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Povero Kafka! ( lettera ad una studentessa)

Lettera ad una studentessa che sta preparando una tesi su Kafka:

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“Cara G.

             non puoi dire che Kafka è soltanto

“uno degli scrittori più

rappresentativi di inizio novecento”!!!.

Mi sembra un giudizio tiepido e ingeneroso.

Kafka non solo è il dominatore della letteratura del 900 , ma anche l’interprete più autentico delle inquietitudini di quel secolo( tra l’altro ancora in parte presenti in questo!).

Proust che pure, a mio avviso, lo sopravanza di poco e che ha scritto le sue opere più importanti esattamente nello stesso periodo ( La strada di Swann è del 1914) non è così moderno e attuale come lui riesce ad essere ancora adesso a 90 anni da quando ha scritto.

Più calore, cara G. , per il povero Kafka!

Era un impiastro totale come uomo e come fidanzato, lo so e questo forse ti condiziona nel giudizio ( lo vorresti più uomo).

Ma la sua grandezza sta proprio in questo. Se la sua capacità di scrittura ed il suo enorme talento visionario, avessero avuto alle spalle una visione serena dell’esistenza, sarebbe stato un piacevole giocoliere della parola, non un titano della letteratura.

Pensa piuttosto alla sfiga di quelli che sono scontenti e tormentati e non sono nemmeno in grado di raccontarlo decentemente !

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Se la ricetta per diventare un grande scrittore fosse solo quella di avere un padre invadente, uno schiacciante senso di colpa, una fidanzata ansiosa di convolare a “ingiuste nozze”, una madre impicciona e una salute cagionevole, troppi ce ne sarebbero di grandi scrittori!

Da parte mia, non avendo il talento dello scrivere, almeno posso consolarmi della mia visione non catastrofica della vita, di aver risolto per tempo “il conflitto con il Padre” e di avere una discreta salute.

A presto.

F.

A proposito dei desideri di inizio anno

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Buttando giù qualche idea per un romanzo, Flaiano scrive alcune note sui personaggi che lo animeranno:
“L’eroina diventa uomo e l’eroe si scopre pederasta.La loro cameriera diventa attrice e viene ricevuta dal papa.

La puttana, ardente monarchica, fonda un circolo letterario e diventa senatrice.

L’ingegnere scopre la pittura e ci si rovina.

Un vecchio ritorna bambino e si innamora della maestra a cui lo affidano..

….Tutti- e questo è il bello del romanzo- sono infine felici, perchè la felicità e nella trasformazione, nel transito.”

Come spesso succede, Flaiano coglie nel segno.

E’ importante viaggiare, non arrivare.


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Truman Capote nel suo ultimo romanzo, ” Preghiere esaudite”, ci ricorda la massima di Santa Teresa d’Avila:

“Sono state versate più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non esaudite”

Come a dire : cosa ci resta della vita, se smettiamo di desiderare?


Ha ragione Antonio Di Pietro: aboliamo le province!


Sempre più spesso mi trovo a dar ragione ad Antonio Di Pietro, pur non avendolo votato.

Ha quello che manca a molti altri uomini politici: concretezza, pragmatismo, indipendenza dalle pressioni lobbistiche.

C’è un tema che oggi tutti i politici italiani, o quasi, dimostrano di considerare centrale, quello dei costi della politica e dell’Amministrazione dello Stato, e c’è una soluzione efficace a questo problema, che tutti, tranne Di Pietro e pochi altri, considerano tabù: quella dell’accorpamento dei piccoli comuni e del superamento delle province.

Ecco quello che Antonio Di Pietro dice nel suo sito:

Oggi i Comuni sotto i 5.000 abitanti sono ben 5.835, la maggior parte in Piemonte e in Lombardia, su un totale di 8.101.

La struttura attuale di Stato-Regione-Provincia-Comune con l’aggiunta delle Comunità Montane è costosa e macchinosa e quindi lenta nell’attuare decisioni anche importanti per i cittadini. Le competenze delle Province possono essere attribuite agli altri enti. L’eccessivo frazionamento dei Comuni non consente una politica coordinata del territorio e moltiplica i costi di sindaci, consiglieri comunali, assessori, impiegati comunali e degli stessi edifici pubblici.

Tutte osservazioni di buon senso, oltre che paurosamente inconfutabili.

Il personale che attualmente opera nelle strutture che fossero superate potrebbe essere impiegato, con processi di mobilità territoriale e di riqualificazione, a rafforzare enti e strutture utili, ma poco funzionanti per deficit di personale.

Ovviamente superando un altro tabù, anche questo fortemente sentito da quasi tutta la classe politica: quello della inamovibilità di chi occupa un posto pubblico.

Non si capisce perchè quando si ristrutturano le grandi Aziende diffuse nel territorio nazionale ( Telecom, Enel, Poste) si possa far ricorso a processi di mobilità territoriale e di reimpiego e per i dipendenti di piccoli comuni, province e comunità montane no.

Un’ultima considerazione.

Tutte le volte che si è pensato di creare una nuova provincia,

(ben 10 negli ultimi 10 anni : Barletta-Andria- Trani, Monza, Fermo, Verbano, Lecco, Lodi, Rimini, Prato, Crotone e Vibo Valentia)

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i padrini politici dell’iniziativa hanno detto che l’operazione era a costo zero: il personale sarebbe stato reperito tra quello esistente.

Nulla di più falso.

Il personale della Vecchia Provincia destinata a perdere pezzi del suo territorio per alimentare la Nuova Provincia si è sempre rifiutato in massa di accettare il trasferimento ed è stato accontentato da chi aveva interesse ad assumere nella nuova sede ( anche qui : nuovi costi di standing evidenti e non assorbiti dal rilascio delle vecchie sedi).

Essendo coinvolta in questo costosissimo giochino della creazione di nuove sedi, l’intera classe politica, o quasi, è naturale che il tema sia tabù e che, con tutto il rispetto per la voce fuori dal coro di Di Pietro, ricevano pochissimo risalto le proposte di cambiamento.

Purtroppo questo è un Paese che è talmente impantanato nell’immobilismo da offrire immeritato successo, da sempre, ai politici che descrivono come pericoloso e rivoluzionario anche il più ovvio e necessario dei cambiamenti.