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La forza della Rete

In che modo sta cambiando il modo di costruire l’informazione?

Una volta l’informazione era il prodotto di un solo artefice. Il giornalista andava a cercare la notizia, la riportava su un giornale e quel giornale diventava il mezzo di divulgazione di quella informazione.

Niente filtrava di quella notizia, se non in ambiti estremamente circoscritti prima dell’intervento del giornalista, che era di fatto “scopritore” e “diffusore” dell’evento che solo grazie a lui e al suo intervento diventava di dominio pubblico.

La televisione non aveva cambiato questo aspetto della catena di distribuzione delle news.

Il “demiurgo”, lo scopritore di notizie era sempre il giornalista:  semplicemente il mezzo televisivo era enormemente più potente e pervasivo di quello cartaceo e aveva a sua disposizione la forza delle immagini filmate.

Oggi è evidente che la catena di produzione delle informazioni è radicalmente cambiata rispetto all’epoca, ancora a noi così vicina nel tempo, del giornalista “demiurgo”.

Ce lo dice con grande incisività e chiarezza l’ultimo libro di Michele Mezza “Sono le news, bellezza! Vincitori e vinti nella guerra della velocità digitale” ( Donzelli editore)

Siamo all’inizio di un processo di liberalizzazione dell’individuo– ci dice l’autore, eminente giornalista e docente di Scienza della comunicazione all’università di Perugia e di Roma- di ogni individuo, che ci porterà a riconfigurare ruoli e figure sociali . A cominciare dagli intellettuali, che non a caso, sono i più scettici”.

La rete, lo puntualizza già Derrick De Kerckhove nella prefazione, è diventata in brevissimo tempo il luogo in cui si costruisce grandissima parte dell’informazione.

La fabbrica e non solo la piattaforma di distribuzione.

Ci sono stati anni, lo ricordiamo tutti, in cui Internet sembrava un’opportunità per pochi, uno strumento per professionisti, per iniziati.

Ve la ricordate l’epoca della cosidetta bolla specutiva legata alla new economy? Stiamo parlando di appena una decina di anni fa….

Era l’epoca in cui bastava avere la notizia che un’azienda aveva creato un suo sito, magari anche un semplicissimo  accesso informatico, per vederne schizzare alle stelle il titolo.

Poi quella bolla si e’ sgonfiata anche perchè ci si e’ resi conto che quel modo di lavorare non solo era “necessario” per tutti gli addetti ai lavori, ma era anche semplice e alla portata di tutti.

Chi di noi in quegli anni, sentendo un amico o un vicino vantarsi di avere un blog, non pensavamo a lui come ad uno “smanettone”, ad una persona cioè dotata di grandissime tecnicalità lontanissime dalla nostra portata?

Salvo poi scoprire, una volta entrati in punta di piedi in quel mondo, che aprire un blog è cosa semplicissima e alla portata di tutti.

Piano piano quei siti e quei blog,  nati come sede di distribuzione e di commento delle notizie acquisite dal giornalista demiurgo sono diventati, però, fabbrica di notizie a loro volta.

Insomma la rete in brevissimo tempo da vetrina di esposizione delle news e’ diventata fabbrica, il luogo in cui quelle news vengono “prodotte”.

E il grande comunicatore di massa, il giornalista della carta stampata e della tv, che conserva- chissà ancora per quanto- il privilegio di disporre dei mezzi più potenti- da scopritore della notizia è diventato prevalentemente “selezionatore” delle notizie “scoperte” o lanciate da altri.

E’ il tramonto del giornalismo?

No, è semplicemente una mutazione genetica.

Un cambio di passo necessario per chi fa questo mestiere.

Maneggiare le teconologie informatiche diventa una necessità, lo strumento principe,  non più una semplice  opzione.

Quello che una volta si definiva il fiuto giornalistico, cioè la capacita’ di scoprire la notizia, adesso è diventata la capacità di pescare nel mare magnum della rete, con il compito non facile di distinguere, nel mare magnum della rete, le notizie vere dalle bufale.

Senza dimenticare che anche una bufala, quando sono in molti a crederci perchè ben costruita  e ben distribuita attraverso la rete, può diventare una notizia….

Chiudo citando un passo di un’intervista fatta da Grazia Gaspari a Michele Mezza per il giornale on line AGORAVOX:

Michele, un’idea di fondo gira, appunto, per questo libro: la rete non è una vetrina, ma una fabbrica, e chi non lo capisce la subisce e non la sfrutta nelle sue vere potenzialità. Cosa comporta praticamente?

In politica, ad esempio, molto. Proprio in questi giorni abbiamo sotto i nostri occhi una straordinaria storia della rete: la rivoluzione egiziana. Al Cairo, come a Tunisi, si è visto che la rete non è solo un megafono, ma è opratutto un soggetto sociale, un luogo che forma identità e bisogni. In piazza e’ scesa la “gioventù connessa” egiziana che rivendicava spazi alle proprie ambizioni.

La stessa cosa vale per la grande manifestazione della donne di domenica scorsa “Se non ora quando?”, una manifestazione sostanzialmente preparata e sbocciata in rete. Nessun giornale o tv ne aveva parlato, nessuna agenzia di stampa. Eppure un milione di persone sono scese in piazza in tutta Italia. Non solo, decine e decine di manifestazioni si sono svolte in tutto il mondo… Tokio compresa.

FILIPPO CUSUMANO

Masi parte baldanzoso, poi arretra, balbettando.

Parte baldanzoso Mauro Masi.

Crede di intimidire Santoro.

Lo ammonisce severo.

Gli dice chiaramente che la trasmissione che sta per fare non e’ conforme alle regole che la Rai ( berlusconizzata quasi del tutto)  si e’ data in questi ultimi tempi.

Insomma, tenta una censura preventiva.

Cioè tenta di fare una cosa che tempo fa, quando ancora gli rimaneva un briciolo di dignità, si era rifiutato di fare.

“La censura preventiva?” – aveva detto – “Roba da Zimbawe!”

Ma ieri sera, si vede, lo Zimbawe era molto più vicino all’Italia di quanto lo sia mai stato ( con tutto il rispetto per lo Zimbawe, ovviamente).

Partito baldanzoso e sicuro di sè ( in fondo si trattava di sbattersi sotto i tacchi un dipendente) Masi, diciamolo con chiarezza, ha fatto probabilmente nell’orario di massimo ascolto e con uno share altissimo, la figura più penosa della sua carriera.

Non solo Santoro non e’ arrestrato di un millimetro, ma lo ha costretto a battere in ritirata, a balbettare, a coprirsi di ridicolo.

Da ieri sera il “soldato” Masi è un po’ piu’ solo.

Vedi il resto dell’articolo su Agoravox:

Nomine Rai, interviene Gasparri, l’ultimo cinquantenne al mondo che si diverte con i Lego e i Playmobil…

Il sindacato dei giornalisti Rai si rivolge al capo dello Stato per segnalare la “preoccupazione” che le scelte dei nuovi vertici delle testate possano non assicurare “imparzialità e pluralismo”.
Il Cda della Rai, su proposta del direttore generale Mauro Masi- scrive il Sindacato- potrebbe quanto prima varare le nomine. Nonostante le dichiarazioni e i nostri auspici di valutazioni autonome, continuano i pronostici legati a nomi fatti al vertice che si è tenuto nell’abitazione privata del presidente del Consiglio. Sono molti i nomi esterni al servizio pubblico radiotelevisivo e cresce la preoccupazione dei giornalisti Rai per l’imparzialità e il pluralismo.”

Chi risponde a questa lettera?
Non il Capo dello Stato che ne è il destinatario, ma Maurizio Gasparri, l’uomo che  tutto il mondo ci invidia per la sua proverbiale intelligenza.
playmobil_4655Un uomo che puoi lasciare la mattina in casa con qualche album da colorare e trovare alla sera con le manine impiastricciate di colore, ma felice.
L’ultimo cinquantenne al mondo che ancora si diverte con i lego e i play mobil.
L’anello di congiunzione tra uomo e scimmia .
Mau (così lo chiamano all’asilo)  ha detto:

“Quella dell’Usigrai è una sorta di intimidazione molto grave, così si rende un servizio alla concorrenza”

coloriamoPeccato che il servizio alla concorrenza lo abbia già reso Mau stesso qualche anno fa con una legge che porta il suo nome, ma che lui manco ha letto ( era troppo occupato a “colorare” e a giocare con le figurine).

Berlusconi fa il “liberale” sulla presidenza Rai, ma Franceschini lo smaschera.

berlusca-gialloviola-copiaBerlusconi sulla presidenza Rai dice :

“Ora tocca alla sinistra.Per De Bortoli avevamo dato il nostro benestare, invece lui ci ha ripensato . Noi non abbiamo un altro candidato. Ora il nome ce lo devono dare i signori della sinistra”.

A stretto giro di posta  la replica del segretario del Pd Dario Franceschini:

Pensavo che la legge imponesse la ricerca faticosa di un nome condiviso tra maggioranza e opposizione, richiedendo i due terzi della commissione di Vigilanza per eleggere il presidente della Rai. Se invece Berlusconi intende dire che accetterà qualsiasi nome dall’opposizione, ho molte idee in proposito”.

Dopo di che propone Petruccioli e Berlusconi risponde di no.

Il che dimostra due cose.

Primo: che Berlusconi cerca di dare a bere agli italiani che lui è un liberale (“scelga l’opposizione”) quando invece non lo è per niente.

Secondo: che non è vero quanto ha detto circa il fatto di non essere rancoroso. Lo aveva detto a proposito di De Bortoli, con il quale aveva avuto dissapori, che poi “magnaninamente” aveva accettato come Presidente”.

La realtà è che ha una memoria di elefante. Non perdona niente e nessuno, non vuole Petruccioli per un motivo molto semplice: ha difeso la dignità della Rai all’epoca dello scandalo delle intercettazioni Saccà e Bergamini.

Insomma le solite giravolte penose.

Ha fatto bene Franceschini a mettere con le spalle al muro il Grande Bugiardo.

Sei sleale e scorretto? Grazie al Porcellum, puoi pure diventare onorevole…

bergaminiPiccola storia esemplare.

La storia riguarda l’onorevole Deborah Bergamini, giovanotta rampante che ha fatto carriera grazie alla sua “lealtà” al dominus di questa cosidetta seconda Repubblica, che si sforza, riuscendoci alla perfezione, di essere più immorale della prima.

Assistente di Berlusconi per diversi anni, Deborah, grazie a questo “curriculum” diventa dirigente in Rai.

Il suo campo d’azione, ufficialmente, è il marketing.

Tempo fa ha un incidente di percorso, che la dice lunga sulla sua lealtà al suo ex capo, ma che, purtroppo, rivela la meno commendevole slealtà nei confronti dell’ente che la paga, tra l’altro con i soldi di tutti noi.

C’è un inchiesta in corso su un caso di bancarotta fraudolenta e la giovanotta viene intercettata.

Grazie a queste intercettazioni, pubblicate su tutti i giornali, sappiamo oggi di quali questioni di marketing si occupava la signora.

Un esempio: muore papa Woytjla e Deborah si attacca al telefono e parla con Berlusconi e con alcuni manager tv di Mediaset.

A che scopo? Concordare le modalità di diffusione della notizia.

Proprio così: la preoccupazione della zelante Deborah era “dare alla gente un senso di normalità per evitare che ci fosse un forte astensionismo alle imminenti elezioni” nella convinzione che questo eventuale astensionismo potesse danneggiare in particolare il centrodetra.

Cosa c’entri queste manovra con le sue responsabilità di dirigente del Marketing, la giovane Debby non è mai riuscita a spiegarcelo.

In compenso, non appena diffuse le intercettazioni, ha assunto un atteggiamento da donna violentata e offesa.

Ha lasciato la Rai, ricevendo però una liquidazione di 390.000 euro ( fonte Repubblica). Ha quindi approfittato del porcellum per farsi eleggere ( ci fosse stato il voto di preferenza, forse anche i più sfegatati aficionados di Silvio avrebbero avuto qualche remora a premiare un comportamento così ambiguo).

Finita in parlamento la giovane Deborah è in questi giorni tornata agli onori della ribalta.

Una intuizione di marketing? No. Il suo campo adesso è diventato il diritto penale.

La giovane Deborah si fa promotrice di un emendamento che peggiora la legge Alfano, in discussione alla camera. In cosa consiste questo emendamento? Semplice, stabilisce una pena di tre anni di galera per i cronisti che pubblicano intercettazioni penalmente irrilevanti.

Ora, è vero che le intercettazioni di cui è stata protagonista la zelante Deborah non avevano rilevanza penale.

Ma possiamo censurare i giornalisti che le hanno pubblicate? Non credo, Deborah non lavorava da un gommista o in una drogheria, era dirigente in un’azienda pubblica pagata con i soldi di tutti noi. Sapere se faceva il suo lavoro correttamente, cioè negli interessi della sua azienda, o scorrettamente, cioè “tubando” con la concorrenza, non è una notizia priva di interesse per il pubblico.

Insomma questa è la storia esemplare sulla quale è bello e istruttivo ( come diceva Giovannino Guareschi) soffermarsi a riflettere oggi.

Si parla tanto di ricambio generazionale, di riconoscimento dei meriti, di fuga di cervelli all’estero .

Il caso Bergamini ci dà una speranza in più.

La professionalità, la competenza, la dedizione pagano sempre…

Villari morirà ( politicamente), ma seduto fino alla fine su una Poltrona!

villari1Roberto Villari resta  nella trincea della Vigilanza Rai, malgrado le  pressioni. La richiesta è che lasci spazio all’intesa faticosamente raggiunta tra Pd e Pdl per la presidenza di Sergio Zavoli.

Il primo ad  intervenire è Fini, che.  in una nota, ha richiamato  Villari alla «responsabilità politica», : «Rassegni le dimissioni per garantire piena funzionalità alla commissione ».

Fini
, dal suo ruolo di presidente della Camera, rompe il muro del centrodestra che, fino a quel momento, aveva rinviato la palla nel campo del Pd.

«È un problema loro», avevano detto i capigruppo parlamentari del Pdl.

Ma, a stretto giro, su Villari interviene anche Schifani: il suo compito «si è positivamente concluso, ora si dimetta».

Infine, in serata perfino Silvio Berlusconi mette nero su bianco. «Maggioranza e opposizione – scrive il Cavaliere – hanno condiviso e concordato la designazione del senatore Zavoli  a presidente della Vigilanza. Il senatore Villari può dirsi soddisfatto di avere in fondo contribuito a determinare queste condizioni e può quindi serenamente rassegnare le dimissioni convinto così di rendere un servizio alle istituzioni».

Ma Villari non molla. Ormai ci ha preso gusto alle Luci della Ribalta.

Vuol fare fino all’ultimo Il Cavaliere della Valle Solitaria.

Sa di essere ormai l’unica vittima ( grazie anche alla sua slealtà e ostinazione) di questa squallida pochade, sa di essere ormai morto ( dal punto di vista politico) ma ci tiene a morire seduto su una poltrona.

Verrebbe da tifare per lui perchè ti viene il sospetto che abbia ragione uno che  riesce ad avere contro praticamente tutti gli uomini politici di questo paese.

Ci asteniamo dal farlo ( cioè dal tifare per lui) solo perchè sappiamo che in fondo Villari non combatte per un ideale.

E’ solo l’ultimo squallido epigono di Mastella, vittima come il suo maestro di una Eterna Illusione: quella di credere che il fatto di primeggiare in una vallata della Campania o in un rione di Napoli dia il diritto di brillare e contare a livello nazionale.

Un democristiano piccolo piccolo.

villariRiccardo Villari, il democristiano piccolo piccolo, salito improvvisamente alla ribalta per effetto della nomina a Presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, ha fatto suo il motto di Borrelli: RESISTERE; RESISTERE; RESISTERE.

“L’invalicabile linea del Piave” in questo caso, però, è una poltrona.

Poltrona arrivata senza che l’interessato avesse osato sperarla prima, consapevole com’è, forse lui prima di tutti, delle proprie qualità modestissime.

Il fatto è che la fortuna si è accanita contro di lui, complice la scarsa accortezza dell’opposizione, incapace di cambiare senso di marcia perfino in vista di un burrone.

A quella poltrona, il democristiano piccolo piccolo si abbarbica.

Si fa corteggiare da tutti, finge stress per le telefonate importanti che riceve, chiede appuntamenti ai presidenti del Parlamento e perfino al Presidente della Repubblica ( che giustamente lo manda a stendere), insomma fa finta di essere un uomo politico di primo piano invece delll’oscuro politicante che è sempre stato.

E’ l’eroe del giorno.

Un eroe tipico di questo paese in declino. Cosa non si fa per una poltrona…

Silvio dica “cumandi mì” oppure ha i giorni contati, parola di Kossiga.

COLLOQUIO TRA IL PRESIDENTE EMERITO E RENATO FARINA ( rileggiamo un’intervista uscita su Libero il primo luglio)

L’agente Betulla, alias Renato Farina, intervista Francesco Cossiga a Lugano per Libero

Presidente Cossiga, che fa? Chiede asilo in Svizzera come gli anarchici? Fugge dal regime berlusconiano?

Non sono mai stato così berlusconiano come adesso! Non l`ho votato, mai. Ma oggi, e con ritmi travolgenti, si sta preparando quello che un grande giurista, storico e politico francese di parte repubblicana considerava il peggiore dei governi ;il “governo” dei giudici, anzi peggio: dei pubblici ministeri. E la sinistra del nulla, quella veltroniana, si è alleata all`Italia dei Valori, con la parola d`ordine “o adesso o mai più” per travolgere Berlusconi.

Dalla Svizzera si vede persino meglio.

Ma torno: da vecchio, però con le tante cose che so e che ho imparato, mi batterò per impedirlo.

Prospettive di vittoria?

Scarsissime. Se cedo al pessimismo, direi che Berlusconi durerà quattro mesi. Difficilissimo possa durare per il tempo della intera legislatura. Oltre al Partito democratico e a quello di Di Pietro, che sta diventando un partito di provocazione permanente, si è schierata contro di lui anche la grande stampa, il Tgl, il Tg3, La7 e perfino Sky!, le grandi banche: da Intesa-Sanpaolo al Gruppio Unicredit, e al Monte dei Paschi di Siena: solo Cesare Geronzi gli è rimasto amico.Dopo la vittoria straordinaria del 13 aprile, arciconfermata in Sicilia, lo schieramento avversario ha visto in lui, nella persona di Silvio, il punto debole: e lo martella da ogni parte, con i giudici, con il gossip, con qualsiasi mezzo. Cacciato via con ignominia Berlusconi il centrodestra cadrà in una grande crisi. E arriveranno loro. Non la sinistra. Ma la sinistra che porta obbediente in sella i pm.

La grande stampa? Repubblica si vede.Ma il  Corriere ospita editoriali che meritano la furia da Belfagor di Scalfari e di D`Avanzo…

Il gruppo di Repubblica-Espresso è arrivato alla determinazione “da soluzione finale” o “fine di mondo”:tutto è buono, per uccidere il tiranno.La Stampa si è incattivita. La Rai è ostile, teme un repulisti e i tagli. Capisce che Silvio è debole e si adegua.

Il Corriere…

«E vero, il Corriere sembrava votato a una certa equidistanza. Il direttore Paolo Mieli aveva ammesso l`errore dell`endorsement filo Prodi. Ma ora è passato all`opposizione. Mieli è molto abile amascherare la scelta. La prima pagina ospita commenti alternati, uno pro e uno contro: ma le pagine interne sono costruite a partire da gossip che traducono in linea editoriale la politica veltroniana del nulla, del chiacchiericcio demolitivo sempre orientato in un certo modo».

Veltroni, sempre Veltroni. E D`Alema?

«Veltroni è ìl riformismo del nulla. Si è lasciato convincere che ora-o-maipiù.Da qui la sua lotta politica fatta dì gossip e attacchi forzati. In questo gioca anche l`integralismo cattolico di Dario Franceschini. I Red del mio amico Massimo D`Alema sono opposizione, ovvio: ma è una opposizione politica. D`Alema ora ha subito un avvertimento con l`assoluzione del gip Clementina Forleo da parte del Consiglio superiore della magistratura.Ciò significa la volontà di consentire al Parlamento europeo il via libera all`uso delle sue intercettazioni con la motivazione fornita dalla Forleo: e cioè che erano parte di un disegno criminoso. Il Csm in pratica avvalla il rinvio a giudizio di D`Alema…» .

Non mi convince il suo discorso sul Corriere. Possibile che sia tutto contro?Ci sono un sacco di proprietari lì dentro

«L`unico ormai che stia con Berlusconi è Geronzi e Mediobanca con lui. MaGeronzièin ambasce, si sente insidiato dai due amministratori delegati, tra cui uno – Nagel – è un feroce nemico di Berlusconi e del centrodestra, ma prima di tutto di Geronzi e tresca con Bankitalia per cacciarlo via! I quali hanno un nemico ancora».

Chi?

«Il governatore di Banca d`italia Mario Draghi».

Non me ne parli.

«Se lei ha timori, io no. Questo signore che fu speculatore internazionale si sta dando arie da ministro di economia e finanze, mette in difficoltà Berlusconi in tutti i consessi internazionali.Non ha ancora preso posizione contro Giulio Tremonti perché non può andare neanche lui contro l`evidenza di un impegno serio di risanamento preso dal Valtellinese:ma non ha preso posizione, aspetta a vedere la caduta del governo e poi…» .

Mi scusi, ma lei ebbe una parte nella scelta di Draghi. 0 mi sbaglio?

«Vero. Ho una grande responsabilità.Avessi dato retta a Ciampi, contrario, non sarebbe lì. Ma vorrei essere presidente del Consiglio per 48 ore per cacciarlo, e ne fornirei motivazioni indiscutibili».

Detto questo. Dove cadrà Silvio? Sulle intercettazioni?

«No. Le usano per screditarlo moralmente.Ne usciranno di peggiori, mescolando sesso e raccomandazioni.Ma alla fine, qualunque cosa salti fuori, basta che non siano perversioni, gli italiani sono cattolici e comprendono le debolezze della carne. Lo sapevano anche prima che Berlusconi è capace di fare palate di soldi e di prendersi una fidanzata al giorno. Qui il veltronismo gossipparo è debole e forse indebolirà se stesso».

Di Pietro ha dato dei magnaccia a Silvio. Ricorda precedenti?

«Un simile insulto non era mai stato pronunciato sulla scena politica italiana. Oltretutto è tecnicamente sbagliato: non mi pare proprio che Berlusconi ci abbia guadagnato con le ragazze, non ci ha magnato sopra, semmai loro… Sconsiglio però a Berlusconi di querelarlo: perderebbe il processo, sicuro come l`oro. No, non cadrà sul sesso. Cadrà sui processi di Milano e di Napoli. Anzitutto Milano. Io ho raccolto una documentazione impressionante sulla Gandus, il giudice che dovrà giudicarlo sul caso Mills, l`ho proposta in un`interpellanza al governo. Ma la Corte d`Appello non accetterà la ricusazione. La Corte costituzionale in un attimo annullerà il lodo Schifanibis. Berlusconi, con la sua viva voce, mi ha confermato che in caso di condanna si dimetterà. La sinistra non vuole, per rosolarlo a fuoco lento. Per distruggerlo quando in un consesso internazionale, un leader estero gli negherà il saluto o si dirà imbarazzato».

Scusi ma non ci credo. L` ala marciante dei magistrati e la sinistra avranno molte frecce, ma sono divise, e devono fare i conti con un larghissimo consenso pro-centrodestra.

«L`opposizione è divisa, ma secondo un vecchio principio sperimentato già nel6-700, uno Stato debole all`intemo cerca di compattarsi creando un nemico esterno. Faranno di tutto.Appoggio massiccio della gran parte della magistratura e di chi tra le toghe comanda: l`Associazione nazionale magistrati, vero organo supremo, il suo organo servente, il Csm, e il cavalier servente, quella vecchia volpe democristiana di Nicola Mancino, il quale è convinto che la sinistra premierà la sua faziosità con il laticlavio a vita».

Se non altro la coalizione di destra è compatta.

«Sicuro? Anche il centrodestra mostra crepe. An non è più tanto convinta di andare al partito unico; tanto che a Denis Verdini che avevalanciato l`idea di convegni costituenti già in settembre, hanno risposto ai massimivertici dicendo: andiamoci piano.Nella Lega due anime: una berlusconiana, l`altra finto berlusconiana, capeggiata da Maroni, che fa di tutto per mettere la Chiesa contro Berlusconi.Manca solo che proponga il taglio della falange per i bambini rom e il lobo dell`orecchio agli adulti per renderli . riconoscibili. Così, quando Berlusconi sarà sotto tiro, sarà debole dove finora è stato forte:la Chiesa italiana e il suo associazionismo “ortodosso”».

Ma no, Maroni è serio. Sa spiegare le sue scelte in modo civile.

«Maroni è stalinista. Ha il cuore che batte a sinistra. Quando Silvio si dimetterà, è pronto a convincere Bossi (che ha già cercato di sostituire quando ha avuto l`infarto nel 2004, parola dell`ottimo Calderoli) ad aderire ad un governo che ottenga.in questa legislatura il federalismo fiscale. Il governo sarà capeggiato da Mario Monti o da Pier Ferdinando Casini (benvisto a questo punto dalla Chiesa, e non si capisce perché), ci sarà la sinistra, l`Udc, la Lega e parecchi transfughi del Popolo della libertà.Non io! Non io!».

Dove ha sbagliato e dove sta sbagliando Berlusconi? C`è spazio per la controffensiva?

«Ho l`impressione netta che non si sappia e non si voglia difendere. Detta grida manzoniane inutili, o – lo lasci dire – cazzate. Cede su tutto. Siamo dinanzi al primo governo nel quale il presidente del Consiglio ha ceduto i ministeri della forza aperso ne che hanno loro disegni. La difesa è in mano a Ignazio La Russa, che è mio amico, ma intende l`esercito come una specie di sua polizia privata, tutta picchetti e fez, con una certa nostalgia di Farinacci. Di Maroni ho già detto. Fa gestire il ministero più delicato, quello della Giustizia, a un suo avvocato, Niccolò Ghedini. Ilquale prima ha tagliato la strada e Marcello Pera, poi voleva a quel po- sto Elio Vito, infine ha optato per Angelino Alfano, un caro ragazzo, ma è un bambino tra i lupi. Ghedini ha estromesso gli altri avvocati di Silvio, e sta giocando una sua partita che temo porti allo schianto».

Ghedini ha avuto eccellenti idee sulla legge per rimandarei processi e…

«Fermati. Parlo io qui. La legge sulle intercettazioni è un evidente tentativo di captatio benevolentiae verso i giudici. Si puniscono solo i giornalisti e gli editori: è ridicolo oltre che ingiusto.Così i magistrati per trattare non vanno dal mio caro Angelino cui voglio bene ma da Ghedini. Berlusconi lascia fare. Cede su tutto e con tutti».

Potrebbe andare in televisione, spiegarsi agli italiani.

«Potrebbe e dovrebbe. È capace però di fare un discorso politico? Saprebbe mostrare, al di là del suo caso personale, come questo suo caso riguardi davvero tutti. Ed è proprio così. C`è in ballo davvero lo Stato di diritto, la democrazia. Ma sarebbe capace?».

Potrebbe dire: non ci sto, non ci sto come Oscar Luigi Scalfaro quando cercarono di convocarlo i magistrati per i soldi del Sisde.

«Fece una pessima figura».

D`accordo. Ma riuscì nello scopo: la sfangò.

«Ci sono queste differenze: Scalfaro era presidente della Repubblica, era magistrato, e di sinistra. E perciò la grande stampa era con lui. Poteva permetterselo. Berlusconi verrebbe spazzato via».

E allora?

«Allora Berlusconi deve capire che o combatte adesso o mai più, ma senza isterismi. Riprenda in mano anzitutto il suo governo. Non lasci più fare agli altri».

Insomma dica: cumandi mì.

«E soprattutto lo faccia. Anche se forse è tardi. Ma lo faccia. Glielo chiede l`unico neo-temporaneo- berlusconiano che si intende di politica. E gli do un consiglio finale: approvi fino d`ora per decreto legge il federalismo fiscal e. Così la Lega non avrà più pretesti o alibi per abbandonarlo in caso di condanna».

Moralisti vil razza dannata….Povero Saccà, in fondo che ha fatto?

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Agostino Saccà, a capo di uno dei settori nevralgici dell’azienda televisiva pubblica, ha parlato ripetutamente dei suoi progetti con il proprietario dell’azienda concorrente.

In qualsiasi Azienda questo episodio sarebbe più che sufficiente per deciderne il licenziamento in tronco.

Invece…

Invito a leggere l’articolo di Michele Serra di oggi su Repubblica.

Parla del vuoto morale che ormai spinge buona parte del paese a considerare normali le cose ripugnanti, parla del conflitto di interessi, definito padre di tutti gli arbitrii, del ruolo di supplenza morale che ormai ha di fatto assunto, impropriamente secondo alcuni, la magistratura.

Descrive un paese ormai incapace di decidere, insicuro di sè, rassegnato.

L’etica in appalto

di MICHELE SERRA

DEI MILLE “casi” italiani, pochi come quello dell’alto dirigente Rai Agostino Saccà ci aiutano a capire lo spaventoso carico di lavoro che la nostra comunità, per sua ormai conclamata inettitudine etica, ha scaricato sulle spalle della magistratura.

Convogliando nell’eterna lite “sulla giustizia” questioni la cui soluzione avrebbe dovuto e potuto precedere, e di molto, il loro acido e limaccioso sbocco giudiziario: di qui (anche) l’abnorme peso che il dibattito sulla giustizia ha via via assunto, fino a (quasi) soffocare tutto il resto.

Questa volta è toccato al pretore del Lavoro occuparsi di un contenzioso che, di suo, non presenta soverchi misteri. Saccà, a capo di uno dei settori nevralgici dell’azienda televisiva pubblica, ha parlato ripetutamente dei suoi progetti con il proprietario dell’azienda concorrente.

Trattando questioni vuoi infime vuoi importanti, e comunque tali, per loro natura, da non potere essere oggetto di colloquio con il competitore industriale.

Tanto basterebbe a qualunque azienda, in qualunque Paese dove il mercato ha qualche regola e una sua anche lasca moralità interna, per essere costretta ad allontanare il suo dirigente colto in così grave fallo.

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Di più: tanto dovrebbe bastare a quel dirigente per considerare inappellabilmente tradita la fiducia dell’azienda, deontologicamente illecito il suo comportamento, urgenti seppure dolorose le sue dimissioni.

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Invece…

Si è lungamente discusso delle riconosciute capacità professionali di Saccà: come se c’entrassero qualcosa. Lo si è difeso oppure attaccato a seconda della sua collocazione politica: come se c’entrasse qualcosa. Si è discettato su toni e esiti dei colloqui con Berlusconi: come se c’entrassero qualcosa.

E mano a mano che la vicenda sprofondava nel suo ambiguo, causidico contesto (la Rai, il suo assoggettamento ai politici, il conflitto di interessi), è andata via via sfumando, come sempre più spesso capita, la sostanza del contendere: può un dirigente dell’azienda X trattare di cose aziendali con il proprietario dell’azienda Y (per giunta presidente del Consiglio: ma questa, nel caso in questione, è solo una grottesca variante)? Se la risposta è no, il caso è drasticamente chiuso. Ma la risposta, evidentemente, non è stata no, o perlomeno non lo è stata per tutti. Neanche in Rai, dove Saccà ha molti e loquaci difensori, di ogni parte politica.
La risposta, per dirla tutta, manca.

Manca nelle coscienze di molti.

Manca nelle abitudini e nei costumi del cosiddetto Palazzo (dove si tratta con tutti e su tutto, senza che mai echeggi la salvifica frase “mi scusi, ma di queste cose non posso parlare con lei”).

Manca nel costume sociale, dove il favore, l’amicizia, la protezione, la raccomandazione sono da tempo la solida prassi che supplisce al totale relativismo della teoria.

E manca, evidentemente, anche la domanda: questo comportamento è lecito o illecito? È giusto o sbagliato? Tecnicamente, questo e solo questo è l’etica: domandarsi se un atto, specie se compiuto da noi stessi, è giusto o sbagliato.

Poiché questo genere di domande precede la nascita del caso giudiziario, e magari lo disinnesca prima che esploda, è facile capire che il gigantesco viluppo di carte bollate, cause, procedimenti, ricorsi che ammorba il paese, è causato dalla quasi totale assenza di quel sano, utilissimo momento pre-giudiziario che è l’etica. E se nessuno osa sperare di vivere in una comunità semi-santificata, nella quale la magistratura debba intervenire solo in rari e gravissimi casi, tutti dobbiamo però sentirci atterriti dalla spaventosa, crescente “giudiziarizzazione” di tutto ciò che giace irrisolto a causa della impressionante assenza di un’etica condivisa, di domande e risposte che surclassino, nella coscienza collettiva, le opinioni politiche, e perfino le sentenze della magistratura.

Tanto è vero che metà del Paese vive nell’attesa messianica, e giustamente frustrata, di una qualche carta da bollo che arrivi a decapitare il padre di tutti gli arbitrii, che è il conflitto di interessi.

E l’altra metà è convinta che le carte della giustizia siano solo una subdola, sordida arma politica. A tanto si può arrivare quando il corpo sociale nel suo complesso non possiede più un giudizio proprio sulle cose pubbliche e pure private (vedasi i sorrisetti compiaciuti che fanno corona al disgustoso casting di amichette-attricette).

È in fondo a questo vuoto morale, è al termine di questa mancata tutela di se stessi e dei propri atti, che il giudice, di ogni ordine e grado, si ritrova così spesso nel poco salubre, poco sereno ruolo del supplente morale e peggio del fiancheggiatore politico, quasi spodestato della sua rassicurante aura tecnica, della sua professione di interprete delle leggi, per finire scaraventato in una faida che, partendo dal cuore politico del Paese, sta risalendo anzi è già risalito fino alle venuzze periferiche del favore sessuale, del maneggio professionale, dell’inciucio aziendale.

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Agostino Saccà è un eccellente dirigente televisivo.

Ma ha gravemente sbagliato.

Ora questo errore, come tante altre cose, è diventato trafila giudiziaria, guerra di ricorsi, duello di sentenze. Cioè non è più un errore. È un oggetto giuridico, è materia che la nostra collettività non è più in grado di maneggiare con qualche serenità, con qualche buon senso. È una domanda, è una risposta che sono state appaltate alla magistratura come ennesimo segno di impotenza a fare da noi, a regolarci tra noi.

Povero il Paese che non è capace di risolvere più niente, decidere più niente, e soprattutto giudicare più niente fuori dalle aule di giustizia.

Gli applausi e gli sputi: le due vite di Enzo Tortora

Sperling & Kupfer, 2008

Biografia singolare quella scritta da Vittorio Pezzuto su Enzo Tortora.

Singolare perchè è stata singolare , senza che lui lo volesse o prevedesse in alcun modo, la vita di Enzo Tortora.

Giovane di bell’aspetto, colto, dotato di un eloquio brillante e sciolto, a poco più di trent’anni Enzo Tortora è un divo della televisione.

I guadagni non sono certo quelli di adesso, ma l’attenzione nei confronti di chi lavora in tv, in quegli anni è enorme. Tutti guardano una sola tv e di quella tv un solo canale.

Sono gli anni di Mike Bongiorno, Angelo Lombardi, padre Mariano, del maestro Alberto Manzi ( quello di “Non è mai troppo tardi”) e , appunto, di Enzo Tortora.

Il quale non solo si impadronisce in fretta del linguaggio televisivo, ma ne diventa, rapidamente e genialmente, il principale innovatore ed eversore.

Trova un nuovo modo di affrontare e raccontare lo sport conducendo per anni una “Domenica Sportiva”, che abbandona con lui la veste di arido e frenetico bollettino di dati, classifiche e risultati per diventare un divertito e garbato caleidoscopio che mescola attualità, spettacolo, immagini degli avvenimenti e dichiarazioni in diretta dei protagonisti.

Ma non è un uomo accomodante, Enzo Tortora.

Quando è all’apice del successo, gli capita di definire la Rai “un baraccone”.

In poche ore ” viene fatto fuori” e si ritrova, a quarant’anni, a reinventarsi come giornalista.

Cosa che fa con grandissimo divertimento, accettando di fare il praticante alla Nazione, di cui diventa successivamente una delle firme di punta.

Affronterà, tra gli altri, il tema della carcerazione per traffico di droga a Walter Chiari e a Lelio Luttazzi, unendosi al coro di quanti in quei giorni affrontano la vicenda con tono pregiudizialmente colpevolista.

“Al centro della vicenda Chiari- Luttazzi c’era un enorme quantitativo di cocaina. Noi ci auguriamo che i due ne escano puliti, di vero cuore. Ma, se per fare pulizia occorresse spazzare loro ed altri prestigiosi nomi, coraggio, subito”

Qualche tempo dopo, quando Luttazzi viene completamente scagionato ( restando a carico di Walter Chiari solo l’accusa di consumo personale di sostanze stupefacenti) Tortora si imbatte nel libro Operazione Montecristo, cronaca dei 27 giorni trascorsi ingiustamente in carcere dal musicista presentatore.

Di getto, scrive un articolo che pretende sia intitolato “Devo molte scuse a Lelio Luttazzi” che si chiude con queste parole:

Ora Luttazzi è uscito e nella scomoda cella del rimorso c’è entrato chi scrive: fin dalla prima pagina del suo libro.”

Ritornato in Rai dopo alcuni anni, Tortora lancia Portobello, il suo programma più geniale, che avrà punte d’ascolto incredibili perfino per l’epoca del monopolio ( medie di 23 milioni di ascoltatori per ogni puntata) e che sarà la fonte di moltissimi altri programmi televisivi delle epoche seguenti fino ad arrivare ad oggi.

Tortora diventa l’uomo più ricercato della tv.

E’ antipatico a molti intellettuali, che mettono continuamente in risalto il contrasto tra la cultura e la raffinatezza dell’uomo e la natura nazionalpopolare dei suoi programmi. Milioni di italiani seguono la trasmissione, i critici televisivi e i guru dell’intellighenzia la bollano come la tv delle lacrime e dei buoni sentimenti.

Il presentatore tira dritto per la sua strada, non ha dubbi: “Non aspiro all’aristocrazia dell’ascolto, ma alla gente semplice, a quella che incontri tutti i giorni sul tram quando vai al lavoro”.

Ed è proprio quella gente semplice, incantata dal suo linguaggio levigato e dalle sue maniere garbate, che un giorno di 25 anni fa subisce il più incredibile degli shock quando vede irrompere nei teleschermi il suo presentatore preferito ammanettato come un delinquente e con gli occhi persi nel vuoto.

E’ accaduto l’incredibile: Tortora è accusato di essere uno dei personaggi cardine della Nuova Camorra Organizzata.

Una serie di pentiti, che via via cresce nel tempo, lo accusa di essere uno dei principali collaboratori di Cutolo.

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