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Bossi & Figlio: Zuccone + Zuccone

Il premier ha messo le mani avanti.

Quando temeva che alcune sue conversazioni imbarazzanti venissero pubblicate ha detto che quando si parla al telefono, nelle pericolose ore che precedono il sonno. la dimensione del discorso è onirica. C’è un controllo allentato sulle parole, c’è meno verità e più sogno.

Dobbiamo prenderla per buona?

Come al solito ci saranno due partiti: quelli che gli crederebbero anche se sostenesse di avere le stimmate e quelli che, per non sapere nè leggere nè scrivere, pensano che menta qualsiasi cosa dica.

E Bossi?
Per lui la scusa non è la dimensione onirica, ma il contesto.

Passa buona parte del tempo a dire cose sensate e ragionevoli, ma quando si trova in mezzo ai suoi supporter, viene assalito dal delirio di onnipotenza e ne spara sempre una più grossa della precedente.

E’ il suo temperamento, dicono i suoi, ormai lo conoscete.

(La stessa solfa detto per inciso , vale per Berlusconi: sapevate dei suoi processi e dei suoi interessi, eppure lo avete democraticamente eletto.

Insomma siamo il paese in cui, se puoi permetterti una buona stampa, puoi fare tutto quello che vuoi.

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Anche avere un figlio che ha poca voglia di studiare, tanto da farsi bocciare due volte consecutive all’esame di maturità.

Anche tornare a casa a consolarlo invece di rifilargli quattro sacrosanti calci nel didietro.

Anche proclamarlo vittima dei professori meridionali, che non avrebbero apprezzato la sua tesina su Carlo Cattaneo, anzi lo avrebbero bocciato proprio per avere osato proporre un autore così eversivo.

Anche fare un gestaccio all’indirizzo dell’inno nazionale, sostenendo che in una sua strofa indica nell’Italia la schiava di Roma, cosa inaccettabile e inammissibile.

Peccato che nell’inno la schiava di Roma sia, come si evince chiaramente da una lettura affrettata del testo, la Vittoria, non l’Italia.

Insomma zuccone il figlio, zuccone il padre che difende a spada tratta tanta zucconeria.

Poveri noi invece che dobbiamo tenerci un tale ministro e che, tra qualche tempo, forse vedremo sedere in Parlamento, grazie ai noti meccanismi elettorali, anche lo zuccone n. 2 ( in fondo il diploma non è un…prerequisito)

Povero Kafka! ( lettera ad una studentessa)

Lettera ad una studentessa che sta preparando una tesi su Kafka:

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“Cara G.

             non puoi dire che Kafka è soltanto

“uno degli scrittori più

rappresentativi di inizio novecento”!!!.

Mi sembra un giudizio tiepido e ingeneroso.

Kafka non solo è il dominatore della letteratura del 900 , ma anche l’interprete più autentico delle inquietitudini di quel secolo( tra l’altro ancora in parte presenti in questo!).

Proust che pure, a mio avviso, lo sopravanza di poco e che ha scritto le sue opere più importanti esattamente nello stesso periodo ( La strada di Swann è del 1914) non è così moderno e attuale come lui riesce ad essere ancora adesso a 90 anni da quando ha scritto.

Più calore, cara G. , per il povero Kafka!

Era un impiastro totale come uomo e come fidanzato, lo so e questo forse ti condiziona nel giudizio ( lo vorresti più uomo).

Ma la sua grandezza sta proprio in questo. Se la sua capacità di scrittura ed il suo enorme talento visionario, avessero avuto alle spalle una visione serena dell’esistenza, sarebbe stato un piacevole giocoliere della parola, non un titano della letteratura.

Pensa piuttosto alla sfiga di quelli che sono scontenti e tormentati e non sono nemmeno in grado di raccontarlo decentemente !

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Se la ricetta per diventare un grande scrittore fosse solo quella di avere un padre invadente, uno schiacciante senso di colpa, una fidanzata ansiosa di convolare a “ingiuste nozze”, una madre impicciona e una salute cagionevole, troppi ce ne sarebbero di grandi scrittori!

Da parte mia, non avendo il talento dello scrivere, almeno posso consolarmi della mia visione non catastrofica della vita, di aver risolto per tempo “il conflitto con il Padre” e di avere una discreta salute.

A presto.

F.

Un uomo alla finestra ( essere Kafka)

C’è in Kafka una grande avversione per qualsiasi tipo di fisicità.
L’educazione repressiva e gli atteggiamenti ansiosi del padre (v. il bellissimo “Lettera al Padre”) hanno creato in lui un gigantesco senso di colpa, che si riversa sulla sfera dell’eros.
Il pensiero di avere un rapporto fisico con una donna lo atterrisce, ma lo turba enormemente anche il suo essere un uomo socialmente monco e inutile, incapace di accoppiarsi e di avere una famiglia.

Il vero polo d’attrazione della sua vita è la scrittura, l’attività cui vorrebbe dedicarsi in maniera assoluta e monacale

Sente, tuttavia, che la scrittura non può essere, come vorrebbe, il centro della vita, ma soltanto un piacere da concedersi dopo che si è dato spazio al dovere.

Cioè al suo lavoro di funzionario di una compagnia di assicurazioni.
Cioè ai suoi tentativi di approdare ad una vita “normale”

Il dramma di Kafka è proprio questo.

L’amore gli appare sia la possibilità di arrivare finalmente nella Terra di Canaan, quella dove abitano gli uomini e le donne reali che si accoppiano e procreano , sia il momento della definitiva perdizione e rovina, l’addio crudele ad una missione che sente molto più congeniale alle sue attitudini e alle sue forze, quella della scrittura.

Due sono i grandi amori della sua vita.

In entrambi i casi si tratta di donne che vivono a parecchie centinaia di chilometri da Praga: Felice abita a Berlino, Milena a Vienna

In entrambi i casi il rapporto con l’amata ha il suo momento di massimo pathos nella scrittura. In quegli epistolari , c’è uno slancio infinito, un’immaginazione incontenibile, molto più grande di quella messa in opera nei romanzi .

Kafka vive esclusivamente nell’attesa di scrivere alla donna che ama e di riceverne le lettere.

Quando il rapporto, per l’ insistenza della donna amata, si avvicina ad una qualsiasi forma di stabilità e concretezza, lui preferisce troncare.

In entrambi i casi è la malattia che lo consuma la causa apparente della rottura.

In realtà quello che lo spinge a chiudere questi rapporti è il desiderio di tornare a se stesso, di ritrovarsi senza fardelli sia come uomo sia come scrittore.

Un’ultima considerazione.
Il complesso di colpa, proprio per i prezzi che ha saputo esigere nella vita di Kafka, ha limitato enormemente la sua produzione letteraria: restano alcuni splendidi racconti e tre romanzi, di cui uno solo portato a termine.

Ma, senza quel mostruoso senso di colpa, che ne sarebbe dell’opera di Kafka?

Lo considereremmo, come lo consideriamo oggi, uno dei grandissimi del Novecento?

Penseremmo a lui come ad uno scrittore attualissimo, nonostante il secolo che è passato da quando ha scritto i suoi libri?