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A brigante brigante e mezzo ( misteriosa morte di Salvatore Giuliano)

Salvatore GiulianoL’uomo che vedete qui a fianco è il bandito Salvatore Giuliano
L’immagine che vedete qui sotto,è invece un fotogramma del bellissimo film a lui dedicato da Francesco Rosi, “Salvatore Giuliano”.

La scena che rappresenta è quella della misteriosa morte del bandito , avvenuta a Castelvetrano ( PA) nella notte del 5 luglio del 1950.

Ma chi era Salvatore Giuliano?

Nato bel 1922 a Montelepre, figlio di un agricoltore, che, dopo anni di immigrazione negli Stati Uniti, era riuscito a tornare in paese e a comprarsi diversi pezzi di terra, non appena finite le elementari, comincia a dare una mano al padre nella coltivazione di questi terreni.

salvatore giuliano morto
La sua latitanza inizia il 2 settembre del 1943 quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasporta due sacchi di frumento caricati su un cavallo, si vede sequestrati cavallo e frumento

Approfittando di un momento di distrazione dei militari che lo hanno fermato, tenta di allontanarsi, ma è raggiunto da due colpi di moschetto.

Nonostante le dolorose fitte al fianco, il giovane pesca un vecchio revolver dalla sua calza destra e fa fuoco.

Il colpo, sparato senza particolare convinzione ( Giuliano, allora, non aveva grossa pratica delle armi, nè era un tiratore scelto) si conficca nel cuore di un carabiniere di 24 anni, che morirà il giorno dopo all’Ospedale Militare di Palermo.

salvatore Giuliano2Salvatore, pur ferito, riesce ad infilarsi in un bosco di canne, scomparendo alla vista degli agenti superstiti che preferiscono non rischiare la vita inseguendolo.

Qualche tempo dopo, nel dicembre dello stesso anno, un battaglione di 800 carabinieri arriva a Montelepre con l’unico scopo di catturarlo.

I militari fermano il padre di Giuliano e lo trascinano, spintonandolo e malmenandolo per tutto il paese.
E’ evidente che lo stanno usando come un’esca.

Salvatore, nascosto nella torre campanaria, assiste alla scena, riconosce il padre e non può fare a meno di intervenire. Spara una scarica di mitra, uccide un carabiniere e ne ferisce gravemente altri due.

Gli sparano da tutte le parti, ma resta illeso e , incredibilmente, riesce ad allontanarsi dal paese.

giulNegli anni successivi diventa il leader indiscusso di un gruppo criminale dedito a rapine e taglieggiamenti.

Dal 1945 le sue imprese acquistano anche una forte coloritura separatistica grazie ai contatti con il Movimento Indipendentista Siciliano (MIS).

Spinto da esponenti dell’intelligence U.S.A. nell’E.V.I.S. (Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana) riceve il grado di colonnello.

Nel 1946, per disinnescare il rischio di una pericolosa eversione, De Gasperi promette ampia autonomia all’isola e promuove un’amnistia.

I capi del Movimento Indipendentista decidono di rientrare nella legalità e di partecipare alle elezioni per il parlamento nazionale.

giuliano-turiddu-turi-salvatoreI reati commessi da Giuliano e dalla sua banda non rientrano, però, tra quelli compresi nell’amnistia.
Il bandito scrive una lettera aperta al capo del Governo proclamandosi il Robin Hood della Sicilia: “Continuerò a togliere ai ricchi per dare ai poveri”.

Nel 1947 Giuliano e la sua banda diventano protagonisti della prima strage dell’Italia repubblicana.

Alcune migliaia di abitanti di San Cipirello, Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato sono riunite a PORTELLA DELLA GINESTRA per le celebrazioni del primo maggio e per festeggiare la vittoria dei partiti di sinistra nelle elezioni regionali del 20 aprile nelle quali la coalizione PSI – PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).

All’improvviso, a pochi secondi dall’inizio della manifestazione, mentre sta parlando il calzolaio Giacomo Schirò, segretario della sezione comunista di San Giuseppe Jato, si sentono alcune raffiche di mitra.

portella delle Ginestre

La folla all’inizio pensa ad un festeggiamento a base di mortaretti, poi vede cadere le prime persone e capisce che sta accadendo ben altro.

Alla fine della mattinata si contano 11 morti ( tra i quali 2 bambini) e 27 feriti.

Il ministro dell’interno Mario Scelba dichiara che non si tratta di un delitto politico.

portella

Solo 4 mesi più tardi si scopre che a sparare è stata la banda Giuliano.
Quest’ultimo, in una lettera del 1949, indirizzata a giornalie polizia, rivendica il motico politico della strage , ma evita di citare mandanti e ispiratori del crimine, nella speranza che questi lo aiutino ad espatriare.
[Si i è parlato a lungo di una strage ordinata a “Turiddu”, attraverso l’intermediazione della mafia, da personaggi politici, agenti governativi ed esponenti dei servizi segreti italiani e americani, ma dai processi che si svolsero sulla vicenda si uscì solo con la condanna degli esecutori della strage; non solo non vennero individuati i mandanti, ma si escluse anche il movente politico].

Giuliano negli anni successivi sfugge alla cattura, grazie alla sua conoscenza del territorio e ad una rete di amicizie e di omertà.

Ma è ormai diventato un personaggio scomodo per i suoi sponsor e mandanti.

Il 5 luglio del 1950 viene ucciso a Castelvetrano in provincia di Trapani nel corso di un conflitto a fuoco con la polizia.

Ma niente è come sembra…

Lasciamo la parola ad un cronista leggendario dell’epoca, Tommaso Besozzi .

Ecco cosa scrive sull’Europeo- sotto il titolo “Di sicuro c’è solo che è morto”– su quel cadavere in canottiera riverso sul selciato di un cortile:

giulianomortovero

“Perchè Giuliano non aveva un soldo addosso?
Perchè portava una semplice canottiera, lui così ambizioso e,a suo modo, elegante?
Perchè non aveva l’orologio al polso, quel grosso cronometro d’oro per il quale aveva una bambinesca affezione e, lo hanno testimoniato in molti, era l’unica cosa che si togliesse coricandosi, la prima che cercasse al risveglio?
C’erano poi altri particolari che alimentavano il dubbio e, apparentemente, con maggiore evidenza: alcune ferite, specie quella sotto l’ascella destra, sembravano tumefatte come se risalissero a qualche tempo prima, altre erano a contorni nitidi e apparivano più fresche.
Due o tre pallottole lo avevano raggiunto al fianco e avevano prodotto quei fori grandi a contorni irregolari tipici dei colpi sparati a bruciapelo; altre erano entrate nella carne lasciando un forellino minuscolo perfettamente rotondo.
Il tessuto della canottiera appariva intriso di sangue dal fianco alla metà della schiena, e sotto quella grossa macchia, non c’erano ferite. Era logico pensare che il CORPO DEL BANDITO ANZICHE’ BOCCONI, FOSSE RIMASTO PER QUALCHE TEMPO IN POSIZIONE SUPINA, PERCHE’ TUTTO QUEL SANGUE DOVEVA ESSERE SGORGATO DALLE FERITE SOTTO L’ASCELLA E CERTAMENTE ERA SCESO, NON POTEVA ESSERE ANDATO IN SU”

giuliano1

Qualche mese più tardi, nel 1951, Tommaso Besozzi, in un altro numero dell’Europeo dà una risposta alle sue domande. Il tono questa volta è perentorio:

“Salvatore Giuliano è stato ucciso a tradimento, nel sonno; e il suo corpo è stato portato più tardi nel cortile di via Mannone per la messa in scena finale.
Il Capitano Perenze ha sparato su un cadavere”.

Chi è che ha ucciso Giuliano nel sonno?

Secondo alcuni Gaspare Pisciotta, suo cugino, che dormiva quella notte con lui. Ma esiste anche un’altra ipotesi: che a freddare Giuliano sia stato un giovane killer di Cosa Nostra, Luciano Liggio, al quale Pisciotta si sarebbe limitato ad aprire la porta.

Una cosa appare certa, a distanza di anni: il bandito non è stato ucciso nel corso di uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, è vittima di un delitto su commissione, eseguito con la promessa dell’impunità.

Promessa che poi non viene mantenuta, a causa degli scoop dell’Europeo che smascherano la messa in scena dei carabinieri.
Mentre i carabinieri, finiti nell’occhio del ciclone, cercano di proteggere la clandestinità di Pisciotta, la polizia si mette di traverso e il 5 dicembre 1950 arresta Pisciotta.

Al processo sulla strage di Portella della Ginestra, iniziato a Viterbo il 12 giugno di quell’anno, quando lui era ancora latitante, ammette di aver sparato a “Turiddu”.

Lo fa in un documento affidato al suo avvocato, in cui , tra l’altro c’è scritto:

“Avendo io personalmente concordato con il ministro degli Interni Scelba, Giulianio è stato ucciso da me”

Pochi giorno dopo il colonnello dei carabinieri Luca, appena promosso generale, ammette in un’intervista di essersi servito di Pisciotta per catturare Giuliano, ma non specifica che fu proprio lui a uccidere il cugino.


Pisciotta, fuori di sè, chiede la parola dalla gabbia dell’Assise di Viterbo e lo smentisce.
E’ il 16 aprile del 1951.
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Davanti ad una folla di giornalisti, fa i nomi dei mandanti della strage e racconta per filo e per segno incontri e trattative fra banditi e uomini delle istituzioni, con tanto di promesse di impunità.

“Banditi, mafia e carabinieri eravamo tutti come una cosa sola, come la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo”, urla.

E aggiunge: “Io ho liquidato Giuliano senza alcun vantaggio materiale. Chiedo che Luca venga a deporre:voglio vedere se riuscirà a dimostrare di avermi dato una sola lira dei 50 milioni della taglia.Sono un bandito, signori, ma un bandito onesto!”

Condannato all’ergatolo con altri 11 per la strage di Portella Della Ginetra – la sentenza di primo grado è del maggio 1952- Pisciotta chiede, nel febbraio del 1954, di parlare con un magistrato.

L’allora sostituto procuratore Pietro Scaglione va a trovarlo in carcere. Pisciotta gli comunica la sua decisione di smascherare una volta per tutte i mandanti della strage.
Il magistrato gli dà un appuntamento al giorno successivo, quando tornerà con un cancelliere per verbalizzare il tutto.
La mattina dopo Pisciotta muore nella sua cella all’Ucciardone per una dose di stricnina versatagli da qualcuno nel caffè o, molto più probabilmente, nella medicina che è solito prendere per la tubercolosi.

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Chiudo citando un grandissimo scrittore.

Ecco cosa scrive, nel 1974 nel suo NERO SU NERO:.

“Chi non ricorda la strage di Portella della Ginestra, la morte del bandito Giuliano, l’avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino ad oggi, avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l’Italia è un Paese senza verità.
Ne è venuta fuori una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo ai fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere”

“Lo stato- dirà in un’altra successiva circostanza sempre Sciascia- non può processare se stesso”

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Anno Zero: scontro Moratti- Santoro sulla mafia a Milano.

santoroPuntata scoppiettante, coem al solito, ieri sera ad Anno Zero.

Tema della trasmissione è l’EXPO 2015.

In studio Letizia Moratti, sindaco di Milano, e  Lucio Stanca, amministratore delegato di Expo2015.

Quasi subito diventano oggetto di discussione speculazioni edilizie, cementificatori,  malavita organizzata .

Insomma Milano come il nuovo set di  «Mani sulla città» .

Letizia Moratti non ci sta: ” State rappresentando un aspetto marginale di Milano. Milano non è la città della Mafia, è soprattutto la città dell’eccellenza, delle piccole e medie imprese che sono leader di mercato nel mondo, la città dell’efficienza e dello sviluppo.”

Santoro le risponde : “Sono trent’anni che faccio inchieste sulla mafia e sul malaffare. E ogni volta qualcuno dice : la vera Sicilia non è questa, la vera Calabria non è questa, la vera Palermo non è questa, la vera Catania non è questa”.

D’altronde cosa si aspettava la Moratti?

Santoro è un giornalista che sta sulla notizia.

Che notizia è dire che Milano è la capitale economica d’Italia?

Lo sappiamo tutti, grazie.

Il fatto nuovo è che lo sa anche la mafia.

Il fatto nuovo è che in un momento di crisi come questo tutti sono in difficoltà nel trovare finanziamenti per nuove attività.

Tranne la mafia, che di capitali freschi, provenienti da traffici illeciti, ne ha sempre in quantità.

Come giustamente diceva Bersani ieri sera, questo è il fatto nuovo:  il combinato disposto di una crisi galoppante e inarrestabile e l’avventarsi sul mercato di un soggetto con potenzialità economiche quasi illimitate.

E’ l’ora di vigilare, non di lamentarsi perchè si parla troppo di mafia.

Tosta Emma, chiara e diretta. Ma Silvio la gela: “Velina”.

marcegaglia02gSenza peli sulla lingua e idee chiare.

Emma Marcegaglia parla per un’ora in Confindustria e affronta in maniera chiara e decisa tutti i temi caldi del paese.

La lentezza del paese, la fiscalità, le infrastrutture, i costi della politica, gli enti inutili, le riforme, la giustizia che non funziona, la mafia, la sicurezza sul lavoro, il made in Italy, non c’è tema importante del paese che il Presidente di Confindustria eviti di affrontare.

Molti gli applausi. In particolare su due punti.

Il primo riguarda la riforma della pubblica amminitrazione.

Non appena fa un riferimento al “coraggio di Brunetta”, si scatena un applauso interminabile per il Ministro, che se ne sta in prima fila, seduto accanto a Maria Vittoria Brambilla.

Tutto si può dire del ministro, tranne che non sia vanitoso.

Infatti si gode rapito l’applauso, il più caloroso di tutti quelli che hanno costellato il discorso della Marcegaglia.

Il secondo affondo di Emma riguarda Berlusconi.

Prima la presidente di Confindustria liscia il pelo al Premier, riconoscendo l’ampiezza dei consensi di cui gode.

Ma subito dopo  richiama Silvio ad un immediato ed efficace uso di questo consenso.

“NE APPROFITTI PER FARE LE RIFORME. E LE FACCIA SUBITO”.

Berlusconi come risponde?

Nella maniera peggiore.

Dice che è pronto a cambiare le cose, ma che purtroppo in  Italia il premier conta meno del Parlamento.

Poi approfitta della tribuna di Confindustria per lanciarsi in una invettiva contro i magistrati che hanno condannato Mills per corruzione.

Citiamo il curioso esordio del discorso della Marcegaglia :

«Ieri Berlusconi mi ha detto che ero molto elegante e ha aggiunto che sembravo una velina Non ho niente contro le veline, non mi dispiace che mi si dica questo. Quando si hanno più di 40 anni… Ma francamente preferisco quello che mi ha detto Raffaele Bonanni accogliendomi in questa sala, che sono una persona seria, libera e concreta».

L’episodio è marginale sul piano dei contenuti, ma esemplificativo di un certo modo di affrontare i problemi del paese e di condiderare le donne che caratterizza il nostro premier.

Ho un ricordo molto positivo della mia professoressa  d’italiano alle scuole medie.

Una volta mi disse, commentando un mio tema in cui avevo inserito note umoristiche fuori luogo:

“Devi imparare che ci sono situazioni e argomenti sui quali non si può scherzare senza apparire cinici, sciocchi e superficiali”.

Ecco, appunto….

Furti di macerie all’Aquila: i costruttori disonesti si mettono subito all’opera!

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I magistrati dell’Aquila dispongono il sequestro delle macerie, possibile prova di reato a carico dei costruttori disonesti che hanno messo sabbia di mare nel calcestruzzo.

I costruttori disonesti tacciono, ma non si perdono d’animo e agiscono indisturbati, commissionando il furto della macerie incriminate e incriminanti.

E’ quanto emerge dai sopralluoghi ordinati della Procura.

Secondo quanto riferito agli investigatori, il motivo dei recenti furti di macerie sarebbe proprio dovuto all’avvio dell’inchiesta.

“Abbiamo il sospetto – ha confermato il procuratore capo dell’Aquila, Alfredo Rossini – che ciò che resta degli edifici crollati possa essere portato via con dei camioncini”

Speriamo di non dover assistere a due cose nei prossimi mesi:  la delinquenza organizzata che mette le mani sui soldi del terremoto, i costruttori disonesti che restano impuniti, magari riuscendo anche nell’impresa di partecipare agli appalti per ricostruire.

Speriamo, ma senza farci illusioni.

Il premier appare continuamente tra le macerie come la Madonna .

Non so se i teremotati gliene sono grati. Forse si.

Ma il dovere di un vero uomo di stato, in una situazione come questa sarebbe un altro:  costruire dei provvedimenti seri e definitivi che stronchino una volta per tutte una delle piaghe più terribili e più sottovalutate di questo paese:  quella dell’edilizia selvaggia.

Case costruite dove non si potrebbe.

Case costruite con materiali inadeguati.

Case costruite con i capitali della mafia.

Case scadenti per un paese scadente guidato da una classe politica scadente

“Per battere la mafia non si può essere moderati”

Il Generale Dalla Chiesa – ricorda Gian Carlo Caselli – nel 1982 disse che lo Stato non si occupava abbastanza della mafia, e che la mafia era insediata nella maggior parte delle città italiane.

Possiamo dire che sia cambiato qualcosa in questi 26 anni?

Possiamo affermare che lo Stato abbia lanciato un messaggio univoco e inequivocabile, di condanna decisa alla criminalità organizzata?

Lo ha detto bene Nando Dalla Chiesa;  per combattere un fenomeno radicale come la mafia, non si può essere moderati, bisogna essere radicali.
Rinunciare al Sistema è rischioso, ci sono in ballo consenso, voti, quattrini.
Ma è anche vero che è proprio qui che viene fuori la qualità degli uomini delle istituzioni, è qui che si vede chi è disposto  a perdere un pezzo o un elemento del proprio partito in nome della propria dignità e della credibilità politica del paese.

E’ vero ciò che ha detto Francesco Forgione: bisogna smettere di dire, in maniera generica e quasi rituale, che c’è bisogno di più Stato.Lo Stato, fino ad oggi,  è stato presente spesso nella forma della doppiezza mafiosa e delle repressioni.
Ora c’è bisogno, piuttosto, di consapevolezza sociale, di valori, principi e diritti in una democrazia condivisa e includente.

C’è bisogno di una cultura alternativa, come quella che voleva diffondere Peppino Impastato.

C’è bisogno di combattere Cosa Nostra con il suo esatto opposto: la Res Publica.

Giulia Cusumano

– vedi testo integrale in Articolo 21

Andreotti, Dell’Utri, Cuffaro: grazie a Blu notte che ci aiuta a non dimenticare.

Grande  l’ultima puntata di Blu Notte. Riguardava i rapporti tra mafia e politica.

Siamo  da tempo il paese della mistificazione del presente e della rimozione del passato.

E’ giusto quindi che qualcuno ci rinfreschi la memoria sulle cose che sono accadute.

Anche quando sono accadute da così poco tempo e sono così vergognose da immaginarle indelebili e indimenticabili.

Ma siamo ormai diventati il Paese dei Campanelli, il paese in cui è facile dimenticare i torti e le umiliazioni subite perchè, più che la vigilanza della memoria, conta il quieto vivere ( dei giornalisti che tengono famiglia e dei sudditi narcotizzati dall’informazione di regime)

Fa bene allora Lucarelli, magistrale conduttore di Blu notte a ricordarci da par suo

1) che Andreotti è stato assolto dal reato di collusione mafiosa per gli anni fino al 1980 solo per prescrizione ( avendo la sentenza della Cassazione ritenuto provato, fino a tale data, il rapporto organico tra il pluripresidente del consiglio e l’onorata società)

2) che Dell’Utri non è solo un elegante bibliofilo e un formidabile organizzatore di forze di vendita prima e di partiti poi,

3) che Vittorio mangano non era solo uno stalliere

4) che Totò Cuffaro, per sette anni Governatore della Sicilia, già da giovane aveva deciso da che parte stare, quando al Costanzo Show insultava Falcone, sostenendo che le sue indagini sulla mafia infangavano il buon nome della Sicilia.

Fa bene Lucarelli a farci risentire la telefonata con la quale Silvio Berlusconi, oggi nostro presidente del consiglio, invece di correre a denunciare alla polizia un estorsore mafioso ( lo stesso che aveva ingaggiato come stalliere) , si limitava a definire “affettuosa” la bomba di avvertimento esplosa davanti alla sua villa.

Grazie a quei pochi, sempre meno, che ci aiutano a non dimenticare.

Mangano, Falcone e gli adoratori di Silvio

Qualcuno in questi giorni ha fatto notare che Berlusconi dimostra cinismo ed impudenza nel momento in cui prende a modello Giovanni Falcone.

Questi commentatori- Travaglio in testa- evidenziano il fatto che solo pochi mesi fa Berlusconi esaltava Mangano come un eroe.

Ammirava e stimava Falcone – dicono- anche quando si teneva in casa Vittorio Mangano, poi fatto arrestare e condannare da Falcone a 11 anni per mafia e traffico di droga? Anche quando usava come stalliere il  reggente del mandamento di Porta Nuova che aveva preso parte alla decisione della Cupola di Cosa Nostra di uccidere Falcone e Borsellino?

Come si fa ad avere per eroi e modelli sia Falcone che Mangano?

Qui scattano i berluschini, strana setta, sempre più estesa, di ADORATORI DI SILVIO i quali  dicono:

” Volgari strumentalizzazioni. Silvio non sapeva nulla del ruolo di Mangano, che fu condannato successivamente. Non sapeva e non poteva sapere con chi aveva a che fare”

Al riguardo vorrei citare una cosa che quest’estate, ad una conferenza di presentazione di un suo libro,  ha detto Giuseppe Ayala, pubblico ministero a Palermo all’epoca di Falcone e Borsellino:


“Un mafioso non nasconde mai di essere tale ( tranne che, ovviamente, alle forze dell’ordine e alla magistratura). Un mafioso riesce a “lavorare” cioè a fare il suo mestiere di mafioso solo se tutti gli altri lo conoscono e lo rispettano come uomo d’onore. Non è un caso che gli uomini d’onore siano chiamati anche uomini di rispetto”.

Insomma, se dobbiamo credere a chi di mafia se ne intende,  Silvio, con buona pace dei suoi adoratori, e SAPEVA PERFETTAMENTE CON CHI AVEVA CHE FARE ( l’alternativa è che fosse o molto ingenuo oppure cieco e sordo).

Mafia e politica ( il volto osceno del potere)

La mafia è solo quello che vediamo in tv?

Cioè solamente pecorai e agricoltori semianalfabeti che diventano miliardari organizzando il racket delle estorsioni o il traffico internazionale della cocaina?

Questa è solo la versione di comodo.

Quella alla quale siamo portati a credere quando un vecchio malandato e di aspetto quasi miserevole come Bernardo Provenzano viene scovato, dopo un’infinità di appostamenti, in una vecchia masseria dai muri scrostati.

Fatichiamo a credere che quell’uomo rozzo e sanguinario dallo sguardo impenetrabile abbia un patrimonio di parecchi milioni di euro e le mani in pasta in tutti i più lucrosi affari del Paese, dagli appalti pubblici alla gestione della sanità.

Fatichiamo a credere ( anche se i mass media provano in tutti i modi a convincerci che è così) che dietro quell’uomo non possano esserci appoggi politici importanti e menti raffinatissime.

Leggendo il bellissimo libro di Roberto Scarpinato, pubblico ministero antimafia di Palermo, intitolato “Il ritorno del Principe”, si rafforza questa convinzione che abbiamo sempre avuta, che mafia e corruzione siano ormai costitutive del potere nel nostro paese

Ricordate il “Principe” di Machiavelli?

In politica, diceva Macchiavelli. qualsiasi mezzo è lecito.

C’è un braccio armato (anche le stragi sono utili alla politica del Principe), ci sono i volti impresentabili di Riina, Provenzano, Lo Piccolo, e poi c’è la borghesia mafiosa e presentabile che frequenta i salotti buoni e riesce a piazzare i suoi uomini in Parlamento.

Ma il potere è lo stesso, la mano è la stessa.

II libro “Il ritorno del Principe” è questo: racconta l’oscenità del potere ( dove osceno ha il suo significato etimologico di “fuori scena”), quello che non si vede e non è mai stato raccontato ma che decide, fa politica e piega le leggi ai propri interessi.

Ci avviamo verso una democrazia mafiosa?

Gli italiani possono reagire, è già successo, dice Scarpinato. Per esempio con la stagione di Tangentopoli, quando sembrò che il popolo italiano fosse disponibile ad un soprassalto di indignazione.

Come è andata a finire lo sappiamo.

Adesso quelli che ricordano con nostalgia quel periodo sono bollati come giustizialisti.

Accosto Scarpinato alla fine della presentazione del suo libro e scambio due parole con lui.

Mi dice che l’unica speranza è rappresentata dal fatto che, volenti o nolenti, apparteniamo all’Europa e questo impedirà ai più spregiudicati dei nostri governanti molte mosse che lui definisce “oscene

Sulla dedica che appone alla mia copia del suo libro scrive: “Sperando nell’Europa”

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Michele Serra: “Sud, la solitudine degli onesti”

Avevo scritto tempo fa un post che trovate qui, nel quale, provocatoriamente, mi chiedevo, constatando l’isolamento, anche da parte della gente per bene, delle vittime di mafia e di camorra: “Dove sono i Casalesi onesti? E ce ne sono a Corleone e Scampia, a Secondigliano?”.

Avevo spedito questo post sotto forma di lettera a Michele Serra, la cui risposta su “Venerdì di Repubblica” non si è fatta attendere.

Eccola:

“Caro Cusumano,anche io sono rimasto colpito, meglio dire ferito, dall’intervista a Massimo Noviello [ figlio di una delle vittime della camorra, che lamentava in un’intervista a Giuseppe D’Avanzo, di sentirsi emarginato ed isolato nel suo paese come se invece di essere la vittima fosse il colpevole]

La sua solitudine assomiglia a quella di tanti.

Ma alla sua drastica domanda sono convinto di dover rispondere che sì, ci sono i casalesi onesti, e ci sono onesti a Corleone, a Scampia, a Secondigliano.

Ovunque nel nostro disastrato Mezzogiorno ci sono persone coraggiose che provano a incrinare quel blocco di omertà, bassa convenienza, conformismo. Ma queste persone, nonostante la fatica di auto-organizzarsi in associazioni antiracket, nonostante il lavoro formidabile di preti come Don Ciotti o la buona volontà di qualche preside che apre la sua scuola alla cultura dello Stato nel bel mezzo dei quartieri nelle mani della dittatura mafiosa; queste persone, dicevo, quasi sempre si sentono sole.

Ci fu una stagione, immediatamente successiva all’assassinio di Falcone e Borsellino, nella quale sembrò che l’antimafia fosse diventata un movimento di massa. Poi quella stagione finì, consumata dall’inerzia delle connivenze economiche e politiche. E la società meridionale, strutturalmente ammalata di familismo, devota ai padrinaggi, abituata alla clientela, è nuovamente sprofondata dentro il suo servilismo cos’ radicato.

Non mi piace scaricare sempre tutte le colpe sulla politica.
Ma è certo che la politica ha smesso di considerare un’emergenza l’unica vera emergenza italiana, che sono le mafie.

Nessun programma di governo, di nessun partito, ha messo al primo posto la lotta alla mafia. E di questa omissione tragica la prima vittima è stata la società meridionale: peggio, è stata quella parte dell’italia meridionale che si strugge di rabbia e di dolore per la condizione di asservimento, di ignoranza, di penoso opportunismo della sua terra.

Ho amici calabresi, da tempo immigrati ( ma sarebbe meglio dire fuggiti) al Nord, che quando tornano a casa piangono di sconforto. Amici napoletani che pur amando fino allo struggimento quella città , la maledicono. Mi domando se la classe dirigente di questo paese, che un tempo si formava anche sui testi sacri della ‘questione meridionale’, sia cosciente dello sfascio, del lento morire civile dei milioni di meridionali onesti. E devo aggiungere: la ‘questione settentrionale’, rispetto a quella vera tragedia umana che è il Mezzogiorno, mi è sempre sembrata un lusso. E un nuovo modo, tra le altre cose, per dimenticare il Sud.”

Dove sono i casalesi onesti? (Commento politicamente scorretto sul popolo di Gomorra)

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Ogni volta che la mafia o la camorra colpiscono chi osa ribellarsi alla criminalità organizzata, c’è qualcuno pronto a dire: ” I mafiosi sono in minoranza, la stragrande maggioranza dei cittadini sta dalla parte delle vittime, della giustizia, della legalità”.

Belle parole. Confortanti.

Anche per i casalesi è così?

Difficile crederlo dopo aver letto l’articolo di Giuseppe D’Avanzo su Reubblica di ieri

“Hanno ucciso mio padre e io vado via, ormai qui ci evitano come lebbrosi”

D’Avanzo intervista Massimo Noviello, al quale la camorra un mese fa ha ucciso il padre.

Ucciso come un cane, con venti colpi di pistola ( una calibro 9 e una calibro 38, per la precisione) per essersi rifiutato di pagare il pizzo.

Ucciso dagli uomini di quel clan Bidognetti di Casal di Principe, le cui “gesta” sono state recentemente “premiate” a suon di ergastoli.

Cosa dice Massimo Noviello? Ecco un estratto delle sue dichiarazioni:

E’ giunto il tempo di andar via da Castelvolturno dove abbiamo sempre vissuto. Siamo ormai stranieri nella nostra terra.

Al funerale c’ era soltanto la nostra famiglia, le associazioni antiracket, la polizia.

La gente ci guardava da lontano, indifferente.

Non c’ è stato un negozio che ha ritenuto di calare la saracinesca in segno di lutto.

Peggio è andata alla messa del trigesimo.

Non c’ era nessuno.

I nostri amici, anche quelli più cari, ci evitano come se fossimo dei lebbrosi. C’ è sempre un motivo che impedisce loro di venire a casa o di raggiungerci in pizzeria. Abbiamo avuto accanto, per ora, soltanto lo Stato. Avere fiducia nello Stato è la sola opportunità che ci resta.

Parole pesanti come pietre.

E che mi costringono a farmi questa domanda, politicamente scorretta, ma, credo, non paradossale :

DOVE SONO I CASALESI ONESTI?

E ce ne sono a Corleone, a Scampia, a Secondigliano ?