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Crema alla cioccolata.

Molti di noi hanno interesse, oltre che per le opere,  per la vita degli scrittori.

E’ un interesse che può essere funzionale non solo ad appagare la nostra curiosità, ma anche a capire meglio il contenuto delle loro opere.

Oggi invece voglio parlare dell’interesse che alcuni hanno a visitare i luoghi descritti o a fare le esperienze descritte in un libro particolarmente amato.

Farò due esempi che mi provengono dalla frequentazione di un libro che ho letto da giovane e ripreso varie volte in mano perchè, secondo me, è uno dei libri più grandi che siano stati scritti: La recherche du temp perdu di Marcel Proust

Il PRIMO ESEMPIO riguarda la cucina.

Il cibo ha un ruolo di primo piano nella Recherche. E’ descritto con calore e mangiato con gusto.

Moltissimi sono i piatti che Proust fa sfilare sotto il nostro naso nel libro: soufflè al formaggio, insalata di fagiolini, trota alle mandorle, triglia di scoglio alla griglia, bouillabaisse, razza al burro nero, agnello con salsa bearnaise, manzo alla Stroganoff, mousse di lamponi, madeleine, crostata di albicocche, crostata di mele, dolce all’uva, crema al cioccolato.

Tempo fa un cuoco famoso ha pubblicato un libro con le ricette di tutti i cibi citati da Proust nella Recherche. Il titolo è proustiano a sua volta: La cuisine retrouvée.

Grazie a questo libro anche un cuoco di modesta esperienza e di grande diligenza potrebbe ricreare la stessa creme al cioccolato che Francoise serviva al Narratore e alla sua famiglia a Combray.

illiers_cartolina

Il SECONDO ESEMPIO riguarda proprio Illiers, il paesino del nord della Francia, nel quale Proust trascorse le sue estati della sua infanzia, nella casa della sorella del padre, Elisabeth Amiot.Nella Recherche Illiers è diventata Combray e la zia Elisabeth è diventata la mitica zia Leonie.

Oggi Illiers si chiama Illiers- Combray, sono ormai quasi quarant’anni che al nome originario è stato aggiunto quello di fantasia attribuitole dallo scrittore.

Scrive Alain De Botton nel suo bel volume “Come Proust può salvarvi la vita” ( ed. Guanda):

Dà una strana sensazione attraversare in auto una città che ha in parte rinunciato al suo diritto ad un’esistenza autonoma per un’immagine modellata su di lei da uno scrittore che vi ha trascorso qualche estate da ragazzo alla fine del diciannovesimo secolo.
Ma a Illier-Combray l’idea sembra piacere.
In un angolo della rue du Docteur Proust, alla porta della panetteria pasticceria è appeso un grande cartello che lascia un po’ sconcertati: “la casa in cui zia Leonie comperava le sue madeleine”.

Il panettiere- che non ha letto il romanzo- sa che il negozio avrebbe chiuso da molto tempo se non fosse stato per la Recherche, che attira clienti da tutto il mondo”.

La cittadina, ci assicura De Botton, non è molto diversa da molte altre cittadine di quelle dimensioni che si trovano nella stessa regione.

La guida redatta dall’agenzia turistica del posto, tuttavia, così ci ammonisce:

“Se si vuole cogliere il senso più profondo e riposto della Recherche prima di incominciare a leggere bisogna dedicare un’intera giornata alla visita di Illiers-Combray. Si può sentire la magia di Combray solo in questo luogo privilegiato”

Cosa direbbe Proust di tutto questo?

Certo, sarebbe felice di essere ricordato ed amato, ma ci ammonirebbe parlandoci di quella che chiamava “l’idolatria artistica”.

In senso religioso, l’idolatria è la fissazione per un aspetto del culto: l’immagine di una divinità adorata ci distoglie dallo spirito della religione che pratichiamo nella sua globalità.

Così, se parliamo di arte, secondo Proust, un problema analogo, quello che appunto chiama “idolatria artistica”, si manifesta quando rivolgiamo la nostra adorazione agli oggetti della rappresentazione artistica, invece che concentrare la nostra attenzione sullo spirito dell’opera.

Fedele a questa sua visione, Proust ci direbbe:

“Preparatevi, se volete, la creme al cioccolato di Francosise o andate, se lo desiderate a visitare Illiers, ma, se davvero volete rendermi omaggio, cominciate a guardare il VOSTRO mondo con i miei occhi, non il MIO con i VOSTRI.”

Insomma, al posto della creme potremmo mangiarci un hamburger, cercando di gustarcelo come farebbe Proust.
In luogo di Illiers potremmo visitare Bonneval o Courville, ma cercando di vederle con gli stessi occhi Proust.

Chiudo la nota con una ricetta, quella della famosa creme al cioccolato che la domestica Francoise nella Recherche prepara al Narratore ( fatela con amore, mi raccomando):

CREME AL CIOCCOLATO DI FRANCOISEIngredienti: 100g di cioccolato fondente, 100g. di zucchero, mezzo litro di latte, sei uova.

Preparazione: Fate bollire il latte, aggiungete il cioccolato a pezzetti e lasciate sciogliere adagio, mescolando.
Sbattete lo zucchero con il tuorlo delle sei uova,
Intanto avrete preriscaldato il forno a 130°.
Quando il cioccolato si sarà sciolto completamente, lo unirete alle uova e allo zucchero, mescolando energicamente, poi filtrerete utilizzando una garza.
Versate il tutto in stampi di 8 cm di diametro e mettetelo in forno a bagnomaria per un’ora.
Lasciate raffreddare prima di servire.

E’ importante conoscere la vita di uno scrittore? ( segue ricetta per il flan di zucca)

Due sere fa cenavo con un amico in una trattoria di Campo S. Giacomo dell’Orio. Uno dei temi che abbiamo affrontato, mentre gustavamo un ottimo flan di zucca, era questo, che mi piace allargare anche a coloro che avranno la pazienza di leggere questa breve nota:

 

In che misura è giustificato l’interesse per la vita di uno scrittore?

Conoscere traumi dell’infanzia, vicissitudini amorose, rovesci economici,disturbi digestivi e difficoltà respiratorie di un poeta o di un romanziere ci mette in condizione di capire ed interpretare meglio al sua opera?

Oppure noi accaniti lettori siamo, in fondo, soltanto dei “guardoni” ansiosi di frugare nella vita delle nostre “star” ?

Insomma semplici e banalissimi appassionati di gossip ?

Magari convinti, a torto, di esserre più “nobili” di altri cultori di gossip sulla vita di veline e calciatori?

Prima di addentrarmi nell’argomento, devo premettere che la mia passione per la vita degli scrittori rimarrà, anche se dovessi pervenire alla convinzione che è solo “guardonismo”.

Perchè, se è giusto cercare di debellare le passioni insane, quelle innocue vanno invece alimentate
( non credo alla felicità, ma quello che più le si avvicina è il divertimento, l’interesse per le cose che si fanno)

Continuerò, quindi, a raccogliere annedoti letterari e a raccontare i più interessanti nelle mie note.

Esaurito il preambolo, ecco come intendo affrontare il tema.

Illustrerò due tesi contrapposte molto autorevoli, poi mi farò da parte e dirò la mia inserendomi tra i commenti, sperando di non essere…. l’unico a trovare interessante la questione.

Primo teste: Charles Augustin de Sainte-Beuve ( 1804-1869) .

 

Che dice Saint Beuve?

” Finchè, su uno scrittore, non ci saremo posti un certo numero di quesiti, e non avremo dati ad essi una risposta, sia pure per noi soli e abassa voce, non potremo essere sicuri di tenerlo tutto intero, quand’anche tali quesiti possono sembrare lontani dalla natura dei suoi scritti
Che cosa pensava in fatto di religione? Come reagiva allo spettacolo della natura? Quale era il suo regime di vita, la sua esistenza di tutti i giorni? E, infine, quale era il suo vizio e il suo punto debole?
Nessuna risposta a queste domande è senza importanza.”

Secondo teste: Marcel Proust ( 1871-1922)

 

“Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi”
” E’ vero che ci sono persone superiori ai propri libri, ma questo accade perchè i loro libri non sono LIBRI.”
” Balzac può essere stato maleducato, Stendhal noioso nella conversazione e Baudelaire ossessivo, ma perchè questo dovrebbe influire sul nostro modo di leggerne le opere, che non presentano nessuno dei difetti dei lor autori?”

Aggiungo, di mio ( sentendomi, inevitabilmente, schiacciato dai due giganti che ho citato) e allacciandomi all’ultima citazione :

Ci aiuterebbe a comprendere meglio la Recherche il fatto di sapere che Proust aveva una madre ebrea, che soffriva d’asma, che aveva problemi intestinali, la pelle ipersensibile, era terrorizzato dai topi, freddoloso oltre ogni immaginazione?
E’ importante sapere che era omosessule?
Abbiamo necessità di sapere che, quando descrive Albertine pensa, invece, all’amore della sua vita Alfred Agostinelli?

Segue dibattito…

Per chi, poco appassionato alla questione posta, desiderasse avere informazioni sul flan di zucca citato all’inizio della nota pubblico qui la ricetta di questa autentica ghiottoneria ( l’ho sperimentata con successo):

Ingredienti: polpa di zucca, besciamella, uova e del parmigiano.
Calcolate che per mezzo litro di besciamella io, in genere, utilizzo (ad occhio) circa 1 kg. di polpa di zucca, aggiungete una bella manciata di parmigiano grattugiato, un rosso d’uovo ed un uovo intero per amalgamare il tutto.
Essendo la zucca un prodotto con un’alta percentuale d’acqua, usate una besciamella molto consistente, amalgamate tutti gli altri ingredienti e versateli negli stampini «usa e getta» precedentemente infarinati ed impanati.
Cucinate a bagnomaria per circa 15 minuti, quindi servite grattugiandoci sopra ricotta affumicata e guarnite con semi di zucca abbrustoliti.

Basta Berlusconi, oggi occupiamoci di Proust

proust2Nel 1912 Marcel Proust scrive all’editore Gaston Gallimard proponendogli la pubblicazione di una parte della Recherche, che a quel tempo non aveva ancora terminato.

Il manoscritto viene affidato ad Andrè Gide. condirettore della prestigiosa rivista che era il fiore all’occhiello della casa editrice, la “Nouvelle Revue Francaise”.

Gide aveva conosciuto Proust circa vent’anni prima, a casa di Gabriel Trarieux, poeta simbolista.

Lo aveva classificato subito come uno snob.

Negli anni successivi, leggendo i suoi articoli su “Le Figaro”, aveva continuato a pensare a lui come ad un mondano dilettante, come ad un letterato di piccolo cabotaggio, di quelli che lo stesso Proust anni dopo avrebbe collocato nel salotto della sua Madame Verdurin.

E’ partendo da questo radicato pregiudizio che Andrè Gide affronta il compito di valutare il manoscritto di Proust. Che respinge.

Con il risultato di costringere l’autore della Recherche a rivolgersi all’editore Bernard Grasset che accetta di pubblicare “Dalla parte di Swann” nel novembre del 1913. Due mesi dopo la pubblicazione dl volume arriva a Proust una lettera di scuse di Gide che incomincia così:

Mio caro Proust Da qualche giorno non lascio più il vostro libro; me ne sazio con diletto, mi ci sprofondo. Ahimè! Perchè deve essermi così doloroso amarlo tanto?..Aver rifiutato questo libro rimarrà il più grave errore della Nouvelle Revue Francaise e ( poichè ho la vergogna di esserne in gran parte responsabile) uno dei rimpianti, dei rimorsi più cocenti della mia vita.

Segue una aperta e quasi incredibile confessione delle modalità con le quali ha esaminato il manoscritto decidendo di scartarlo:

“Non avevo a disposizione che uno solo dei quaderni del vostro libro, che aprii con mano distratta, e la sfortuna volle che la mia attenzione cadesse subito nella tazza di camomilla di pag. 62, poi inciampasse a pag.64 nella frase ( la sola del libro che non so spiegarmi) in cui si parla di una fronte da cui traspaiono le vertebre”

La lettera si chiude con una supplica:

“Non me lo perdonerò mai- ed è soltanto per alleviare un poco il dolore che mi confesso a voi questa mattina- supplicandovi di essere più indulgente con me di quanto sia io stesso”

E’ noto poi come andarono le cose: la Nouvelle Revue Francaise, per il tramite di Gide, offrì a Proust di riscattare il primo volume da Grasset e di pubblicare i volumi successivi.

Da quel momento fino alla morte di Proust, avvenuta nel 1922, tra i due scrittori si intreccia un carteggio di grande intensità, pieno di riflessioni sulla vita e sulla scrittura.

Se ne può prendere visione leggendo il volume “Marcel Proust- Lettere a Andrè Gide” ( casa editrice SE- tascabili classici).

La cosa più interessante del volume è l’appendice che contiene un articolo di Gide apparso nel 1921 sulla Nouvelle Revue.

Ormai definitivamente conquistato dalla Recherche, Gide si lancia in un commento molto impegnativo: nessuno scrittore come lui, dice, ci ha arricchito.

Segue un’immagine che ci descrive meglio di ogni altra la grandezza di Proust.

Leggere Proust, ci spiega Gide, è come, quando si ha la vista debole e si ricevono finalmente in dono degli occhiali.

“Cominciamo a percepire improvvisamente il particolare dove fino a quel momento ci appariva soltanto una massa [….]. Proust è uno il cui sguardo è infinitamente più sottile e più attento del nostro, è uno che ci presta questo sguardo per tutto il tempo che lo leggiamo. […] Grazie a lui noi immaginiamo di avere sperimentato noi stessi quel particolare, lo riconosciamo, lo adottiamo ed è il nostro personale passato che una simile abbondanza viene ad arricchire. I libri di Proust, conclude Gide, agiscono come le sostanze che si versano su “quelle lastre fotografiche semivelate che sono i nostri ricordi”,facendone emergere poco alla volta volti, sorrisi, ricordi che “il tempo aveva trascinato con sè nell’oblio”.

La lettura di quest’articolo, con il suo tono di autorevole e definitiva consacrazione, arriva a Proust come “un bellissimo regalo di Natale fatto ad un bambino ( “sia pure molto vecchio”) o come “un miracoloso uovo di pasqua”.

Ogni frase -scrive Proust a Gide-è stata per me un incanto[…]. Ad ogni riga, mi dicevo: “Non è possibile che mi sia riservato qualcosa di stupendo”. Ma alla riga successiva il mago mi riportava un nuovo dono, e in quale forma! la più bella, la più sapiente, la più naturale che io conosca“.

gide

Proust, Gide, Gogol, James tutti segaioli.

Alina Reyes (dal sito www.alinareyes.com)
L’autrice del «Macellaio» racconta senza pudori i suoi incontri amorosi

Di Ranieri Polese ( corriere della sera del 23 gennaio 2007)
«Inginocchiata davanti al suo tesoro, sono una bimba davanti all’albero di Natale, dritto, splendente e così bello, con le sue palle piene di promesse. In cuor mio prego Babbo Natale, spero di essere stata tanto buona da meritare il mio regalo». Dopo quasi trenta libri pubblicati (il primo, Il macellaio del 1988, le regalò subito il successo in Francia e nel mondo), Alina Reyes non ha perso il gusto del sesso; sesso da vivere, sesso da fantasticare, sesso da scrivere.
Nei 69 capitoletti del suo ultimo lavoro Amori — Diario di Rrosa (dove rrosa con la doppia r è insieme il nome di chi scrive ed è il nome della cosa, di quella cosa lì), Alina racconta i suoi otto amori, otto incontri — potrebbero comunque essere molti di più, ma ognuno indica un momento della vita della narratrice e una qualche specialità sessuale — con uomini generalmente indefiniti, spesso vivi nella memoria solo per la loro partecipazione ai giochi di eros.

Pagine in cui tutto è detto, proprio tutto, anche se le cose dell’amore hanno nomi vegetali (rrosa, rosellina, stelo). Dire, fare, baciare, guardare, odorare, carezzare, toccare; e ancora, liquidi, fremiti, calori e brividi, odori e palpiti: sono i linguaggi del corpo che si ascolta e si osserva. C’è la volta in cui Rrosa e il suo amante si prendono sulle tegole inclinate di un tetto; quella in cui lui, un altro, si fa spalmare di crema chantilly o di marmellata; c’è quello che le chiede di poterla depilare, c’è il giovane che si eccita vedendo la biancheria sexy, e anche quello che siede davanti al computer mentre lei sta sotto il tavolo.

Di questi uomini sappiamo poco, il raffinato giovanotto cerebrale somiglia un po’ a Bob Dylan e un po’ ad Alain Delon; l’atleta biondo posa per un pittore famoso; il bel tenebroso suona in un gruppo rock e le manda lunghissime lettere tappezzate di disegni a inchiostro. Ma perché questi racconti, perché questo libro? La risposta si trova al capitolo 58: «Le anime meschine pensino pure con un ghigno che Rrosa scrive sulla sua rrosa per far soldi. Sì, certamente. Non potrebbe farlo, però, se non sentisse, regolarmente, il bisogno di godere scrivendo. Scrivere, anche quando non parla né di rrosa né di stelo, è la più grande e la più bella perversione erotica di Rrosa».

A chi pensa che il desiderio sia morto e che la scrittura erotica — nonostante gli elenchi un po’ pedanti di Catherine Millet — sia ormai in fase terminale (da tre anni, il premio spagnolo «La sonrisa vertical» non viene più assegnato) Alina Reyes ha degli insegnamenti da dare. Con quel suo gioco innocente e scostumato, lei che fin dagli esordi scelse di cambiarsi il nome prendendolo da un racconto di Cortàzar, ha idee chiare in proposito. Rinuncia al racconto di una storia (sa che possono annoiare), scrive cattivi pensieri perché quelli non stancano mai.

Al capitolo 32 si legge: «Scrivere questo diario mi mette voglia di masturbarmi. La mano che scrive è la stessa che masturba. Quando le donne sapranno masturbarsi quanto gli uomini, scriveranno libri altrettanto grandi».

Patrick Besson, scrittore francese carico di premi e di record di vendite, recensendo il libro, commenta divertito: «E certo Alina Reyes sa che i più grandi scrittori furono dei gran segaioli: Proust, Gide, Gogol, James…».

Caro Proust, perdonatemi se vi ho stroncato. Firmato Gide.

Nel 1912 Marcel Proust scrive all’editore Gaston Gallimard proponendogli la pubblicazione di una parte della Recherche, che a quel tempo non aveva ancora terminato.

Il manoscritto viene affidato ad Andrè Gide. condirettore della prestigiosa rivista che era il fiore all’occhiello della casa editrice, la “Nouvelle Revue Francaise”.

Gide aveva conosciuto Proust circa vent’anni prima, a casa di Gabriel Trarieux, poeta simbolista.

Lo aveva classificato subito come uno snob. Negli anni successivi, leggendo i suoi articoli su “Le Figaro”, aveva continuato a pensare a lui come ad un mondano dilettante, come ad un letterato di piccolo cabotaggio, di quelli che lo stesso Proust anni dopo avrebbe collocato nel salotto della sua Madame Verdurin.

E’ partendo da questo radicato pregiudizio che Andrè Gide affronta il compito di valutare il manoscritto di Proust.

Che respinge.

Con il risultato di costringere l’autore della Recherche a rivolgersi all’editore Bernard Grasset che accetta di pubblicare “Dalla parte di Swann” nel novembre del 1913.

Due mesi dopo la pubblicazione dl volume arriva a Proust una lettera di scuse di Gide che incomincia così:

Mio caro Proust

Da qualche giorno non lascio più il vostro libro; me ne sazio con diletto, mi ci sprofondo. Ahimè! Perchè deve essermi così doloroso amarlo tanto?..Aver rifiutato questo libro rimarrà il più grave errore della Nouvelle Revue Francaise e ( poichè ho la vergogna di esserne in gran parte responsabile) uno dei rimpianti, dei rimorsi più cocenti della mia vita.

Segue una aperta e quasi incredibile confessione delle modalità con le quali ha esaminato il manoscritto decidendo di scartarlo:

“Non avevo a disposizione che uno solo dei quaderni del vostro libro, che aprii con mano distratta, e la sfortuna volle che la mia attenzione cadesse subito nella tazza di camomilla di pag. 62, poi inciampasse a pag.64 nella frase ( la sola del libro che non so spiegarmi) in cui si parla di una fronte da cui traspaiono le vertebre”

La lettera si chiude con una supplica:

“Non me lo perdonerò mai- ed è soltanto per alleviare un poco il dolore che mi confesso a voi questa mattina- supplicandovi di essere più indulgente con me di quanto sia io stesso”

E’ noto poi come andarono le cose: la Nouvelle Revue Francaise, per il tramite di Gide, offrì a Proust di riscattare il primo volume da Grasset e di pubblicare i volumi successivi.

CONTINUA NE IL MESTIERE DI LEGGERE

Filippo Cusumano

Il paese dei soprassalti emotivi : caos rifiuti, morti sul lavoro, moratoria sull’aborto.

Cresce il disagio di vivere in questo paese.Alle inquietitudini di sempre sulle cose che non vanno, si aggiungono in questi giorni quelle legate a tre vicende, lontanissime tra loro, ma anche legate da un filo comune.

La prima è la polemica sulla moratoria dell’aborto.

Nasce come una crociata ideologica, ma Il problema della bassa natalità, che oggettivamente esiste, va affrontato non con i sermoni, ma in maniera concreta con interventi seri per sostenere le famiglie e superare il diffondersi del precariato.

Se il famoso giornalista che oggi s’indigna per l’aborto avesse condotto in passato battaglie di questo tipo ( ma sarebbe in tempo a farlo anche oggi!) , oggi risulterebbe più credibile.

La seconda questione è il caos rifiuti in Campania.

Anche qui molti di quelli che strepitano per le proteste legate a questo scempio sarebbero più credibili, se avessero agito per tempo, assumendosi le loro responsabilità e individuando delle soluzioni.

La terza è quella dei morti sul lavoro, esplosa con i fatti di Torino, ma mai affrontata con la dovuta serietà e il dovuto dispiegamento di forze delle autorità di controllo.

Eccolo il filo che lega le tre vicende: il nostro è un paese che ormai affronta le questioni serie solo per poco tempo e sempre sull’onda di soprassalti emotivi.

Finiti quelli, finito tutto.

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Povero Kafka! ( lettera ad una studentessa)

Lettera ad una studentessa che sta preparando una tesi su Kafka:

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“Cara G.

             non puoi dire che Kafka è soltanto

“uno degli scrittori più

rappresentativi di inizio novecento”!!!.

Mi sembra un giudizio tiepido e ingeneroso.

Kafka non solo è il dominatore della letteratura del 900 , ma anche l’interprete più autentico delle inquietitudini di quel secolo( tra l’altro ancora in parte presenti in questo!).

Proust che pure, a mio avviso, lo sopravanza di poco e che ha scritto le sue opere più importanti esattamente nello stesso periodo ( La strada di Swann è del 1914) non è così moderno e attuale come lui riesce ad essere ancora adesso a 90 anni da quando ha scritto.

Più calore, cara G. , per il povero Kafka!

Era un impiastro totale come uomo e come fidanzato, lo so e questo forse ti condiziona nel giudizio ( lo vorresti più uomo).

Ma la sua grandezza sta proprio in questo. Se la sua capacità di scrittura ed il suo enorme talento visionario, avessero avuto alle spalle una visione serena dell’esistenza, sarebbe stato un piacevole giocoliere della parola, non un titano della letteratura.

Pensa piuttosto alla sfiga di quelli che sono scontenti e tormentati e non sono nemmeno in grado di raccontarlo decentemente !

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Se la ricetta per diventare un grande scrittore fosse solo quella di avere un padre invadente, uno schiacciante senso di colpa, una fidanzata ansiosa di convolare a “ingiuste nozze”, una madre impicciona e una salute cagionevole, troppi ce ne sarebbero di grandi scrittori!

Da parte mia, non avendo il talento dello scrivere, almeno posso consolarmi della mia visione non catastrofica della vita, di aver risolto per tempo “il conflitto con il Padre” e di avere una discreta salute.

A presto.

F.