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Razzismo ? Attenzione, ognuno di noi è il rom di qualcun altro..

Razzismo è valutare una persona non in base alle sue caratteristiche e comportamenti personali, ma per l’appartenenza ad un gruppo etnico.

Generalmente su questo gruppo etnico circolano degli stereotipi che per comodità o, appunto, per razzismo, ci piace automaticamente attribuire ad ogni persona di quel gruppo etnico.

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Sei ebreo? Niente di più facile che tu sia avido.

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Mussulmano? Difficile che l’11 settembre susciti in te lo stesso orrore che suscita in me, probabile anzi che tu quel giorno, sotto sotto, abbia goduto.

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Sei rom? Ti avranno sicuramente abituato a rubare fin da piccolo….e non solo portafogli, confessa che di tanto in tanto ti piacerebbe rubare qualche bambino.

Fin qui il gioco è facile.

Ma continuiamo…

Sei napoletano? In fondo la monnezza per le strade è anche colpa tua, sennò non si spiega perchè c’è solo da voi..

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Siciliano? Calabrese? Campano? Pugliese? Omertoso .anche se sei uno che si fa solo gli affari suoi, confessalo che dovendo scegliere tra lo Stato e quelli là, messo alle strette, sceglierai sempre quelli là.

Sei romano? Ma allora sei uno di quei pressapochisti che arrivano con tre quarti d’ora di ritardo ad ogni appuntamento!

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Voti Lega? Sei uno xenofobo.

Voti rifondazione? Faresti di tutto per tutelare i clandestini e quelli dei centri sociali che occupano le case e fanno gli espropri nei centri commerciali.

Voi, Voi, Voi, Voi ebrei, voi comunisti, voi negri, voi leghisti, voi mussulmani, voi zingari….sempre voi.

Certo, ragionare e definire le regole di comportamento delle persone partendo dall’apparteneza ad un gruppo etnico è comodo, facile, quasi riposante.

Soprattutto pratico.

Dispensa dal fare analisi più complete e più radicali, quelle alle quali avremmo diritto tutti in qualità di esseri umani singoli e diversificati.

Sono sicuro che la pensano così molti di quei meridionali, ormai in pensione da tempo, che cinquant’anni approdarono nelle grandi città del Nord in cerca di lavoro e che si amareggiavano leggendo i cartelli “Non si affitta ai terroni”.

Fossero vivi, la penserebbero così anche i loro antenati, quelli della generazione che cercava fortuna in America, quelli che venivano bloccati in massa per settimane ad Ellis island prima di ricevere il permesso di entrare in America, per essere sottoposti a severissimi test attraverso i quali,con approccio che è difficile non chiamare eugenetico, si cercava di capire chi era in grado di adattarsi al nuovo mondo e al suo nuovissimo modello di produzione fordistico ( consiglio a tutti di vedersi il bellissimo film di Crialese “Nuovomondo”,v. foto)

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Insomma, a guardar bene, ognuno è ( o è stato) il rom di qualcun altro….

Impronte ai rom: razzismo, cos’altro?

Il razzismo non è un teorema, è una cosa concreta.

Ed è facile da dimostrare, non si scappa, non ci sono dubbi o alternative.

Se tu prendi le impronte ai ladri, siano italiani o rom, fai una cosa corretta.

Se tu prendi le impronte solo ai rom, discrimini non sulla base di un reato, ma attribuendo la propensione a commetterlo a chi appartiene ad una certa etnia.

Quindi fai un ragionamento di razza ( etnos) . Sei razzista, non si sfugge.

Poi lo puoi chiamare censimento, invece che schedatura, non cambia assolutamente nulla.

E’ sempre una prassi razzista, in quanto basata esclusivamente su una discriminazione di razza.

Diverso sarebbe dire che si prendono le impronte a tutti i minori che commettono reati ( a quel punto anche se il 100% di loro fossero rom per come è stata impostata e realizzata la cosa non avremmo una prassi razzista, cioè basata sul colore della pelle o della provenienza, ma sui comportamenti espressi).

Si otterrebbe un risultato migliore sul tema della sicurezza inasprendo le pene per i reati di maggiore allarme sociale, dando maggiori risorse alla magistratura e alle forze dell’ordine, smettendo di farneticare sulle leggi bloccaprocessi, che altro non sono che amnistie mascherate.

Il fatto è che chi ha vinto le elezioni le ha vinte anche ( e in buona parte) promettendo di impegnarsi di più sulla sicurezza.

E questo nessuno lo discute.

Ma tra i correttivi che propongo io, sicuramente più efficaci, ma meno appariscenti, e la schedatura dei rom, sicuramente razzista, se si conosce l’uso e l’etimologia delle parole, prevale la seconda semplicemente perchè FA PIU’ SCENA.

E non escludo che porti consensi, in un paese sempre meno abituato a ragionare e sempre più disponibile a farsi condizionare dalla spettacolarizzazione della politica.

Il fatto è che questo governo


1)non vuole toccare la spesa pubblica ( perchè ha molti elettori che campano di sprechi)

2)non ha il coraggio di togliere ai ricchi ( nonostante tutte le prese di fondelli di Tremonti sulle Robin Tax)

E allora cosa può offrire ai ceti deboli, delusi nelle loro aspettative per quanto riguarda carovita e lavoro ( le prime due preoccupazioni secondo un sondaggio)???

Una risposta scenografica sulla sicurezza.

Quante bugie sulla sicurezza!

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Riprendo qui un articolo di Gad Lerner sulla sicurezza apparso su Vanity Fair prima dell’elezione del sindaco Alemanno. Esprime un punto di vista diventato improvvisamente minoritario e impopolare nel paese.

E’ sicuramente un importante invito a riflettere sul tema della sicurezza( e qui mi riferisco all’ordine pubblico) e , soprattutto, su quello dell’insicurezza ( e qui faccio riferimento alla psicologia).

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Non so in che misura la violenza sessuale esercitata il 16 aprile scorso dal rumeno Joan Rus su una studentessa sudafricana abbia influenzato l’elezione del sindaco di Roma.

Ma so che nel frattempo lo stupro, l’abuso e l’umiliazione si ripetono in Italia centinaia, migliaia di volte senza diventare un “caso politico”, solo perché nella grande maggioranza dei casi i violentatori sono nativi della penisola anziché immigrati.

E magari pure capifamiglia che tra le mura domestiche si sentono in diritto di spadroneggiare sulle “nostre” femmine, salvo poi comprare a modico prezzo il sesso delle straniere prostitute quando decidono di concedersi una libera uscita. Almeno un paio di volte alla settimana viene ritrovato il cadavere di una di queste poverette in una roggia o in un bosco, magari nuda e chiusa in un sacco della spazzatura. Ma state tranquilli che la politica non ci farà su comizi; i giornali ricameranno serial killer lontano dalla prima pagina; e nessun sindaco veronese invocherà la pena di morte per gli esagerati consumatori nostrani di carne d’importazione.

Come avrete capito, sono molto molto arrabbiato.

Vedo l’Italia diventare razzista e becera.

Vedo i giornali, nessuno escluso, pubblicare tabelle fuorvianti sulla percentuale di delinquenza dei romeni, lasciando intendere ai distratti che la maggior parte dei reati commessi in Italia siano opera loro.

Bugia di facile presa. Perché è vero che la miseria e l’ignoranza alzano le percentuali della criminalità fra i nuovi venuti, e questo rappresenta un problema di ordine pubblico.

Ma è un falso ignobile che il problema della sicurezza coincida col problema dell’immigrazione.

E resta un falso ignobile anche se ormai è chiaro come sulla paura dello straniero in Italia si vincono e si perdono le elezioni.

Dopo Joan Rus, il secondo criminale rumeno sbattuto in prima pagina nella settimana dei ballottaggi elettorali è il ventenne Claudiu Stioleru, immigrato a Lugagnano di Soma. Reo confesso dell’omicidio del suo datore di lavoro che lo tormentava con richieste di prestazioni sessuali, gli inquirenti lo sospettano di averne ucciso anche la moglie.

Ma prendono molto sul serio quel mercimonio che non si accontenta del lavoro nero ma coinvolge altri giovani operai in un rapporto di totale sottomissione, come ora emerge dalle indagini in ambienti perbenisti dove l’omosessualità implica l’essere due volte clandestini. E allora come finirà il processo a Claudiu Stioleru? Con la pena di morte invocata dal sindaco leghista o con le attenuanti generiche previste dal codice penale? In ogni caso sarà un peggioramento nella malattia dello spirito italiano.
Cosa volete che importino le decine –sì, decine- di rumeni morti sul lavoro nel nostro paese nei sei mesi trascorsi dall’omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto?

Secondo voi qualcuno s’è peritato di verificare che fine abbia fatto Emilia, la donna rom che ne ha denunciato l’assassino Nicole Mailat? L’avranno sgomberata insieme agli altri, anzi, “derattizzata” per usare il linguaggio nazista che va per la maggiore.
Ricevo obiezioni: ci indigniamo per i reati commessi da rumeni già delinquenti a casa loro, perché non dovrebbero vivere sul nostro territorio.

Ma contatela giusta: vi indignate perché vi dà fastidio la miseria umana sotto i cavalcavia. Magari v’illudete di poter far senza le badanti e i muratori rumeni. E in ogni caso vorreste che di notte scompaiano d’incanto, salvo presentarsi puliti e sorridenti la mattina dopo sul posto di lavoro.
Mi fanno cascare le braccia i politici che si rifugiano dietro alla formula lapalissiana: la sicurezza non è né di destra né di sinistra. Senza accorgersi che questo loro opportunismo ha alimentato una concezione razzista della sicurezza facendo sì che ormai, nell’Italia 2008, eccome se è diventata di destra la sicurezza.
Oggi tocca ai rumeni come ieri toccò agli albanesi e ai marocchini, e l’altro ieri agli ebrei (che nell’Europa dell’est erano poveri, troppi, un po’ sudici e un po’ ladri, mica facevano chic come oggi).

Sono sicuro che un giorno ci vergogneremo della campagna razziale in atto, ma sarà troppo tardi. E allora cercheremo indulgenza magari nelle pagine meravigliose del filosofo rumeno Constantin Noica, tanti anni trascorsi nelle carceri comuniste dove ha scritto un capolavoro: “Pregate per il fratello Alessandro” (Il Mulino). Lettura da non perdere, dedicata a uno che seppe vergognarsi.

Gad Lerner

Padania is not Italy- Intervista a Matteo Salvini, neodeputato della Lega.

Da CHIAMAMILANO
Italia? No, grazie. “Mi sento milanese, lombardo, padano, europeo, cittadino del mondo”.
Matteo Salvini, capogruppo in consiglio comunale della Lega e neoeletto deputato in Parlamento lo ha stampato anche sulla sua maglietta.

“Padania is not Italy”, per l’appunto.

In Padania si vive, si mangia, si lavora in maniera diversa, ci spiega.
Piuttosto che all’Italia, la Padania preferirebbe paradossalmente appartenere alla Spagna socialista di Zapatero.

Modello Barcellona, ad esempio. Una città multietnica, ma in cui, diversamente da Milano, “ognuno sta al suo posto”.

Un certo feeling con la sinistra gli è rimasto da quel lontano 1997, quando si tennero le elezioni per il fantomatico Parlamento padano e il neodeputato correva per i Comunisti padani.
Chissà, forse ora, dopo l’exploit della Lega alle ultime elezioni, il sogno federalista di Bossi e compagni potrà realizzarsi e la Padania potrà conquistare l’agognata indipendenza.

E Salvini tornerà nei panni di un Che della pedemontana.

Per ora tocca contraddire Salvini: Lombardia, Veneto e Piemonte sono territori italiani. Tanto che il Presidente del consiglio in Pectore ha preferito lasciare ai propri posti Formigoni e Galan pur di non vedere un’ulteriore avanzata delle truppe del carroccio nel Lombardo-Veneto.

In missione a Roma per “portare a casa soldi e poteri per la Lombardia e per Milano”, il neodeputato milanese assicura che obiettivo della Lega resta quello di garantire sicurezza e normalità a tutti i cittadini.
La “caccia” allo straniero rappresenterà in questo contesto la chiave di volta attorno cui far ruotare la strategia politica del nuovo governo di centrodestra. Risultati elettorali alla mano, la severa egida del partito che ha giurato fedeltà a Pontida sarà determinante nel processo di “debellione del nemico”.

Soprattutto a Milano, prima tra le grandi città del nord che hanno visto un aumento esponenziale degli aficionados di Bossi, il vento xenofobo ha già minacciosamente preso a soffiare.
Salvini assicura di aver parlato con il Sindaco e di aver ricevuto garanzie di maggior severità in tema di sicurezza. Se la parola d’ordine sembra essere “tolleranza zero”, l’antidoto magico non può che passare, conferma il leghista, che per la formula “zero campi nomadi, zero patti di legalità”.

Al Salvini legato alle radici della sua città e della tradizione lumbard, però, difficilmente basterà continuare a cavalcare l’ormai inflazionatissimo tema securitario.
Abile politico, comunicatore diretto ed efficace, più volte portatovoce del malcontento dei quartieri milanesi (sue le recenti battaglie in Comune per l’appovazione della zona a traffico limitato in via Sarpi e per lo slittamento dell’isola pedonale estiva sui Navigli), Salvini sa di rivestire a Milano un ruolo di rappresentanza saldo e affidabile per il suo partito.
Per questo il neodeputato ha deciso di non farsi da parte e di mantenere la sua posizione a Palazzo Marino. Per questo, come è prevedibile e legittimo, pretenderà maggior voce in capitolo in altri decisivi settori dell’amministrazione.
E così l’attaccamento al proprio territorio, l’irrinunciabile difesa delle tradizioni, la valorizzazione dell’efficienza e della cultura lombarda, diventeranno le insegne sotto le quali giocare nuove importanti partite.
La salvaguardia di Malpensa e l’organizzazione dell’Expo, tanto per cominciare.

“Non servono cattedrali nel deserto, bisogna avere un’expo che valorizzi tutta la città e che ne conservi le radici”, dichiara Salvini.
La messa in pericolo della “milanesità”, in fondo, è la versione locale di quella dell’”italianità”, diventata durante la campagna elettorale il cavallo di battaglia del centro destra.
Ma dalle parti di Salvini più che di italianità è corretto parlare di “padanità”.
Perché “Padania is not Italy”.

Giulia Cusumano