Da CHIAMAMILANO
Italia? No, grazie. “Mi sento milanese, lombardo, padano, europeo, cittadino del mondo”.
Matteo Salvini, capogruppo in consiglio comunale della Lega e neoeletto deputato in Parlamento lo ha stampato anche sulla sua maglietta.
“Padania is not Italy”, per l’appunto.
In Padania si vive, si mangia, si lavora in maniera diversa, ci spiega.
Piuttosto che all’Italia, la Padania preferirebbe paradossalmente appartenere alla Spagna socialista di Zapatero.
Modello Barcellona, ad esempio. Una città multietnica, ma in cui, diversamente da Milano, “ognuno sta al suo posto”.
Un certo feeling con la sinistra gli è rimasto da quel lontano 1997, quando si tennero le elezioni per il fantomatico Parlamento padano e il neodeputato correva per i Comunisti padani.
Chissà, forse ora, dopo l’exploit della Lega alle ultime elezioni, il sogno federalista di Bossi e compagni potrà realizzarsi e la Padania potrà conquistare l’agognata indipendenza.
E Salvini tornerà nei panni di un Che della pedemontana.
Per ora tocca contraddire Salvini: Lombardia, Veneto e Piemonte sono territori italiani. Tanto che il Presidente del consiglio in Pectore ha preferito lasciare ai propri posti Formigoni e Galan pur di non vedere un’ulteriore avanzata delle truppe del carroccio nel Lombardo-Veneto.
In missione a Roma per “portare a casa soldi e poteri per la Lombardia e per Milano”, il neodeputato milanese assicura che obiettivo della Lega resta quello di garantire sicurezza e normalità a tutti i cittadini.
La “caccia” allo straniero rappresenterà in questo contesto la chiave di volta attorno cui far ruotare la strategia politica del nuovo governo di centrodestra. Risultati elettorali alla mano, la severa egida del partito che ha giurato fedeltà a Pontida sarà determinante nel processo di “debellione del nemico”.
Soprattutto a Milano, prima tra le grandi città del nord che hanno visto un aumento esponenziale degli aficionados di Bossi, il vento xenofobo ha già minacciosamente preso a soffiare.
Salvini assicura di aver parlato con il Sindaco e di aver ricevuto garanzie di maggior severità in tema di sicurezza. Se la parola d’ordine sembra essere “tolleranza zero”, l’antidoto magico non può che passare, conferma il leghista, che per la formula “zero campi nomadi, zero patti di legalità”.
Al Salvini legato alle radici della sua città e della tradizione lumbard, però, difficilmente basterà continuare a cavalcare l’ormai inflazionatissimo tema securitario.
Abile politico, comunicatore diretto ed efficace, più volte portatovoce del malcontento dei quartieri milanesi (sue le recenti battaglie in Comune per l’appovazione della zona a traffico limitato in via Sarpi e per lo slittamento dell’isola pedonale estiva sui Navigli), Salvini sa di rivestire a Milano un ruolo di rappresentanza saldo e affidabile per il suo partito.
Per questo il neodeputato ha deciso di non farsi da parte e di mantenere la sua posizione a Palazzo Marino. Per questo, come è prevedibile e legittimo, pretenderà maggior voce in capitolo in altri decisivi settori dell’amministrazione.
E così l’attaccamento al proprio territorio, l’irrinunciabile difesa delle tradizioni, la valorizzazione dell’efficienza e della cultura lombarda, diventeranno le insegne sotto le quali giocare nuove importanti partite.
La salvaguardia di Malpensa e l’organizzazione dell’Expo, tanto per cominciare.
“Non servono cattedrali nel deserto, bisogna avere un’expo che valorizzi tutta la città e che ne conservi le radici”, dichiara Salvini.
La messa in pericolo della “milanesità”, in fondo, è la versione locale di quella dell’”italianità”, diventata durante la campagna elettorale il cavallo di battaglia del centro destra.
Ma dalle parti di Salvini più che di italianità è corretto parlare di “padanità”.
Perché “Padania is not Italy”.
Giulia Cusumano