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Walter Chiari prende per i fondelli Lucio Battisti. Video imperdibile.

A volte ci dimentichiamo, abituati come siamo a cabarettisti di scarso talento che cercano di sopperire alla mancanza di fantasia con la volgarità, di cos’era una forza della natura come Walter Chiari.

Intrattenitore ineusaribile e comico di razza.

Il pezzo in cui Walter Chiari prende per i fondelli Battisti ( in realtà ridicolizza i testi di Mogol) è imperdibile.

Semplicemte geniale: gli basta introdursi nel testo, afferrarne le parti più intense dal punto di vista emotivo, sottrarle dal piano della poesia e inserirle brutalmente in quello della banalità della vita corrente e il gioco è fatto.

Ma non è geniale solo il testo. C’è anche la mimica, la capacità di recitare, lui uomo così raffinato, la parte del “semplice”, che travolge tutto con la sua programmatica “stupidità”.

Quello che avevano in comune Pasolini e Casanova

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“Per essere poeti bisogna avere molto tempo”

Leggo e rileggo questa frase di Pasolini, cercando nella memoria l’autore che diceva qualcosa di simile.
Finalmente me lo ricordo ( ed è una piccola conquista perchè il combinato disposto delle troppe letture fatte e dei neuroni che a decine mi abbandonano comincia  a creare qualche problema alla mia memoria).
Ma certo!
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Qualcosa di simile lo diceva Casanova.


Solo che lui sosteneva che è per conquistare le donne che serve avere molto tempo.
Nessuna contraddizione, in fondo.
Conquistare l’amore di una donna senza un minimo di poesia è praticamente impossibile.
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casanova, donne, Pasolini, poesia, tempo

Lentamente muore ( Pablo Neruda)

Lentamente muore

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Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni

giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marcia,

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,

chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco

e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che

fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore

davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,

chi e’ infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,

chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai

consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge,

chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia

aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o

della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,

chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non

risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere

vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto

di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una

splendida felicita’.

Pablo Neruda

( poesia letta al Senato da Clemente Mastella)

Il nido del cuculo ( omaggio a Vladimir Majakovskij )

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Vladimir Majakovskij conosce nel 1915, all’età di 22 anni, Lilja Brik, moglie del critico Osip Brik, suo amico e compagno di battaglie, e se ne innamora.

Diventa un ospite fisso della coppia, dedica le sue poesie a Lilja, per piacerle va a farsi curare i denti e si veste con eleganza; alla fine si installa addirittura in casa dei due.

Inizia così tra Majakovskij, Lilja e Osip un incredibile rapporto a tre che continuerà per molti anni.

Per Majakovskij Lilja sarà il solo grande amore della sua vita, ma Lilja amerà sempre e solo il marito, tanto che dopo la sua morte dirà: «Quando Majakovskij si è sparato è morto un grande poeta, ma quando è morto Osip sono morta anch’io”

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Vladimir e Lilja si scrivono molte lettere.

Quelle di lui sono febbrili, drammatiche, quelle di lei trattenute e sbrigative.

In una lettera Vladimir le scrive:

“In te non c’è amore per me, in te c’è amore in genere, per tutto. Vi occupo un posto anch’io ( forse persino importante), ma se scompaio, allora verrò fatto fuori, come una pietra da un fiume, mentre il tuo amore nuovamente riemergerà su tutto il resto”

Un amico comune, il poeta Nikolai Aseev descrive così il menage a tre del poeta con i coniugi Brik:

“Lui fuggiva la quotidianità e le sue forme tradizionali, tra cui la più importante era la famiglia… E trovò una famiglia in cui, come un cuculo, volò per sua scelta, senza però scacciare nè danneggiare gli inquilini”.

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Nella sua lettera di commiato scritta pochi istanti prima di uccidersi, Vladimir scrive:

«A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non e’ una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia e’ Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio.[…] Come si dice, l’incidente e’ chiuso. La barca dell’amore si e’ spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici».

Il paese dei soprassalti emotivi : caos rifiuti, morti sul lavoro, moratoria sull’aborto.

Cresce il disagio di vivere in questo paese.Alle inquietitudini di sempre sulle cose che non vanno, si aggiungono in questi giorni quelle legate a tre vicende, lontanissime tra loro, ma anche legate da un filo comune.

La prima è la polemica sulla moratoria dell’aborto.

Nasce come una crociata ideologica, ma Il problema della bassa natalità, che oggettivamente esiste, va affrontato non con i sermoni, ma in maniera concreta con interventi seri per sostenere le famiglie e superare il diffondersi del precariato.

Se il famoso giornalista che oggi s’indigna per l’aborto avesse condotto in passato battaglie di questo tipo ( ma sarebbe in tempo a farlo anche oggi!) , oggi risulterebbe più credibile.

La seconda questione è il caos rifiuti in Campania.

Anche qui molti di quelli che strepitano per le proteste legate a questo scempio sarebbero più credibili, se avessero agito per tempo, assumendosi le loro responsabilità e individuando delle soluzioni.

La terza è quella dei morti sul lavoro, esplosa con i fatti di Torino, ma mai affrontata con la dovuta serietà e il dovuto dispiegamento di forze delle autorità di controllo.

Eccolo il filo che lega le tre vicende: il nostro è un paese che ormai affronta le questioni serie solo per poco tempo e sempre sull’onda di soprassalti emotivi.

Finiti quelli, finito tutto.

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Le lettere d’amore sono ridicole

Si chiama Ofelia Queiroz, ha diciannove anni, è fresca, carina, spigliata e, contro la volontà dei suoi genitori, ha deciso di trovare un impiego.

Conosce il francese, sa scrivere a macchina e sa anche qualche parola di inglese.

Viene assunta in una piccola azienda commerciale.Flickr image

Il primo giorno conosce un collega.

E’ un uomo vestito tutto di nero, con gli occhiali, un cappello con la falda alzata ed una cravatta a farfalla.

E’ Fernando Pessoa, il più grande poeta portoghese del ‘900, ed ha già perso la testa per lei.

Iniziano così le schermaglie amorose fra i due due. E’ quello che in portoghese si chiama il namoro, il periodo in cui si manifesta quell’attrazione reciproca che poi darà luogo al fidanzamento vero e proprio

Il poeta è di diversi anni più vecchio, ma non si sottrae al gioco degli sguardi, dei baci in punta di labbra tra una scrivania e all’altra, dei bigliettini.

I due si scambiano anche una infinità di lettere d’amore.

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Nel dicembre del 1920 Ofélia decide di mettere un punto, stanca di essere presa in giro dall’insicurezza surreale del poeta.

“Una donna che crede alle parole di un uomo, non è che una povera idiota; se un giorno vedeste qualcuno che finga di portare alle labbra una bevanda avvelenata a causa sua, rovesciategliela velocemente in bocca perchè libererà il mondo da un impostore in più.”

Conclude così la sua ultima lettera.

D’altronde quale donna non diffiderebbe degli slanci amorosi di chi ha scritto una poesia come quella che riporto qui sotto?

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Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore
devono essere
ridicole.
Ma, dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono ridicoli.
Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo
senza accorgermene
lettere d’amore
ridicole.
La verità è che oggi
sono i miei ricordi
di quelle lettere d’amore
ad essere
ridicoli.


La casa di Neruda

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Sistemo le foto fatte nel corso dei miei viaggi e mi capitano tra le mani quelle fatte a Valaparaiso qualche anno fa.

Città “accesa, spumeggiante, dissoluta” dal “luccichio magnetico”, diceva Neruda.

A me, molto più banalmente, Valparaiso è sembrata soprattutto la città delle scale.

Dritte, storte, larghe, strette, brevi e lunghissime, coprono la città come un manto di rughe sul corpo di una vecchia signora.

Assomiglia a certe nostre città del sud: vecchi palazzi del primo Novecento assediati da abitazioni più recenti e ordinarie, una quantità incredibile di negozietti di alimentari, di frutta e verdure, di ferramenta, di vestiti, che fronteggiano ostinatamente la concorrenza dei rutilanti supermercati della periferia.

Traffico spedito e caotico, giardinetti con le palme, in qualche angolo ricorda Trapani.

Indimenticabile, invece, e folgorante, la casa di Neruda, “la Sebastiana”.

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Cinque piani, due stanze per piano.

In ogni stanza grandi finestre che guardano l’oceano: sembrano quadri dai colori teneri e violenti

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Dappertutto , un po’ come nelle poesie di don Pablo,nelle quali affiorano continuamente immagini insolite e colorite, oggetti sorprendenti e bizzarri: vecchie polene, binocoli, antichi forzieri di legno, bussole, grandi conchiglie.

Ovunque si sente l’impronta di un poeta non abituato ad appaltare all’Ikea la definizione del proprio habitat.

 

 

 

Un uomo alla finestra ( essere Kafka)

C’è in Kafka una grande avversione per qualsiasi tipo di fisicità.
L’educazione repressiva e gli atteggiamenti ansiosi del padre (v. il bellissimo “Lettera al Padre”) hanno creato in lui un gigantesco senso di colpa, che si riversa sulla sfera dell’eros.
Il pensiero di avere un rapporto fisico con una donna lo atterrisce, ma lo turba enormemente anche il suo essere un uomo socialmente monco e inutile, incapace di accoppiarsi e di avere una famiglia.

Il vero polo d’attrazione della sua vita è la scrittura, l’attività cui vorrebbe dedicarsi in maniera assoluta e monacale

Sente, tuttavia, che la scrittura non può essere, come vorrebbe, il centro della vita, ma soltanto un piacere da concedersi dopo che si è dato spazio al dovere.

Cioè al suo lavoro di funzionario di una compagnia di assicurazioni.
Cioè ai suoi tentativi di approdare ad una vita “normale”

Il dramma di Kafka è proprio questo.

L’amore gli appare sia la possibilità di arrivare finalmente nella Terra di Canaan, quella dove abitano gli uomini e le donne reali che si accoppiano e procreano , sia il momento della definitiva perdizione e rovina, l’addio crudele ad una missione che sente molto più congeniale alle sue attitudini e alle sue forze, quella della scrittura.

Due sono i grandi amori della sua vita.

In entrambi i casi si tratta di donne che vivono a parecchie centinaia di chilometri da Praga: Felice abita a Berlino, Milena a Vienna

In entrambi i casi il rapporto con l’amata ha il suo momento di massimo pathos nella scrittura. In quegli epistolari , c’è uno slancio infinito, un’immaginazione incontenibile, molto più grande di quella messa in opera nei romanzi .

Kafka vive esclusivamente nell’attesa di scrivere alla donna che ama e di riceverne le lettere.

Quando il rapporto, per l’ insistenza della donna amata, si avvicina ad una qualsiasi forma di stabilità e concretezza, lui preferisce troncare.

In entrambi i casi è la malattia che lo consuma la causa apparente della rottura.

In realtà quello che lo spinge a chiudere questi rapporti è il desiderio di tornare a se stesso, di ritrovarsi senza fardelli sia come uomo sia come scrittore.

Un’ultima considerazione.
Il complesso di colpa, proprio per i prezzi che ha saputo esigere nella vita di Kafka, ha limitato enormemente la sua produzione letteraria: restano alcuni splendidi racconti e tre romanzi, di cui uno solo portato a termine.

Ma, senza quel mostruoso senso di colpa, che ne sarebbe dell’opera di Kafka?

Lo considereremmo, come lo consideriamo oggi, uno dei grandissimi del Novecento?

Penseremmo a lui come ad uno scrittore attualissimo, nonostante il secolo che è passato da quando ha scritto i suoi libri?