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Se mille euro vi sembran tanti..

1000euroE’ uscita la classifica delle retribuzioni nei Paesi dell’Ocse ( Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).

Su 30 paesi siamo al 23° posto ( vedi classifica in fondo all’articolo, i salari sono in dollari).

In moltissimi ormai appartengono alla cosidetta generazione dei mille euro ( e sto parlando dei meno sfortunati)

Non è piacevole stare in zona retrocessione in questa classifica. Stare dietro Germania, Francia e Gran Bretagna non ci stupisce, ma chi si aspettava che potessimo essere distanziati in questo modo da  paesi che solo un paio di lustri fa stavano alle nostre spalle? Dietro a Irlanda, Grecia, Spagna, Finlandia e Islanda?

E’ deprimente constatarlo e ancora di più dirlo ad alta voce, ma il nostro è un paese che è fermo da un pezzo.

Nè possiamo prendercela con la recessione, perchè la crisi devasta con la stessa intensità tutti i paesi dell’Ocse.

Perchè siamo rimasti indietro?
Un sistema scolastico e universitario poco competitivo, un cronico ritardo nelle infrastrutture, una pubblica amministrazione inefficiente, una giustizia lenta, un mercato del lavoro nel quale si rafforzano di giorno in giorno le distanze tra protetti e non protetti, un sistema finanziario abituato ad andare incontro alle grandi aziende e a penalizzare i privati e le piccole imprese.

tasseA questo si aggiunge il problema della tassazione. Il cuneo fiscale è ormai pari al 46,5 %. Il che vuol dire che ogni 100 euro che un’impresa versa al lavoratore ben 46,5 vanno allo stato .

Il che non sarebbe di per sè un’anomalia o una tragedia, perchè anche in Francia e in Germania il cuneo fiscale ha incidenze di questo tipo.

Ma si abbatte su stipendi lordi molto più alti.

Il vero nodo è l’evasione fiscale.

In Italia 2 lavoratori su 10 non pagano alcuna tassa.

Il che determina due conseguenze.

La prima è che gli otto che pagano le tasse non possono sperare di vedersele ridotte finchè non pagheranno anche i due evasori.miseria-e-nobilta

La seconda è che in un mercato di questo tipo opera una concorrenza sleale, che costringe le imprese in regola a tenere bassi i salari per sopravvivere.

L’avvio di una seria politica di lotta all’evasione fiscale è sempre stato boicottato dalla maggioranza che sta al governo.

Peccato che a votarla non siano soltanto gli evasori fiscali….

Classifica Ocse

1)  Korea 39.931   2)  UK 38.147 3)  Switzerland 36.063   4) Luxembourg 36.035  5 ) Japan 34.445
6) Norway 33.413    7) Australia 31.726  8)  Ireland1 31.337   9) Netherlands 30.796 10)  Usa 30.774
11)  Germany 29.570 12 )Austria 28.996 13)  Sweden 27.581 14)  Canada 26.994  15 )Greece 26.512
16) Belgium 26.311 17) France 26.010  18) Finland 25.911  19 ) Iceland 25.134  20)  Spain 24.632
21) Denmark 24.531   22) New Zealand 23.650
23 Italy 21.374
24) Portugal 19.15   25) Czech Rep 14.540   26) Turkey 13.849     27)Poland 13.010
28)  Slovak Rep 11.716  29)  Hungary 10.332    30) Mexico 9.716

Testo più esteso in VINCENZO.CUSUMANO.COM

Berlusconi, una furia contro Tremonti per il terremoto: Dammi più soldi per l’Abruzzo o facciamo una figura di merda!

berlusconi-con-terremotataScoop di Europa sui  retroscena della visita annullata nei giorni scorsi all’Aquila dal Premier Silvio Berlusconi.

Pare che, come ampiamente dimostrato da Franceschini, risulti impossibile mantenere le promesse ( come al solito) incautamente fatte da Silvio sulla ricostruzione in Abruzzo.

Il ministro del Tesoro, la cui riluttanza ad assecondare le promesse del suo capo, quando si tratti di aprire i cordoni della borsa,  viene addirittura descritto ad un passo dall’addio ( come Veronica?).

Ma ecco cosa scrive Europa:

Nel fine settimana un Silvio Berlusconi su tutte le furie è stato a un passo dal dare il benservito al ministro dell’economia Tremonti, che ora ha una seconda chance per correre ai ripari.

Il premier si è reso conto che le deboli coperture finanziarie del decreto Abruzzo non potrebbero in nessun caso consentire una ricostruzione come quella promessa all’indomani dal terremoto.

Lo scontro con il ministro è stato molto violento tanto che il premier ha dovuto annullare venerdì l’ennesima visita all’Aquila.

Ora Tremonti dovrà in fretta trovare risorse vere per finanziare il provvedimento sulla ricostruzione che questa settimana sarà approvato dalla commissione ambiente del senato.

La dignità non ha prezzo, per le umiliazioni c’è Social card.

La grande beffa della social card
Una su tre è senza soldi

di ANTONELLO CAPORALE

La grande beffa della social card Una su tre è senza soldi

ROMA –
Si dice: morire di vergogna.
Avevo il Dixan in mano, anche una confezione di orzo e una scatola di tonno ma mi è venuto un presentimento: vuoi vedere che non funziona? Allora ho preso la tessera e ho chiesto alla commessa di digitare i numeri, io non vedo bene. Non era stata caricata. Avevo i soldi stretti nell’altra mano, già tutti contati, e glieli ho dati e così è finita. Non l’ho più usata”. Maria Pia, 67 anni, è fuggita via dal supermercato di Viareggio rossa in viso, e meno male che non c’era nessuno in fila.
Comunque in quel supermercato non ci tornerà più.

La tessera di Tremonti è di un bel azzurro sereno.

Come il cielo di Forza Italia, quello di una volta.

Un tricolore ondulato la attraversa da sinistra a destra e sembra la scia delle mitiche frecce. “E’ anonima naturalmente per non creare imbarazzo“, commentò Silvio Berlusconi il giorno dell’inaugurazione della campagna dei 40 euro mensili ai bisognosi d’Italia.

Anonima.

Infatti ieri, supermercato Sma di Roma, commessa indaffarata alla cassa, signore anziano in fila: “Ha per caso la social card?”. Il no è asciutto e risentito. “Scusi, ma era per capire come pagava“.

Lusy Montemarian non ha pagato, anzi è scoppiata in un pianto dirotto quando le hanno comunicato, come fa il medico alla famiglia del congiunto morente, che non ce l’aveva fatta.

Un pianto raccolto da una microtelecamera di “Mi manda Raitre” e unito ad altri pietosi casi. Un mattone sull’altro, e un altro ancora.

Alla fine si edifica questo incredibile muro della vergogna che attraversa la penisola e la trafigge senza colpa. La Social Card, il circuito Mastercard.

Protagonisti di una favola.

Una strisciata e via.

La pensionata indigente che alla cassa del panificio, come la donna chic di via Condotti, apre il borsello, non tocca i soldi sporchi, ma sfila la carta di credito.

Un secondo magnetico.

Se la carta è piena.

Se è vuota – e lo sono un terzo delle circa 500 mila distribuite – la pensionata deve restituire il pane e ritirare l’umiliazione pubblica. Era il 19 giugno, era estate, e il ministro Giulio Tremonti annunciava una vecchia novità: la carta di credito per i poveri. Vecchia perché l’aveva pensata Vincenzo Visco, nell’arcaico ’97: sconti sulla spesa, sugli affitti, sui beni di prima necessità. Vecchia perché l’aveva apprezzata Ermanno Gorrieri, comandate partigiano, fondatore del movimento Cristiano Sociali. Gorrieri è morto nel 2004.

Nel 2008 è Tremonti a presenziare e presentare la svolta: una manovrina da 450 milioni di euro, 200 coperti dall’Eni, 50 dall’Enel, altri dalla Robin Tax.

Togliere ai ricchi, dare ai poveri: 40 euro al mese, 80 euro accreditati ogni due mesi. Per un anno intero. Quattro mesi di annunci, di serrata organizzazione. Pronti. Si parte il primo dicembre. Attenzione: chi conserva 15 mila euro, in banca o alla posta, pensionato o disoccupato, non ha diritto alla carta di credito dello Stato.

Sono in 520 mila a dicembre a chiedere la social card, pensionati con reddito dai 6 mila euro agli 8 mila, coppie di anziani, famiglie con figli a carico, non oltre i tre anni però. Con una sola casa di proprietà, un’automobile e un’utenza elettrica attiva.

In fila, per ore, davanti ai 9 mila uffici postali. Perché chi completava le pratiche entro il 31 dicembre, aveva diritto a 120 euro (ottobre, novembre e appunto dicembre) di partenza.

Una corsa verso il nulla. Perché il 30 dicembre, con ottimismo natalizio, l’Inps – che doveva accertare il reddito – dichiarava di aver ricaricato 330 mila tessere.

Le altre erano vuote.

Migliaia di italiani si sono ritrovati in mano una patacca.

Una carta azzurra, di plastica, con il retro magnetico, il numero, il logo giallo e rosso della Mastercard. Belle, eccome. E di valore: si stima costi almeno 50 centesimi l’una, più 1 euro per la ricarica bimestrale, più il 2 per cento per le spese del circuito bancario. Uno scherzetto da 8 milioni e 500mila di euro, a pieno regime. Una lotteria per il mezzo milione di italiani che, soltanto alla cassa e davanti al commesso, saprà se la sua carta annonaria è buona oppure è uno scherzo del destino, se può permettere di fare la spese oppure di annunciare la propria povertà a tutti.

Duecentomila tessere vagano scoperte di tasca in tasca, sospese o respinte. Duecentomila italiani, forse di più, le possiedono senza poterle utilizzare. Alcuni (pochi) lo sanno.

Altri, molti altri, che non sanno, vanno incontro alla sciagura. Ci vuole del metodo per ideare una così lunga e inutile fatica. Prima fila: farsi certificare la povertà, la disgrazia assoluta. Seimila euro all’anno. In fila, naturalmente per vedersi attestata dal patronato la sospirata povertà. Poi l’Inps, le Poste, sempre in fila, sempre allo stesso modo. Infine, coraggio, andare al supermercato ed esibirla questa maledetta povertà.

E poi, duecentomila volte finora, vederla svergognata: “La tessera non è carica”.

Scalfari sulla crisi: “Siamo nei guai e Tremonti si è giocato male le sue carte”

mibtelCome ogni domenica anche oggi Eugenio Scalfari ci mette al corrente delle sue riflessioni sullo stato del paese.Quella che segue è la sintesi, come al solito non autorizzata della prima parte del suo pastone domenicale.Dice alcune cose sullo stato dell’economia mondiale che trovo molto plausibili e verosimili. C’è un tono molto pessimistico nelle sue valutazioni, ma temo che anche in questo caso abbia ragione: siamo in una situazione moltoi critica e chi ci governa aveva poche carte da giocarsi ( leggi: risorse) e se le è giocate malissimo.
scalfari

Campane d’allarme e trombe stonate

di EUGENIO SCALFARI

NON c’è un solo allarme rosso sul quale occorra tener fisso lo sguardo.
Ce ne sono tre.
Due hanno dimensioni nazionali :  l’allarme sul funzionamento della giustizia e quello che viene definito la questione morale.
Il terzo ha dimensione mondiale ed è la crisi dell’economia.

La stampa americana parla ormai  di “great depression, part 2” riferendosi a quella del ’29, che devastò  Stati Uniti ed Europa per otto anni.

Comincerò dal terzo allarme rosso.
Negli undici mesi gli Stati Uniti sono entrati  in recessione:  dapprima sottotraccia, la crisi è  poi esplosa a giugno con la crisi immobiliare.
Negli ultimi  sei mesi  i listini di Wall Street hanno perso più del 50 per cento del loro valore e poiché i cittadini di quel paese hanno una familiarità con la Borsa sconosciuta nel resto del mondo ne è derivato un impoverimento, in parte virtuale ma in parte reale, che ha inciso sui consumi e sugli investimenti.
L’effetto, in un paese ad economia liberista, si è ripercosso sull’occupazione ed è stato un crescendo di mese in mese.
Fino ad oggi  sono andati distrutti un milione e centomila posti di lavoro, dei quali 200.000 in ottobre e 536.000 in novembre. Un’accelerazione spaventosa: secondo le previsioni più aggiornate si arriverà  nel primo semestre del 2009  a  quattro milioni.
Quando Obama e i suoi consiglieri affermano che il peggio deve ancora venire pensano esattamente a questo:  disoccupazione di massa e quindi una diminuzione del reddito, specie nei ceti e per le etnie più deboli, ma non soltanto.
Il saldo tra questa distruzione del reddito e l’apparente beneficio della discesa dei prezzi (dovuta appunto al crollo della domanda) sarà fortemente negativo, deprimerà i consumi e gli investimenti, manderà in fallimento decine di migliaia di aziende come in parte sta già accadendo.

Il motore americano si è ingolfato e così resterà a dir poco fino al 2011. Ma poi ricomincerà a tirare come prima?

L’economista Joseph Stiglitz dice di no.

Il capitalismo americano (e sul suo modello tutto il capitalismo internazionale) vive da decenni sulle bolle speculative. Sono state le bolle a far andare al massimo i pistoni del motore americano, locomotiva di tutto il resto del mondo.

Ma le bolle, dice Stiglitz, dopo la durissima crisi che stiamo vivendo non si ripeteranno più. Non nella dimensione che abbiamo visto all’opera negli ultimi anni.

E quindi non esisterà più un capitalismo come quello che abbiamo conosciuto, basato per quattro quinti sui consumi.

Subentrerà probabilmente un capitalismo basato sugli investimenti e su una redistribuzione della ricchezza mondiale e, all’interno dei vari paesi, della ricchezza tra i vari ceti sociali.

Si capovolgerà lo schema fino ad ora imperante : la redistribuzione della ricchezza non sarà  più la conseguenza  dell’aumento della produzione e dei profitti, ma diventerà invece la condizione necessaria per realizzare tale aumento.
Insomm: niente giustizia sociale niente sviluppo.

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Il nostro governo e il nostro ministro dell’Economia sostengono che in Italia le cose andranno meglio perché le banche qui da noi sono più solide che altrove e i conti pubblici “sono in sicurezza”.
Che le nostre banche siano solide è una fondata speranza; ma che le nostre prospettive siano migliori degli altri paesi è una bufala delle tante che il governo ci propina.
Noi non stiamo meglio, stiamo decisamente peggio, ci tiene ancora a galla l’euro senza il quale staremmo da tempo sott’acqua.
Stiamo peggio perché non abbiamo un soldo da spendere.

Quelli che avevamo venivano da una forte azione di recupero dell’evasione fiscale che ci dette nel 2006-7 più di 20 miliardi da spendere. Questa fonte si è inaridita. Il fabbisogno è aumentato, l’abolizione dell’Ici ha distrutto un reddito tributario di 3 miliardi e mezzo l’anno; l’Alitalia tricolore è costata all’erario 3 miliardi (se basteranno).

Sicché Tremonti non ha un soldo.
Per mandare avanti il motorino italiano ha dovuto redigere nel luglio scorso una legge finanziaria gremita di tagli. Per far sopravvivere il sistema ha concesso la settimana scorsa un’elemosina di 6 miliardi “una tantum” alle famiglie e alle imprese; con qualche spicciolo aggiuntivo per far tacere le invettive del Papa e dei vescovi per i tagli alle scuole cattoliche (ma quelli alla scuola statale e all’Università sono rimasti tutti ferocemente in piedi).

Anche in Italia tuttavia, come altrove, la crisi finora ha soltanto graffiato la pelle ma non ha ferito né i muscoli né i tendini. Si consuma un po’ meno, si investe poco o nulla (ma questa latitanza degli investimenti privati e pubblici è da anni una costante).

Il peggio deve venire dice Tremonti e ha purtroppo ragione.

La diagnosi è giusta. La terapia non c’è per ragioni di forza maggiore determinati dagli errori commessi sei mesi fa.
Come uscirne dovrebbero dircelo il premier e il ministro dell’Economia.
Certo non se ne esce con gli inviti ai risparmiatori a sottoscrivere i Bot. Tanto meno facendone colpa all’opposizione.

Su SKY Silvio fa lo smemorato di Cologno:”Non c’ero e se c’ero dormivo”.

berlusca-babbo-natale2gif“È un provvedimento che non conoscevo assolutamente e invece attaccano me. Non c’è nessun conflitto di interessi». Silvio Berlusconi parla ancora una volta del caso Sky

“Mi si attacca con titoli del tipo “Berlusconi contro Sky”, quando io non ero al corrente di nulla, ed era una cosa che apparteneva al lavoro del ministro delle Finanze, in più dovuta per una precisa disposizione della Ue.
Insomma Silvio parla ancora del caso Sky e scarica  tutto su Tremonti e la Ue.

Lui non ne sapeva nulla.

Delle due l’una: o è vero e allora bisogna concludere che in questo Governo chi fa il bello e il cattivo tempo è Tremonti ( del quale Silvio è solamente lo scomposto e spesso disinformato portavoce) oppure non è vero e allora ha ragione Fiorello quando raffigura il premier come lo smemorato di Cologno.

berlusconi-smemorato

Ilaria la Pasionaria. Silvio, in difficoltà su Sky: quella che più teme è la D’Amico.

ilariaGiulio, ragioniamoci. Vediamo se è possibile, se ci sono margini. Non è che io possa reggere quella lì, col seguito di cui gode, anche domenica prossima, una nuova predica contro il governo a ridosso delle partite” pare abbia detto Berlusconi a Tremonti, per cercare di convincerlo ad ammorbidire la manovra su Sky.

Quella lì è Ilaria D’Amico, conduttrice del più seguito programma calcistico di Sky, trasformatasi nella Pasionaria più efficace della campagna antigovernativa di Sky  in atto.

Ecco, fosse per Berlusconi, una nuova tirata antigovernativa domenicale se le risparmierebbe.

Ma Tremonti tira dritto .

“I conti non possono essere rivisti, a meno che non diciamo che ripristiniamo l’agevolazione a Sky per tagliare da qualche altra parte, magari sulla social card: è impraticabile”, gli ha ripetuto al telefono il ministro, inamovibile.

Avevamo molti motivi, alcuni dei quali del tutto frivoli, per ammirare Ilaria D’Amico.
Oggi ne abbiamo uno in più.

Forza Ilaria! ( potrebbe essere il nome di un nuovo partito).

Sparito Robin Hood (chissenefrega dei poveri..) meglio tutelare i banchieri. Parola di Scalfari.

Pubblico qui una sintesi, come al solito non autorizzata, dell’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari.

Riflette sul grande clamore mediatico che circonda l’azione del governo durante la crisi economica internazionale. Sembra che il nostro governo e il nostro premier stiano al centro dell’universo, vero centro motore di tutto.

Ovviamente non è così.

Nella seconda parte dell’articolo fioccano le critiche su Tremonti, bravo nel prevedere la crisi, ma patetico nelle scelte con le quali cerca di contrastarla.

Ecco la sintesi:

GUARDANDO le nostre televisioni e sfogliando le pagine dei nostri giornali emerge un aspetto consolante: il patrio governo e il suo leader hanno guadagnato molti punti in tema di prestigio internazionale. Tutti ci cercano, vogliono i nostri consigli, valutano con apprezzamento i nostri programmi, chiedono la nostra mediazione. Tra i grandi della Terra il nostro peso è crescente.

Che cosa si vuole di più ?

Questa crescita di autorevolezza trae conferma dalle dichiarazioni degli interessati e in particolare da quelle del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia che i nostri “media” riportano con la massima evidenza e il dovuto compiacimento

In questa immaginaria rassegna dei primati italiani conta poco che gran parte dei progetti siano soltanto scatole vuote, annunci generici, espedienti mediatici .
Per il pubblico italiano, istruito dai media nostrani e dalle dichiarazioni dei nostri governanti, il motore della lotta contro la crisi planetaria  sta a palazzo Chigi.
Perfino il voto contro la politica “climatica” dell’Europa, che ha comportato due mesi di stallo, è  presentato come il segno della nostra forza internazionale e della nostra lungimiranza.

Queste esaltazioni mediatiche sono prive di rapporto con la realtà e con la verità .

Un diffuso esercizio mediatico è quello della scoperta dell’acqua calda presentata come la prova della intelligenza e della vigilanza dei governi e delle istituzioni internazionali. Quell’esercizio non è limitato all’Italia ma si estende a tutto l’Occidente.
Si è scoperto pochi giorni fa che la crisi finanziaria sta incidendo sull’economia reale.
E ve ne accorgete adesso? Non era chiaro fin dall’inizio? Quando le crisi finanziarie superano una certa soglia e una certa dimensione, i loro effetti tracimano inevitabilmente al di là dell’aspetto congiunturale e avviano processi più o meno lunghi di ristagno e recessione.
Invece no, non se n’erano accorti, anzi davano dello stolto o del catastrofista a chi fin dall’inizio raccomandava di attuare provvedimenti capaci di arginare o rallentare le conseguenze negative sull’economia reale.

Da questo punto di vista la palma del primato spetta alla Banca centrale europea e alla Commissione di Bruxelles.

La prima per aver mantenuto testardamente il tasso di interesse al 4.25 senza poter esercitare nessun freno sull’inflazione ma provocando invece deleteri effetti sul costo dei mutui immobiliari e dei prestiti alle imprese.

La seconda
difendendo rigidamente la soglia di stabilità del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil e martellando i governi affinché perseguissero politiche di tagli di spesa e pareggio dei bilanci.

In questo panorama Giulio Tremonti rappresenta un caso anomalo e per certi aspetti patetico. Fu tra i primi a dare l’allarme nel giugno scorso sulle dimensioni della crisi finanziaria e bancaria in arrivo. Indicò gli scenari e le opzioni che si aprivano e, sia pure in termini generici, le politiche che si sarebbero dovute adottare.

Ma poi, una volta messo alla guida dell’Economia, fece esattamente il contrario di quanto aveva indicato.

Fece approvare in nove minuti e mezzo (ricordate?) una legge finanziaria triennale che non merita altra definizione se non quella di configurare una politica economica deflazionistica. Una legge come quella, che punta ad abbassare la spesa per molte decine di miliardi con tagli “orizzontali”, adottata da chi vede arrivare – e lo predice – una tempesta finanziaria con evidenti conseguenze recessive, è un comportamento inspiegabile.

Altrettanto inspiegabile la vicenda della “Robin-tax” che campeggiò nelle prime pagine dei giornali per almeno un mese e su cui Tremonti costruì una parte del suo fascino mediatico. Fu il fiore all’occhiello del nuovo ministro dell’Economia tassare i ricchi per dare ai poveri, tassare le banche per finanziare la “social card” da distribuire ad un milione di italiani con redditi inferiori agli 8 mila euro annui. Totale preventivato 400 milioni.

Sono passati quasi cinque mesi da quel piccolo colpo di teatro mediatico: la “social card” sarà distribuita a dicembre ma nel frattempo le banche hanno cessato d’esser ricche, il governo anziché tassarle deve sostenerle e per farlo ha varato un decreto dove prevede: “cifre illimitate” pur di evitare fallimenti.
Robin Hood se n’è andato dalla foresta di Sherwood, lo sceriffo di Nottingham gira col saio e il bastone del pellegrino e noi contribuenti attendiamo di sapere quanto costa il suo sostentamento.
Non è patetico?

Eugenio Scalfari

“Berlusconi andrebbe interdetto dai familiari”. Scalfari dice la sua sul premier

So che per molti è una lettura impegnativa, perchè l’uomo non ha il dono della sintesi.
Ma la pastorale della domenica di Eugenio Scalfari contiene sempre notazioni interessanti .
Penso così sia utile farne una sintesi ( non autorizzata)
Oggi Il buon Eugenio ci parla della crisi economica internazionale.
Ecco cosa dice ( in sintesi, ovviamente) :

Si aspetta con il fiato in gola la campanella d’avvio delle Borse europee di domani mattina.

Se i mercati non avranno recuperato la fiducia nonostante le decisioni di Washington e di Parigi vorrà dire che i Grandi sono ormai considerati come maschere del teatro dei pupi, prive di credibilità e di forza.

Speriamo che non sia così perché l’alternativa sarebbe una catastrofe planetaria.

Qualche commento sul complesso delle difese finalmente concordate dai Grandi dell’Occidente.

Anzitutto sulle dimensioni di questo piano: sono immense e illimitate. Non sono state fatte cifre perché non si potevano fare. Nessuno è in grado di conoscere l’ammontare dei titoli-spazzatura in corpo alle banche di tutto il mondo e nessuno può valutare le altre fonti di indebitamento che in una emergenza così acuta possono cumularsi l’una con l’altra a cominciare dalle carte di credito, dalle sofferenze più rischiose, dalle cambiali di carta straccia, dai collocamenti e dalle cartolarizzazioni di più dubbia solvibilità, dalle ipoteche non eseguibili. Il Fondo monetario internazionale azzardò poco tempo fa la cifra di 1.400 miliardi di dollari come ammontare complessivo, ma era una valutazione limitata ai titoli spazzatura connessi ai “subprime” immobiliari.

Ma se la fiducia non tornerà non c’è diga costruita dai governi più forti del pianeta che possa resistere all’impatto dell’ondata dei mercati. Questo per dire che è la credibilità dei governi a decidere una partita che si gioca tutta sulla parola più che sui capitali disponibili.

Quanto a credibilità, Bush ne ha ben poca e il suo ministro del Tesoro meno ancora di lui.

La credibilità del nostro governo, malgrado gli sforzi di Tremonti e la presenza di Draghi alla guida della Banca d’Italia, non è certo un “asset” molto spendibile. Purtroppo è bassa dovunque, in Europa come in America e non bastano certo gli inviti estivi e i rapporti personali di Berlusconi con Bush e con Putin a ravvivarla.

In una società dove lo spettacolo  ha ormai occupato interamente lo spazio pubblico, Silvio Berlusconi grandeggia.

Venerdì scorso ha toccato culmini difficilmente raggiungibili. Ha suggerito quali titoli sarebbe più opportuno comprare, l’Eni e l’Enel. Tre giorni prima, aveva perfino citato Mediaset in conferenza stampa. Poi ha aggiunto che forse a partire da domani le Borse saranno chiuse fino a quando i Grandi avranno concordato nuove regole. Infine, essendo stato immediatamente smentito perfino dalla Casa Bianca, ha smentito se stesso come d’abitudine.
Un uomo così verrebbe interdetto dai suoi familiari. A maggior ragione se è il capo dell’Esecutivo dovrebbe esser sottoposto a “impeachment”. Ma poiché piace al pubblico del Bagaglino lui continua e i “media” compiacenti applaudono le sue esibizioni.

Al di là di questa matassa di problemi resta il fatto che la crisi non accenna a spegnersi e la ragione è molto chiara: si chiama recessione, si chiama caduta della domanda nel mondo occidentale e qui in Italia, si chiama insolvenza dei consumatori. La gente non ha soldi, le imprese hanno i magazzini pieni di prodotti invenduti, la Cassa integrazione ospita sempre maggiori unità disoccupate, i grandi magazzini vendono di meno per la prima volta da quando esistono, le spese “opzionali” vengono tagliate per poter soddisfare i bisogni primari, la dieta delle famiglie si impoverisce.

L’altro giorno il presidente del Consiglio ha detto: “Adesso diminuiremo le tasse”.

Doveva pensarci quando poteva ancora farlo, nel giugno scorso al momento in cui il suo governo fu insediato.

Invece abolì l’Ici sulla prima casa e sulle case ex rurali e detassò gli straordinari. L’Ici però ha lasciato a secco i Comuni e il governo ha dovuto indennizzarli per l’ammontare integrale che gli aveva sottratto altrimenti il federalismo non avrebbe mosso neppure il primo passo. Perciò tutto si è risolto in una partita di giro puramente mediatica. Quanto alla detassazione degli straordinari le imprese non ne fanno più perché non c’è domanda. Non domanda, non produzione, non detassazione. Questo balletto mediatico non è più sostenibile. Adesso occorre la detassazione sul serio e non soltanto per ragioni di equità sociale ma per frenare il bulldozer della recessione.



Ci troviamo in brutte acque: dobbiamo detassare ma l’erario è a secco; tagliare la spesa senza colpire l’occupazione, fare i contratti di lavoro aumentando le retribuzioni ma con riguardo alle imprese e alla produttività. Questo governo del fare finora ha fatto assai poco: molti annunci, poche cose buone e molte sballate, dall’Alitalia ai grembiulini della Gelmini.

Adesso bisogna fare uscire il paese dalla tempesta e non sarà certo un gioco.

NOTA BENE:

HO RICEVUTO MOLTI COMMENTI A QUESTO POST, A DIFESA DEL PREMIER. RISPONDO NEL POST SUCCESSIVO (V. LINK SOTTO):

“Scalfari? Un fascista rancoroso” I sostenitori di Berlusconi scarseggiano di argomenti…

A salvare gli amici ci provano sempre…Per fortuna Tremonti non ci sta.

Cesare Geronzi, grande amico dell’attuale maggioranza, attuale presidente di Mediobanca, come è noto, è alle prese da tempo con seri impicci giudiziari per via dei crac Parmalat e Cirio.

Ma per gli amici e gli amici degli amici c’è sempre all’opera una fabbrica permanente di leggi ad personam.
Un emendamento, che all’inizio passa quasi insossevato, viene infilato da una “manina ” dentro  la legge Marzano sui salvataggi delle grandi imprese .

L’emendamento dice che per essere perseguiti penalmente per una mala gestione aziendale è necessario che l’impresa si trovi in stato di fallimento.

Se invece è guidata da un commissario, e magari va anche bene come nel caso della Parmalat, nessun pubblico ministero potrà mettere sotto processo chi ha determinato la crisi. Se finora lo stato d’insolvenza era equiparato all’amministrazione controllata e al fallimento, in futuro, se la legge dovesse passare com’è uscita dal Senato, non sarà più così.

I cattivi manager, in buona sostanza, verranno salvati se l’impresa non sarà definitivamente fallita. 



Il che vuol dire mettere definitivamente  In salvo Tanzi ( crac Parlmalat) e Cragnotti ( Crac Cirio) . 

Salvacondotto, ovviamente,   anche per Geronzi.

Per fortuna una giornalista se ne accorge . È Milena Gabanelli, l’autrice di Report, .

La quale Intervista, nel costruire una delle sue inchieste, quella su Alitalia ( ancora non andata in onda) un giurisra, Giuseppe Cascini,che le dice

“Se la norma verrà approvata non saranno più perseguibili i reati di bancarotta commessi da tutti i precedenti amministratori di Alitalia, ma neppure quelli compiuti da altri manager di società per cui c’è stata la dichiarazione d’insolvenza non seguita dal fallimento“.

L’obiettivo  dell’emendamento è chiaro. Finora perchè  i manager delle grandi imprese finissero sotto processo per bancarotta bastava la dichiarazione d’insolvenza.

Con il nuovo emendamento, l’azione penale resterà sospesa fino a un futuro, e del tutto incerto, fallimento definitivo.

Una moratoria sine die, un nuovo colpo di spugna .

Giorni fa abbiamo apprezzato la durissima richiesta di condanna ( 13 anni di carcere) del Pubblico Ministero per il principale responsabile del caso Parmalat, Callisto Tanzi. S’interromperà solo perché il commissario Bondi ha evitato il fallimento.

Per fortuna Tremonti non ci sta.

Pochi minuti in Senato fa il ministro Tremonti è stato lapidario : SE QUELLA NORMA PASSA, NON SARO’ PIU’ MINISTRO.

Insomma ci provano sempre….

La “verità” di Tremonti e i “falsi documenti” di Veltroni ( cronaca dell’ultimo scontro)

Veltroni  e Bersani  attaccano  il centrodestra , sostenendo che il Governo Berlusconi  nel 2003 era stato sul punto di introdurre in Italia i mutui ipotecari, quelli che hanno scatenato la crisi dei mercati mondiali.

Tremont  non è più un commercialista catapultato al ministero dell’Economia, oggi, molto assistito dai mass media, cerca di accreditarsi come un intellettuale di spessore .

Reagisce quindi come una mangusta alle accuse : essendo diventato una specie di guru, tiene alla sua infallibilità più di quanto ci terrebbe se fosse il papa.

Spiega stizzito : «Nel testo che ho firmato del Dpef 2004-2007, presentato il 16 luglio 2003, quella ipotesi non esiste. Non so da dove sia venuta fuori, forse da bozze precedenti. Ma un ministro risponde solo dei testi che firma».

«Tra l’altro – ha proseguito – la sinistra ci ha sempre accusato all’epoca di avere una maggioranza bulgara. E dunque, se avessimo voluto fare una cosa simile l’avremmo fatta. Ma non l’abbiamo fatta. Ed è tipico dei veri comunisti usare carte false ed attribuire agli altri cose che non hanno mai firmato». 

Apprendiamo quindi che l’idea c’era.

Peccato per Tremonti che non fosse solo in una bozza Qualcosa poi è rimasto anche nel testo definitivo.

Andando a guardare le carte, come suggerisce Veltroni, vediamo nella bozza c’era un ampio riquadro sul piano del governo per usare i mutui ipotecari per finanziare i consumi. 

Si possono «finanziare i consumi convertendo in reddito una parte della ricchezza accumulata dalle famiglie attraverso la casa», si poteva leggere nel documento.

Il riquadro, nella versione definitiva, venne poi cancellato, ma  sulla questione Tremonti, per sua sfortuna, lasciò  un riferimento inequivocabile.

A pagina 23 del Dpef 2004-2007 si legge infatti: «Gran parte della ricchezza delle famiglie è concentrata nel mercato immobiliare e un sostegno ai consumi potrebbe derivare dalla possibilità di convertire in reddito parte di tale ricchezza».

Dunque della possibilità di usare i mutui si era in effetti parlato, come sostiene il Pd, anche se alla fine il governo decise di lasciar perdere, come afferma Tremonti.

Il quale, però, invece di rispondere con mezze bugie urlate coem fossero verità assolute,  forse farebbe bene ad ammettere che nel 2003 lui e il suo staff furono tentati dall’idea di ricorrere anche a questa trovata di finanza creativa che è all’origine della attuale crisi.

Ma anche solo ammettere di avere accarezzato un’idea rivelatasi poi disastrosa è contrario alla natura del Superministro-guru.

Meglio accusare gli avversari di “usare carte false come i comunisti veri”.

Se il sistema dei subprime si fosse rivelato vincente, invece che un incredibile boomerang, c’è da credere che oggi Tremonti direbbe cose ben diverse da quelle che dice adesso.

“Io l’avevo detto nel 2003 che quella era la strada da battere per rilanciare i consumi. Purtroppo non fui capito” .