatteso del luogo comune non solo la loro forza di persuasione, ma anche la loro capacità di creare divertimento.

“ E la fine di tutto questo è che devo perdonarti. Devo farlo: per il mio bene stesso devo perdonarti. Devo toglierti il fardello e caricarlo sulle mie spalle. Sono prontissimo a farlo”.

L’artista , per essere veramente e compiutamente tale, secondo Wilde, deve provare l’esperienza del dolore, perché, è una esperienza che diversamente da quella del piacere è portatrice di verità, “non porta maschera”.
“Ora capisco che il Dolore, essendo la suprema emozione di cui l’uomo è capace, è insieme il modello e il banco di prova di tutta la grande Arte”

E’ il tema del Sacrificio Necessario.

Il fardello di cui parla Wilde è di fatto molto simile alla croce di Cristo: “ Vedo una connessione assai più intima e immediata tra la vera vita di Cristo e la vera vita dell’artista”.
L’accostamento genera lo spunto per alcune delle considerazioni più brillanti e originali della lettera.

Cristo è descritto come un poeta ( “Il posto di Cristo è infatti tra i poeti”) , come “il vero precursore del movimento romantico nella vita”.
“Cristo non fu soltanto il supremo individualista, fu anche il primo individualista della storia”.
“Cristo non diceva agli uomini : Vivete per gli altri, insegnava che non vi era alcuna differenza tra la vita degli altri e la propria. In tal modo egli dava all’uomo una personalità estesa, da Titano.”
Insieme al tema del Sacrificio affiora quello del Pentimento.
“Naturalmente il peccatore deve pentirsi. Perché? Perché altrimenti non sarebbe capace di comprendere ciò che ha fatto”.

Anche il Pentimento, come il Sacrificio, è quindi l’inizio di una presa di coscienza di sé, è un momento di verità ( e quindi di bellezza ) , l’inizio di una vita nuova, “il mezzo attraverso il quale ci è dato trasformare il nostro passato”.

Wilde non ha dubbi e lo dice con nettezza: Peccato e Sofferenza per Cristo erano cose belle e sante in se stesse, autentiche “forme di perfezione”.
“Sono certo che, se glielo avessero chiesto, Cristo avrebbe risposto che nel momento in cui il Figliol Prodigo cadde in ginocchio e pianse trasformò l’aver sperperato le sue sostanze con donne di malaffare, fatto il guardiano dei porci ed essersi nutrito delle loro stesse ghiande, nei momenti più belli e più sacri della sua vita. A molta gente riesce difficile comprendere questo. Forse si deve finire in carcere per comprenderlo. In questo caso, forse, vale la pena di finire in carcere”.
La lettera si avvia alla sua conclusione.

Il nostro sodalizio, dice il poeta, ha ancora molto da darci.
“..Per incompleto ed imperfetto che io sia, tu, da me, hai ancora molto da imparare. Venisti da me per imparare il Piacere della Vita e il Piacere dell’Arte. Forse sono stato scelto per insegnarti qualcosa di più splendido: il significato del Dolore, e la sua bellezza.”.

Wilde in love- seconda parte – “Ero fatto per altre cose”

osca-bosie Il primo carcere del quale Wilde fa esperienza, nello scontare la sua pena, è quello di Pentonville, a nord di Londra.
Unico ospite di una cella di quattro metri per due, il prigioniero vive in un isolamento pressoché assoluto. Nell’unica ora d’aria scende in cortile e come tutti gli altri prigionieri gira in tondo, battendo aritmicamente i piedi.
Non può comunicare, per regolamento, con gli altri detenuti e le guardie carcerarie sono pronte a segnalare alla direzione ogni più piccolo tentativo di violare questa regola da parte dei detenuti.

Il lavoro è frustrante e ripetitivo. In ogni cella vengono portate delle grosse funi ed ogni detenuto passa la sua giornata, salvo l’interruzione del pranzo e dell’ora d’aria, a sminuzzarle in stoppa.

Il vitto è ben lontano da quello cui il poeta, da tutti descritto come un mangiatore ghiotto e insaziabile, è stato abituato: verdura, zuppa d’avena per pranzo, tè ed una fetta di pane per cena.

La notte è lunghissima e tormentata. Alle sette le luci vengono abbassate e, per ben undici ore, fino alla sveglia delle sei del mattino dopo, ai prigionieri non resta altro che cercare di riposare distesi sopra un durissimo tavolaccio.
“Lo scopo del tavolaccio è produrre l’insonnia- scriverà ad un amico- E immancabilmente ci riesce. E’ un castigo rivoltante ed ignorante”

Ma la fame e l’insonnia non sono debilitanti per il poeta quanto la condanna all’isolamento. Non può comunicare, né ricevere notizie.
Ai detenuti è concesso di ricevere solo quattro lettere all’anno.
Le lettere possono contenere informazioni sui familiari, ma non possono fare il minimo cenno a qualsiasi altro evento del mondo esterno.
Il limite non riguarda soltanto le lettere, ma anche quello dei destinatari, selezionabili solo nella lista delle persone rispettabili.
Sono inoltre concesse quattro visite all’anno, della durata di venti minuti l’una.
Non potendo comunicare con lui, la stampa, che si è buttata con avidità sullo scandalo, pubblica, dandole come notizie, alcune congetture sulle condizioni di salute del poeta, che viene descritto come gravemente debilitato e sulla via di perdere il lume della ragione.

Dopo la visita di un deputato liberale, Richard Haldane, che fa parte della Commissione per la Riforma delle Carceri, le autorità decidono il suo trasferimento nel carcere di Wandsworth, a sud di Londra.
Qui , dopo uno svenimento dovuto alla debolezza e alla cattiva alimentazione, viene ricoverato per un breve periodo in infermeria.

Due specialisti ricevono l’incarico di visitarlo accuratamente, ma prima di farlo, si soffermano a scrutarne il comportamento dallo spioncino dell’infermeria e lo sorprendono a deliziare con la sua verve affabulatoria gli altri ammalati, gioviale e brillante, nonostante le condizioni al contorno, come tutte le volte che gli riesce di avere un uditorio attento e ammirato.

Ed ecco che un giorno, mentre ancora soggiorna nell’infermeria, che gli arrivano per la prima volta notizie di Bosie.

“Mi si fa uscire dall’infermeria- scrive a Bosie nel De Profundis- dove giaccio gravemente ammalato, per ricevere dal direttore del carcere un messaggio particolare da parte tua. Egli mi legge infatti una lettera indirizzatagli da te, in cui ti dichiari interessato a pubblicare un articolo “sul caso di mister Oscar Wilde” sul Mercure de France e ansioso di ottenere il mio consenso di pubblicare una scelta di brani: da quali lettere? Quelle che ti avevo scritto dal carcere di Holloway! Quelle lettere che avrebbero dovuto essere per te cimeli sacri e segreti più di ogni altra cosa al mondo!”

Wilde è inorridito dalla disinvoltura e dalla insensibilità dell’amico, che vuol dare in pasto “all’avida curiosità dei feuilletoniste” e dei “piccoli dandies del Quartiere Latino” delle lettere così intime e dolorosamente intrise di disperazione. Punta ad una riduzione della pena e per ottenerla ha bisogno di far dimenticare la sua vicenda il più possibile.

Bosie, che ha vissuto la storia come un momento esaltante della sua lunga lotta con il padre, è invece desideroso di gloriarsene ancora, di essere nuovamente al centro dell’attenzione.

Nel novembre del 1895, mentre ancora si trova nel carcere di Wandsworth, Wilde viene citato in giudizio dai suoi creditori.
Non essendo in condizione di pagare, subisce l’umiliazione di essere convocato dal tribunale fallimentare.
Emergono, alla fredda luce dei rendiconti contabili, i particolari di una vita dissipata e senza regole.
Incapace di indicare al giudice quanto fosse solito spendere, più o meno, in un anno, Wilde viene messo di fronte alla minuziosa ricostruzione delle sue uscite tenuta diligentemente dai suoi fornitori.
Saltano fuori soggiorni in alberghi costosi, cene a base di brodo di tartaruga, sofisticati patè fatti arrivare direttamente da Strasburgo, vini d’annata serviti in grandi quantità, perfino gemelli da polso con diamanti disegnati dal poeta e fatti realizzare da un artigiano per farne omaggio a Bosie ( Wilde non li ha pagati e Bosie li ha rivenduti per quattro soldi nella prima occasione in cui si è trovato a corto di quattrini).

La dichiarazione di fallimento
è l’umiliazione più grande.
“Anche se può sembrarti strano che uno che si trovi in una situazione terribile come la mia faccia differenza tra una ignominia e un’altra, pure ti dico francamente che la follia di sperperare per te tutto quel denaro, e di lasciarti dilapidare il mio patrimonio a tuo, come a mio danno, dà alla mia bancarotta una nota di dissolutezza volgare che mi fa vergognare doppiamente ai miei stessi occhi. Ero fatto per altre cose.”

Dopo il processo presso il tribunale fallimentare, Wilde viene trasferito in un terzo carcere, quello di Reading, ad una cinquantina di chilometri da Londra. Durante il trasferimento subisce la più mortificante delle umiliazioni. Vestito con l’abito da forzato e con le manette ai polsi, è costretto a stare per mezz’ora in attesa nella pensilina di una stazione, completamente esposto al ludibrio della folla, che ha riconosciuto in lui il brillante commediografo caduto in disgrazia.

oscar-la mogliePoche settimane dopo il suo arrivo a Reading, il 19 febbraio 1896, Wilde riceve la visita della moglie, che nonostante sia afflitta da gravi problemi di salute, ha affrontato un gravoso viaggio da Genova, città nella quale dopo lo scandalo si è rifugiata con i suoi figli, per comunicargli di persona la notizia della scomparsa della madre, morta due settimane prima all’età di settant’anni.
Per Wilde è un colpo terribile.oscar-la madre

Anche in questa occasione Bosie dimostra la sua insensibilità.

“Nessuno meglio di te sa quanto profondamente amavo e veneravo mia madre […].Mia moglie, a quel tempo buona e compassionevole con me, perché non dovessi apprendere la notizia da labbra indifferenti o estranee, affrontò, malata com’era, il viaggio da Genova all’Inghilterra per prepararmi lei stessa all’annuncio di una perdita così irreparabile, così irrimediabile. Messaggi di partecipazione al mio dolore mi giunsero da tutti coloro che avevano ancora dell’affetto per me. Perfino molti che non mi conoscevano personalmente, avendo appreso quale nuovo dolore fosse entrato nella mia vita spezzata, scrissero chiedendo che mi venisse riferita qualche espressione delle loro condoglianze. Tu solo te ne sei stato da parte, non mi hai mandato una parola, non mi hai scritto una lettera. Di azioni simili, è meglio dire come Virgilio a Dante a proposito di coloro le cui vite sono state prive di nobili impulsi e superficiali nelle intenzioni: Non ragionar di lor, ma guarda e passa”.

“A OSCAR WILDE che posa da sodomita”

oscar7wildeComincio qui una storia che richiede lo spazio di più note .Racconterò di Oscar Wilde e del suo amore per Alfred Douglas.Questa è la prima puntata.

Verso la fine di giugno del 1891 Lionel Johnson, un giovane aristocratico londinese, che ha letto per 14 volte “Il ritratto di Dorian Gray” accompagna il cugino Lord Alfred Douglas da Oscar Wilde, autore del romanzo e glielo presenta.

Figlio minore del Marchese di Queensberry, Lord Douglas ( detto Bosie) aveva una carnagione molto pallida, capelli biondi, occhi chiari ed una corporatura minuta.

Nelle foto che lo ritraggono con Wilde appare visibilmente più piccolo di lui ( che era tuttavia di statura molto superiore alla norma).

Secondo Douglas, Wilde passò il tempo ad assediarlo riuscendo nella conquista dopo circa sei mesi.

Di lì a poco, in una lettera ad un amico, Oscar scrive parole inequivocabili: “Mio caro Bobbie, Bosie ha insistito per fermarsi qui a mangiare dei sandwich. E’ in tutto e per tutto simile ad un narciso- così bianco e oro.[…] E” talmente stanco: giace sul divano come un giacinto ed io lo venero “.

Dal novembre 1892 al dicembre 1893 i due non si separano mai. Oscar ha poca voglia di nascondere la relazione che ogni giorno lo prende sempre di più, ma Douglas è addirittura ansioso di esibirla.

Chi invece è enormemente preoccupato da questa relazione è il padre di Bosie.

John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry, è un uomo singolare (ha ereditato un enorme patrimonio, dilapidandone la metà in scommesse sui cavalli).

Le dicerie sulla vita che conducono i due corrono per tutta Londra.

Bosie1894Bosie, da tempo frequenta una cerchia di giovani prostituti pronti a concedersi per qualche sterlina o per un buon pasto in un ristorante alla moda . A questa passione ha introdotto anche Wilde . I due, per trovare le loro “prede” si avvalgono dei servigi di un certo Alfred Taylor, vero e proprio tenutario di un bordello maschile. Ai giovani prostituti con i quali si incontra Wilde dispensa spensieratamente denaro, portasigarette in oro o argento e altri regali. E’ generoso, cordiale, brillante. Parlerà poi di quel periodo come del periodo in cui ” banchettava con le pantere”.

I giovani sono infatti molto avidi e spregiudicati e spesso pronti al ricatto. Da pochi anni ( 1885) è stata approvata in Inghilterra una legge, il Criminal Law Amendment Actc, che per la prima volta vieta gli atti osceni tra maschi adulti consenzienti ( si dice che la Regina Vittoria , avendole qualcuno fatto notare che non era prevista alcuna sanzione per le donne, abbia liquidato seccamente le questione, dicendo :”Nessuna donna farebbe mai una cosa simile”). Il rischio che, con la loro condotta ostentata ed ogni giorno più imprudente i due corrono è quindi un rischio reale e piuttosto grave: la pena prevista era quella della “detenzione fino ad un massimo di due anni, con o senza lavori forzati”.

Naturale quindi che il Marchese di Queensberry si preoccupi delle conseguenze che la relazione può avere sulla reputazione, ma anche sulla fedina penale del figlio.

Dopo vari tentativi di convincere quest’ultimo a troncare la relazione e un’irruzione con minacce in casa di Wilde rimasta priva di effetti, decide di passare a provocare il drammaturgo in maniera plateale.

queensbi1Va a trovarlo all’Albermarle Club e, non trovandolo, gli lascia un biglietto che dice “A Oscar Wilde che posa da sondomita ( sic: “somdomite”)..

Bosie, che odia il padre profondamente, convince a questo punto Wilde a citare in giudizio il marchese per calunnia.

Il 9 marzo ha inizio il processo.

L’avvocato che difende Queensberry è Edward Carson (v.foto) , compagno di studi di Wilde al Trinity College di Dublino. Wilde accoglie la notizia con leggerezza: “Sarò interrogato dal vecchio Ted Carson. Farà senz’altro la sua parte con quel tanto di cattiveria tipica di un vecchio amico”

Quello che non immagina è che, mentre lui e Bosie, approfittando di un rinvio delle udienze, si assentano per alcuni giorni per recarsi a Montecarlo, Carson esamina le prove raccolte da alcuni investigatori privati sguinzagliati nei posti più malfamati di Londra che hanno scovato tutti i giovani prostituti frequentati dalla coppia: lacchè, fattorini, stallieri, camerier, studenti, tutti personaggi già noti alla polizia, così come il loro “protettore” Alfred Taylor.

Alla ripresa del processo Carson incomincia, nell’interrogatorio di Wilde, a chiedergli di coomentare i suoi scritti.

Wilde risponde da par suo.

Carson legge diversi passi de “Il ritratto di Dorian Gray” scegliendo quelli che alludono a rapporti amorosi tra persone dello stesso sesso. Quando Carson insinua che il romanzo sia un libro perverso, Wilde replica in maniera sprezzante: “ Forse, ma solo per i bruti e gli ignoranti. Le opinioni dei filistei sono di una stupidità incommensurabile”.

Dal romanzo Carson passa alle lettere personali. “Ragazzo tutto mio”, legge ad alta voce, citando le parole d’attacco di una lettera scritta da osca a Bosie. “Perché un uomo della vostra età si rivolge ad un giovane di vent’anni più giovane di lui chiamandolo ragazzo tutto mio ?”

Per un po’ continua la schermaglia tra l’ironia di Carson e le risposte sprezzanti di Wilde. Vengono letti passi sempre più espliciti delle lettere di Oscar a Bosie Vengono fuori, lette dalla voce volutamente incolore e spoetizzante di Carson, espressioni come “le tue labbra di petalo di rosa rossa”, “la tua flessuosa anima aurata “.

L’avvocato procede facendo in modo di lasciare alla fine le lettere più ardite, in un crescendo che lascia il pubblico e la giuria con il fiato sospeso. “Ragazzo carissimo tra tutti, la tua lettera era deliziosa, vino rosso e dorato per me; ma io sono triste e sconsolato; bosie non devi fare scenate con me. Mi uccidono sciupano le bellezze della vita… Devo vederti presto. Tu sei l’oggetto che mi manca, l’oggetto di grazia e di bellezza… Perché non sei qui, mio caro e meraviglioso ragazzo?”

Alla fine di queste citazioni, Carson pone al teste la domanda cruciale, gli chiede cioè se sia questo il tipo di lettera che un uomo scrive ad un altro uomo. Wilde crede di cavarsela con la solita risposta evasiva.

Asserisce che quella lettera è semplicemente la prova del suo affetto e della sua ammirazione per Lord Douglas. Ma Carson lo incalza : “Non pensate che adulare un giovane, in pratica corteggiarlo, sia la stessa cosa che corromperlo?”.

carsonL’avvocato non molla la presa.

Dalle lettere di Wilde passa ai ricattatori che le hanno utilizzate: fattorini e stallieri che hanno varcato con il poeta la soglia dei locali più esclusivi di Londra, condividendo con lui cibi sofisticati e fiumi di champagne. “Non è strano– incalza Carson- che un uomo di più di quarant’anni prediliga con tanta insistenza la compagni di uomini così giovani?”. Wilde non rinuncia alla battuta “Per me la gioventù, il solo fatto della gioventù, è così meraviglioso che preferirei chiacchierare per mezz’ora con un giovane che essere interrogato in tribunale

Carson incassa la risposta per quello che è: la conferma del fatto che Douglas non è il solo giovane al quale Wilde si è accompagnato nel corso degli ultimi anni.

Alla seconda udienza, Wilde non si presenta. Il suo avvocato lo ha convinto a rinunciare e cerca di negoziare un’uscita onorevole.

Riesce ad evitare la sfilata dei testimoni, ma non la formula finale, con la quale la giuria chiude il processo: non solo Queensberry è innocente del reato di calunnia, ma ha avuto ragione, per il bene pubblico, a sollevare la questione.

La formulazione della sentenza, alla luce della legislazione vigente in tema di sodomia, rende inevitabile un secondo processo, questa volta con Wilde come imputato.

Gli amici più fidati scongiurano Wilde di riparare in Francia.

oscar il giudiceMa il poeta preferisce restare ad aspettare la sua sorte. Preferisce affrontare gli eventi che l’onta della fuga.

Poco dopo è arrestato per il reato di atti osceni.

Il processo si conclude con una condanna a due anni.

La sentenza viene pronunciata il 25 maggio 1895. Il giudice che la emette la commenta così : “Non posso che pronunciare la condanna più severa prevista dalla legge. A mio avviso essa è totalmente inadeguata in un caso come questo.

” …CONTINUA

L’umorismo involontario dei Tiggì che aderiscono alla congiura del silenzio.

tg vietato ai mnoriCaro Gazzettino,
ligi alla consegna , ma anche, involontariamente, umoristi di prim’ordine. Sono i giornalisti dei tiggì che aderiscono alla congiura del silenzio. Di Silvio non si parla più. Difenderlo era un bagno di sangue, meglio tacere, cercare di fare scendere l’oblio sul Casoriagate.
L’umorismo da cosa scaturisce allora? Dal fatto che si parla nello stesso telegiornale di un primo ministro sull’orlo delle dimissioni… ma che non è Berlusconi! E’ Gordon Brown! E si parla anche di bavaglio alla stampa… ma non siamo in Italia, è l’Iran!
Vorrei dare un consiglio ai congiurati: tutte le notizie riguardanti paesi stranieri che assomigliano a quelle che si dovrebbero dare in Italia non è meglio tagliarle del tutto? Così, per evitare antipatiche associazioni di idee…
D’altronde se si vuole infarcire il telegiornale di notizie interessanti si può sempre fare un lungo servizio su un delfino finito fuori rotta, qualche temporale estivo, diete, consigli per il caldo… Tutto regolarmente andato in onda in questi giorni.
Filippo Cusumano
(Venezia)

Risposta di Edoardo Pittalis ( vicediretttore del Gazzettino)

Il problema dell’informazione televisiva non può essere ridotto a una battuta; occorre sempre difendere il valore della libertà di stampa. Certamente non siamo un paese senza libertà, nè abbiamo un’informazione che tende esclusivamente alla catastrofe e nasconde le cose buone di chi governa.

Ma da qualche tempo arrivano segnali da non sottovalutare. C’è da pensare se direttori di importanti telegiornali, pubblici e privati, decidono di non riferire ai telespettatori le notizie che ritengono possano disturbare o turbare chi comanda.

Ancora più preoccupante se questo avviene nella Rai, il servizio pubblico garantito dai contribuenti e anche da un canone. Il servizio deve garantire la completezza dell’informazione e il rispetto del pluralismo. Non si tratta di concessioni, ma di un dovere preciso.

Invece, è accaduto che il direttore del Tg1, il più seguito in Italia, abbia volutamente omesso di informare i telespettatori sulle notizie dell’inchiesta giudiziaria di Bari.

I magistrati indagano a seguito del racconto di alcune ragazze che affermano di avere avuto incontri a pagamento nella residenza romana del Presidente del Consiglio. Per quel direttore si trattava di semplice gossip e come tale è stato censurato e nascosto.

Contraddicendo generazioni di direttori di tg che fanno solo gossip come informazione.

Soprattutto dimenticando che i direttori Rai – come ha appena ricordato il Consiglio d’amministrazione – al momento dell’assunzione sottoscrivono l’impegno al dovere dell’informazione e alla completezza. Il problema vero è il rispetto della notizia che va sempre data. Il giornalista può commentarla, giudicarne l’importanza, mai però nasconderla o censurarla preventivamente. Questi sono esercizi che non competono alla libertà di stampa.

Il discorso vale ancora di più quando si parla di servizio pubblico. Il problema del pluralismo è serio, non a caso ne hanno fatto una bandiera gli ultimi due Presidenti della Repubblica.

Dovere della stampa non è ossequiare, ma fare la guardia: sottolineare quello che va, ma soprattutto quello che non funziona. Comunque mai tacere.

Così come compito di un premier non è reagire alle critiche accusando chi critica di disfattismo o invitando pubblicamente gli industriali a non fare pubblicità sui giornali dell’opposizione.

Non credo che i giornalisti di divertano a parlare male di Berlusconi o ad incolparlo di tutti i difetti del mondo. Berlusconi provvede da solo a far parlare di sè, non fa mai mancare la notizia ai giornali e le gaffes attribuitegli sono tutte autentiche.

Certo c’è contraddizione tra il premier efficiente che corre tra i terremotati e li rassicura e quello che corre al compleanno della ragazzina di Casoria.

C’è contraddizione tra il premier solenne che incontra i Grandi e stringe accordi a nome del Paese e quello privato che nella sua villa si lascia circondare da “veline”.

È lui che occupa intere trasmissioni televisive per parlare di moglie, figli, conoscenti e soprattutto di se stesso in terza persona. È lui che alimenta il gossip, alla stessa maniera con la quale comunica i dati di gradimento.

Non immagino un complotto internazionale della sinistra, prima di tutto perchè richiede troppa fantasia immaginare Franceschini che chiama i direttori dei grandi giornali americani o inglesi o francesi e dà ordini su cosa scrivere su Berlusconi.

Poi perché vorrebbe dire che la sinistra esiste e questo sarebbe sconvolgente anche per Franceschini.


‘Raccomandata’ da Berlusconi, Elena Russo spopola su YouTube


Unità.it

Paparazzato nel 2005 insieme a cinque aspiranti starlette nel giardino della sua villa in Sardegna, pubblicamente redarguito dalla moglie per i troppi complimenti pubblici sulle altre, beccato mentre scrive bigliettini alle parlamentari più giovani e carine, intercettato mentre cerca di piazzare in Rai soubrette che gli possono tornare utili perfino per cambiare la maggioranza in Senato.

Che Berlusconi fosse un inguaribile piacione, lo sapevamo bene.

Addirittura il Tribunale dei ministri è arrivato ad indagare sull’ipotesi di abuso di potere nei confronti di un agente del Sisde, Federico Armati, che ha denunciato il Cavaliere per mobbing: è l’ex marito di Virginia Sanjust di Teulada, annunciatrice Rai con cui il premier ha intrecciato, dice il Tribunale, una «stretta relazione».

Stavolta, il baricentro delle affinità elettive del premier si sposta più a Sud.

Siamo a Napoli, ma per raccontare questa storia usiamo le parole di uno spot, quello che da tre giorni è al centro di polemiche e che finalmente siamo riusciti a vedere.

«Napoli aveva un problema, non stiamo a riparlarne, sappiamo quale.Il governo è intervenuto.E quando il governo, lo Stato, fa qualcosa è come se lo facessero tutti gli italiani.Ma ora ci vuole l’impegno di tutti, chi ci vive e chi ci viene. Facciamo in modo che resti così, è più bella».

Poi sullo schermo appare lei, Elena Russo, a dire «grazie».

Bene, Napoli aveva un problema: un’attrice, Elena Russo, nel ’93 si trasferisce a Roma «perché – spiega – a Napoli, nel mio settore non era possibile lavorare». Diverse pellicole, ma il successo tarda ad arrivare.

Ma Elena Russo lo sa che «scambi umani e professionali – come scrive nel suo sito ufficiale – concorrono a formare un bagaglio».

Per questo, scambia e riscambia, arriva a conoscere il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

In una delle celeberrime intercettazioni con Saccà, è lo stesso premier a chiedergli di trovarle un posto in qualche fiction della Rai. L’ex direttore Fiction della tv pubblica non ce l’ha fatta, a rimediarle una parte.

È allora che il governo è intervenuto: quale migliore occasione di uno spot istituzionale sui rifiuti a Napoli? Ed ecco che a rappresentare l’immagine di Napoli pulita viene chiamata proprio lei, Elena Russo.

Il suo video ora spopola su YouTube. Per placare gli animi, è intervenuto con una lettera il presidente della Fondazione Pubblicità Progresso, Alberto Contri che ha spiegato come sono andate le cose:

La persona a cui è stato affidato il casting per lo spot ha individuato tre attrici egualmente adatte per la parte della napoletana verace, pur nella differenza d’età (Ranieri, Autieri, Russo).Per motivi vari la Ranieri e la Autieri non sono state disponibili, per cui la scelta definitiva è stata per la Russo, che ha svolto ottimamente il ruolo richiesto. Certo che ci siamo posti il problema dei possibili gossip – ammette – ma abbiamo ritenuto avrebbe fatto aggio su tutto la qualità del progetto creativo.

Contri, prima che presidente di Pubblicità Progresso, è stato consigliere Rai nell’era Zaccaria. Quota Polo delle Libertà.

elena-russo