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“Un’aura che incanta ed ammalia..” Il fascino irresistibile di Bruce Chatwin

E’ morto giovane, ma non così giovane come credono in molti. In fondo ha vissuto più di  coloro che avevano esercitato un influsso su di lui: Robert Louis Stevenson, T.E. Lawrence, Anton Checov, Robert Byron, Arthur Rimbaud.Se fosse vissuto più a lungo è allettante immaginarlo come una specie di di Andrè Malraux. Forse sarebbe stato simile alla descrizione che lo stesso Chatwin fece di Klaus Kinski: “un adolescente di sessant’anni, tutto vestito di bianco, con una criniera di capelli gialli”

Questo scrive Nicholas Shakespeare,autore di una monumentale biografia di Chatwin (“Chatwin”-Baldini e Castoldi).

Il libro è documentatissimo e pieno di informazioni e annedoti interessanti.

Ne emerge la figura di uno scrittore importante e singolare, di grandissimo talento, ma soprattutto di un uomo dal fascino incredibile, fuori del consueto.

Ecco alcune delle testimonianze che ho tratto da questo libro.

Susan Sontag, scrittrice:

Ci sono poche persone al mondo con una presenza che incanta ed ammalia.Se non ci si è preparati è come un pugno allo stomaco, il cuore manca in colpo. Non si tratta solo di bellezza, è un’aura che incanta ed ammalia, una luce negli occhi. E funziona con entrambi i sessi.

Shirley Conran, amica di Bruce Chatwin
Erano in tanti ad essere innamorati di Bruce e mi dispiace per loro.Tutti noi abbiamo amato delle persone e le abbiamo lasciate, ma quando Bruce passava all’amore successivo aveva la capacità di lasciarle con una tale sensazione di vuoto che credo non si siano mai riprese.Nello spazio di un pomeriggio entrava ed usciva dalla vita di una persona che sarebbe rimasta abbacinata per tutta la vita.

Colin Thubron
“La sua energia, il suo entusiasmo, la sua passione erano incredibili. Era comunicativo, ampliava gli orizzonti; avevi sempre l’impressione che disponesse della chiave per tutte le cose”

Salman Rushdie,scrittore:

“Era così individuale, così fortemente se stesso. Quando l’io è così sfaccettato come quello di Bruce, molta gente arriccia il naso: è quello che si paga per il fatto di valere qualcosa in quello che si fa. E di essere una persona interessante. Tra i miei contemporanei Bruce aveva la mente più colta e probabilmente più brillante in cui mi sia mai imbattuto.”

Gregor von Rezzori , scrittore, che ebbe modo di averlo spesso ospite in Italia, lo definiva il “ragazzo d’oro”:
“Bruce arrivò a casa mia con una 2CV bianca sul cui tetto aveva legato una tavola da surf.Aveva una testa da adolescente, netta nei contorni come una moneta appena coniata. Moneta stabile. Luminoso come il sole. Il sorriso pronto sempre leggermente di traverso. Sopra, lo sguardo penetrante. Negli occhi azzurri come il mare( che un tempo si erano accecati su troppe opere d’arte ) una inestinguibile curiosità. Nessuno avrebbe pensato che questo giovane tardivo sarebbe stato capace di scrivere qualcosa di più del suo nome. E invece era fulgido di promesse. Gli andai incontro e pensai che non ero mai stato come lui..così tutto di un pezzo.Era un ospite nato, ci arricchiva con i suoi annedoti e la sua presenza, come dovrebbero fare tutti gli scrittori
Chatvwin era talmente sicuro della sua capacità seduttiva da pensare di essere il benvenuto ovunque, anche quando capitava all’improvviso.
Di lui una conoscente argentina, evidentemente immune al suo fascino, dice che era arrogante, molto sicuro di sè e che, pur non conoscendo lo spagnolo, non faceva nulla per farsi capire.
Bruce viaggiava con un piccolo zaino nel quale teneva pochissimi indumenti ed i suoi famosi taccuini Mouleskine.
Era solito chiedere a perfette sconosciute, sempre contando sul suo fascino, ospitalità e servizi di lavanderia.Riceveva a volte comprensibili e sdegnati rifiuti.
Di una signora che si era rifiutata di ospitarlo scrive inviperito alla moglie Elisabeth.” Crede che sia solo un fannullone in cerca di un letto. Spero che anneghi”

Un uomo alla finestra ( essere Kafka)

C’è in Kafka una grande avversione per qualsiasi tipo di fisicità.
L’educazione repressiva e gli atteggiamenti ansiosi del padre (v. il bellissimo “Lettera al Padre”) hanno creato in lui un gigantesco senso di colpa, che si riversa sulla sfera dell’eros.
Il pensiero di avere un rapporto fisico con una donna lo atterrisce, ma lo turba enormemente anche il suo essere un uomo socialmente monco e inutile, incapace di accoppiarsi e di avere una famiglia.

Il vero polo d’attrazione della sua vita è la scrittura, l’attività cui vorrebbe dedicarsi in maniera assoluta e monacale

Sente, tuttavia, che la scrittura non può essere, come vorrebbe, il centro della vita, ma soltanto un piacere da concedersi dopo che si è dato spazio al dovere.

Cioè al suo lavoro di funzionario di una compagnia di assicurazioni.
Cioè ai suoi tentativi di approdare ad una vita “normale”

Il dramma di Kafka è proprio questo.

L’amore gli appare sia la possibilità di arrivare finalmente nella Terra di Canaan, quella dove abitano gli uomini e le donne reali che si accoppiano e procreano , sia il momento della definitiva perdizione e rovina, l’addio crudele ad una missione che sente molto più congeniale alle sue attitudini e alle sue forze, quella della scrittura.

Due sono i grandi amori della sua vita.

In entrambi i casi si tratta di donne che vivono a parecchie centinaia di chilometri da Praga: Felice abita a Berlino, Milena a Vienna

In entrambi i casi il rapporto con l’amata ha il suo momento di massimo pathos nella scrittura. In quegli epistolari , c’è uno slancio infinito, un’immaginazione incontenibile, molto più grande di quella messa in opera nei romanzi .

Kafka vive esclusivamente nell’attesa di scrivere alla donna che ama e di riceverne le lettere.

Quando il rapporto, per l’ insistenza della donna amata, si avvicina ad una qualsiasi forma di stabilità e concretezza, lui preferisce troncare.

In entrambi i casi è la malattia che lo consuma la causa apparente della rottura.

In realtà quello che lo spinge a chiudere questi rapporti è il desiderio di tornare a se stesso, di ritrovarsi senza fardelli sia come uomo sia come scrittore.

Un’ultima considerazione.
Il complesso di colpa, proprio per i prezzi che ha saputo esigere nella vita di Kafka, ha limitato enormemente la sua produzione letteraria: restano alcuni splendidi racconti e tre romanzi, di cui uno solo portato a termine.

Ma, senza quel mostruoso senso di colpa, che ne sarebbe dell’opera di Kafka?

Lo considereremmo, come lo consideriamo oggi, uno dei grandissimi del Novecento?

Penseremmo a lui come ad uno scrittore attualissimo, nonostante il secolo che è passato da quando ha scritto i suoi libri?